LE SCIENZE
SCI ENTI FIC
AMERICW
numero 128
aprile 1979
anno xit
volume xxn
Le possibilità di controllo
dell'accordo SALT 2
Gli USA dispongono di un'ampia gamma di mezzi tecnici atti a scoprire
qualsiasi tentativo dell'URSS di acquisire vantaggi di natura militare
violando il nuovo accordo sulla limitazione delle armi strategiche
di Les Aspiri
[li contenuto di questo articolo rispecchia
Il punto di vista degli Stati Uniti rispetto a
un'eventuale violazione dei SALT 2 da
parte dell'Unitine Sovietica. Le stesse
considerazioni, con i dovuti adattamenti,
potrebbero farsi ovviamente nel caso
opposto, in cui siano gli USA i violatori
del trattato, N.d.H.\
1a chiave di volta di qualsiasi accordo
internazionale sul controllo degli
-J armamenti è la capacità di ciascu-
na delle pani di assicurarsi che l'altra parte
vi tenga fede. Senza un adeguato coni rollo
dell'adempimento dei termini di un patto,
qualunque accordo come quello bilaterale
fra USA e URSS sulle armi strategiche è
destinalo inevitabilmente afallire. Mentre
il senato americano si prepara a discutere
la ratifica del nuovo trattato che conclude-
rà il secondo ciclo dei colloqui fra le due
superpotenze sulla limitazione delle armi
strategiche (SALT 2), si sentono già for-
mulare ipotesi, secondo le quali i russi
cercheranno di eluderne le clausole. Que-
ste ipotesi di violazioni pongono interro-
gativi di fondo in materia di controllo. In
che modo l'URSS potrebbe compiere vio-
lazioni? In che modo gli USA potrebbe-
ro scoprire quelle violazioni? Che cosa
avrebbe da guadagnare l'URSS e che cosa
avrebbero da perdere gli USA se i sovieti-
ci dovessero violare il trattato SALT 2?
Esaminiamo questi interrogativi uno alla
volta per accertare quali siano esattamen-
te i veri problemi che comporta il controllo
del rispetto degli accordi.
L'accordo SALT 2 sarà composto a
quanto pare di due parti: un trattato vali-
do fino al 1 985 e un protocollo valido finn
al 1982. Le relative clausole vengono
riassunte sotto le rispettive intestazioni
nella figura della pagina successiva.
Il nuovo trattato SALT contemplerà
innanzitutto una riduzione graduale dei
numero dei vettori di armi offensive stra-
tegiche concessi a ognuna delle parti: dui
totale di 2400 al momento della ratifica
essi dovranno scendere infatti a 2250 nel
] 1 >H1. Ai fini del trattato ì vettori strategi-
ci vengono definiti in modo tale da inclu-
dere i missili balistici in il' retini mentali
con base a terra (1CBM). i missili balistici
lanciali da sommergibili (SLBM) e i
bombardieri pesanti a lungo raggio.
L'URSS potrebbe cercare in tre modi
di eludere il «tetto» fissato per il numero
totale dei vettori strategici: schierando
nuovi tipi di armi strategiche, mettendo in
camp»» un numero maggiore di armi dei
tipi già esistenti o rendendo strategiche le
armi tattiche non strategiche.
Il primo di questi metodi di elusione,
vale a dire lo spiegamento di nuovi tipi
dì armi strategiche, è forse il modo meno
probabile e più facilmente ri levabile in cui
l'URSS possa violare il «tetto» imposto
dal SALT 2 al numero totale dei vettori.
L'introduzione di una nuova arma strate-
gica comporta almeno cinque fasi; ricer-
ca, sviluppo, sperimentazione, produzio-
ne e spiegamento. A ognuna di queste fasi
la capacità attuale degli USA di scoprire
qualsiasi attività clandestina da parte del-
l'URSS è come minimo buona e come
massimo ottima. Il punto fondamentale
per altro è che i sovietici dovrebbero
camuffare tutte e cinque le fasi e le pro-
babilità che riescano a farlo sono ridotte
Si considerino i vari modi in cui gli
USA sono in grado attualmente di seguire
col radar una sola di queste fasi: la speri-
mentazione dei vettori strategici, 1 radar
americani per la ricerca di superficie pos-
sono identificare ['«impronta» caratteri-
stica delle microonde riflesse associate a
ogni singolo tipo di missile russo di mag-
gior rilievo. Inoltre i radar operanti sopra
l'orizzonte possono penetrare profonda-
mente nell'interno dell'URSS e ricono-
scere il tipo di disturbo che ogni missile
provoca liei la ionosfera terrestre I satelli-
ti di avvistamento precoce, intesi in origi-
ne a rilevare eventuali attacchi di ICBM
russi, possono servire anche a scoprire la
sperimentazione dei missili: i sensori a
raggi infrarossi installati su questi satelliti
possono identificare il pennacchio dello
scarico di un missile quando quest'ultimo
viene lanciato per la sperimentazione (ili
USA. infine, dispongono di tutta una se-
rie complessa di sensori, fra cui apparec-
chiature fotografiche di vario genere, in-
stallali a bordo delle navi e degli aerei che
controllano continuamente le zone in cui
si svolgono gli esperimenti missilistici nei
territori periferici dell'URSS e nel Pacìfi-
co. Le informazioni raccolte da queste
fonti possono essere usate per distinguere
nuovi tipi dì mìssili da quelli vecchi.
In poche parole, i «mezzi tecnici na-
zionali» dì sorveglianza di cui gli USA
dispongono sono molteplici, sovrabbon-
PARTE I: TRATTATO
y
a
5
3
«
i-
o
IX
a
3
1 TETTO POSTO Al VETTORI
STRATEGICI
2500
2400
BOMBARDIERI
(U0Ì
-
2250
2000
BOMBARDIERI
(3«)
SLBM
(926)
i SOO
SLBM
(656)
1000
ICBM
(1400)
500
—
ICBM
(1054)
308
—
TETTO DI VLADIVOSTOK
DEL 1974
(PROLUNGATO DAI SALT 2
FINO AL 19B2)
NUOVO TETTO DEI SALT 2
H982-19B5Ì
NUOVO TETTO PARZIALE
- DEI SALT 2 RELATIVO
AGLI MLBM (1962-1985)
USA URSS
2. TETTO TOTALE RELATIVO Al MISSILI TIPO MIRV E Al BOMBARDIERI CON ALCM
1500 —
3-2
{CO
l<
oz
PO
-ICC
K 820
1320
1200
1000
3
SS
Si
O D
SLBM
TIPO MIRV
(496)
ICBM
TIPO MIRV
(550)
SLBM
TIPO MIRV
10)
ICBM
TIPO MIRV
(455)
TETTO DI VLADIVOSTOK
DEL 1974
(PROLUNGATO DAI SALT 2
FINO AL 1962)
NUOVO TÉTTO DEI SALT 2
(1982-1965)
NUOVO TETTO PARZIALE
DEI SALT 2 RELATIVO
AGLI ICBM TIPO MIRV
( I 982-85)
USA URSS
3 TETTO PAR2IALE RELATIVO AGLI MLBM
4, BANDO Al SISTEMI DI RICARICAMENTQ RAPIDO
PARTE II: PROTOCOLLO
1 BANDO ALLO SPIEGAMENTO DI VETTORI MOBILI DI ICBM E AGLI ESPERIMENTI DI VOLO DI
ICBM LANCIATI DA TALt VETTORI.
2 BANDO AGLI ESPERIMENTI DI VOLO E ALLO SPIEGAMENTO DI M ISSI Ll DA CROCIERA CON
BASE A TERRA O IN MARE DOTATI DI UN RAGGIO SUPERIORE Al 600 CHILOMETRI.
3. LIMITI AGLI ESPERIMENTI DI VOLO E ALLO SPIEGAMENTO DI NUOVI TIPI DI MISSILI
BALISTICI
danti e complementari. Essi permettono a
questo paese di seguire tutti i missili a
lungo raggio lanciati da unii qualsiasi del-
le località nelle quali l'URSS svolge abi-
tualmente i suoi esperimenti. Questi mez-
zi in realtà danno mollo più affidamento
delle notizie raccolte dagli uomini del ser-
vizio informazioni (vale B dire dal lavoro
di spionaggio), le quali notizie possono
essere datate e di seconda mano o addirit-
tura false e truccate
Lo ripetiamo, la sperimentazione è sol-
tanto una delle cinque Casi che si devono
attraversare prima che una nuova arma
sia pronta per essere introdotta nell'arena
strategica. Altri mezzi dì rilevamento po-
trebbero scoprire un tentativo dell'URSS
di eludere questa clausola particolare del
trattato o prima degli esperimenti (duran-
te le fasi di ricerca e di sviluppo) o dopo gli
esperimenti (durante le fasi di produzione
e di spiegamento).
II secondo metodo di cui l'URSS di-
spone potenzialmente per eludere il letto
globale fissalo per i vettori strategici - lo
spiegamento di un numero aggiuntivo di
armi dei tipi già esistenti - è più difficile da
controllare rispetto al primo metodo, ma
anche qui le capacita di rilevamento degli
USA sono davvero molto buone. I mezzi
tecnici nazionali di sorveglianza adottati
da questo paese sono particolarmente ef-
ficienti nello scoprire la produzione e lo
spiegamento di altri sommergibili lan-
ciamissili e dì altri bombardieri pesami.
1 sommergibili lanciamissili sono mezzi
navali che stazzano fra 8000 e "00fl ton-
nellate e sono lunghi più di un campo di
calcio. Sono difficili pertanto da nascon-
dere. Inoltre nell'URSS vi sono soltanto
due cantieri che attualmente costruiscono
sommergihili di questo tipo, ed entrambi
questi siti, insieme ad altre località adatte
potenzialmente alla costruzione di som-
mergibili, sono sorvegliati costantemen-
te. E anche se si dovesse arrivare a co-
si ruire un nuovo sommergibile lanciamis-
sili sotto un velo impenetrabile (ammesso
che si riescano a mascherare simultanea-
mente tutte le attività di sostegno), alla
fine la nuova unila dovrà pur lasciare il
cantiere. E da quel momento in poi ci
sarebbero innumerevoli occasioni per
osservarlo. Anche lo spiegamento di un
numero aggiuntivo di missili sui sommer-
gibili sovietici già esistenti non può passa-
re inosservato.
Le clausole principali dell'accordo SALT 2
elaboralo in questi ultimi mesi dai negoziatori
degli USA e dell'URSS sono racchiuse in un
irai tato valido fino al 1985 (/ Parte} e in un
protocollo valido fino sii 1982 ili Parie). In
parecchie illustrazioni che corredano questo
articolo si è fatto ricorso alle ahhrcviariuni per
i seguenti tipi di armi strategiche: missili bali-
stici intercontinentali (ICBM), missili balistici
lanciati da sommergibili (SLBM), missili bali-
stici grandi e moderni (MLBM), missili a (esta-
te multiple indipendenti (MIRV) e missili da
crociera lanciati dall'aria (ALCM). In n'alia il
tetto parziale del trattato SALT 2 relativo agli
MLBM vale solo per l'URSS, in quanto gli
USA non hanno piani per questi missili grandi.
Analogamente, l'individuazione di un
qualsiasi aumento dei bombardieri pesan-
ti nell'aviazione sovietica è un compito
.ìhhasianza semplice. Le linee di produ-
zione dei due tipi dì bombardieri pesanti
già esistenti, che gli analisti militari ame-
ricani indicano rispettivamente col nome
di Bear (orso) e Bison (bisonte), sono
siate chiuse già da molto tempo. Un'even-
tuale ripresa della produzione di questi
due apparecchi potrebbe essere indo i-
duata dagli USA con un grado elevato di
sicurezza, come appare evidente dalla
dimostrata capacità di questo paese di
scoprile la produzione di unità molto più
piccole dell'equipaggiamento militare
sovietico come i carri armati. Anche lo
spiegamento di un numero aggiuntivo dì
bombardieri pesanti sarebbe difficile da
nascondere. Nell'URSS vi sono non più di
dieci campi d'aviazione per gli aerei di
questo tipo, e tutti sono sorvegliati atten-
tamente dai satelliti americani da ricogni-
zione. Se i sovietici dovessero decidere di
oi iti mire nuovi campi di aviazione per
bombardieri pesanti, la loro individua-
zione sarebbe facile; le piste di decollo e
di atterraggio non si possono nascondere
sotto terra. Se, come alcuni strateghi
suppongono. l'URSS dovesse mettere in
camp*) un nuovo tipo di bombardiere pe-
sante nei primi anni ottanta, anche questo
fatto sarebbe facilmente rilevabile.
Indiv iduare lo spiegamento di altri mis-
sili strategici con base di lancio a terra
sarebbe soltanto un po' più difficile. Data
la prassi seguita attualmente dai sovietici
in questo settore, gli USA potrebbero
identificare con un buon grado di sicurez-
za, grazie aJle fotografìe scattate dai satel-
liti, certe attività rivelatrici quali la co-
struzione in territorio sovietico di nuovi
silos pei ICBM e il trasporto di missili
nelle località loro destinate. E può essere
individuata anche la sede dei sistemi di
comando e di controllo delle apparecchia-
ture di sostegno associate a tali mìssili
Se dovessero tentare di nascondere
queste attività, i sovietici probabilmente
avrebbero un po' più dì fortuna di quanta
ne avrebbero coi sommergibili strategici.
In fin dei conti, i vettori ICBM con base a
terra sono più piccoli dei sommergìbili, e
nell'URSS vi sono vaste zone interne in
cui sarebbe possibile costruirli e trovare
loro una base. Comunque, anche nel caso
di un numero aggiuntivo dì ICBM, le pro-
babilità di successo di un inganno di vaste
proporzioni sono molto ridotte. 1 sovietici
potrebbero cercare forse di costruire altri
vettori ICBM allo scoperto, senza sotter-
fugi, partendo dal presupposto che nella
vastità del loro paese la violazione rimar-
rebbe nascosta, ma questo sarebbe un
errore. 1 satelliti americani da ricognizio-
ne forniscono attualmente una copertura
fotografica completa dell'URSS a inter-
valli frequenti. Se qualche fotografia di
routine dovesse far sorgere dei sospetti,
sarebbe sempre possibile rifotografare le
zone in esame con macchine ad alta defi-
nizione, in modo da ottenere informazio-
ni più particolareggiate. L'attuale gene-
razione di macchine fotografiche dì eleva-
to potere risolutivo installate sui satelliti
americani da ricognizione è teoricamente
in grado di fare una fotografìa chiara di un
oggetto di trenta centimetri da un'altezza
di 16(1 chilometri dal suolo. A questo gra-
do di potere risolutivo una fotografia non
lascerebbe molti dubbi sulla natura delle
attività in esame.
Alternativamente, i sovietici potrebbe-
ro mettere in campo altri ICBM di notte o
con qualche mimetizzazione. I satelliti
americani però sono dotati ormai di sen-
sori muliispeiirali in grado di penetrare
nelle mimetizzazioni e di osservare anche
le attività notturne. I sensori a raggi infra-
rossi sono particolarmente adatti a indi-
viduare basi missilistiche sotterranee e
basi mimetizzate. Se il terreno nelle im-
mediate vicinanze dell'oggetto sospetto è
a una temperatura diversa da quella dello
spazio circostante (o ha diverse caratteri-
stiche di emissione nell'infrarosso), un
silo missilistico sotterraneo o mimetizzato
risalterebbe chiaramente nell'immagine
all'infrarosso.
A causa soprattutto del tempo che oc-
corre ai fotoanalisti americani per elabo-
rare i dati contenuti in queste fotografie
prese via satellite, eventuali violazioni su
scala ridotta potrebbero essere difficili da
identificare. Qualsiasi tentativo di viola-
zione di vaste proporzioni sarebbe però
sicuramente scoperto.
T l terzo me lodo per eludere il tetto posto
*■ al numero totale dei ve ito ri strategici -
quello li. ic ili convertire in strategiche le
armi non strategiche - presenta un pro-
blema di controllo più impegnativo. Due
esempi degni di nota di armi sovietiche a
raggio intermedio a cui sarebbe possibile
dare un'autonomia intercontinentale (e
quindi strategica) sono il bombardiere
Backfire e il missile balistico a raggio in-
termedio (1RBM) SS-20.
Al servizio informazioni americano so-
no quasi tutti d'accordo sul fatto che lo
scopo primario del Backfirc è quello di
compiere missioni in zone periferiche del-
l'I RSS (quali l'Europa e la Cina). Più o
meno la metà dei Backfire schierati fino a
questo momento sono stati assegnati a
missioni connesse con attivila maritiimo-
- aeronautiche, e il resto fa parte della for-
za sovietica dì bombardieri medi. Non vi
sono molti dubbi però nemmeno sul tatto
che il Backfire abbia una certa capacita
miercontinentale, soprattutto permissio-
ni senza possibilità di ritomo con recupe-
ro in un paese terzo, per attacchi di andata
e ritorno contri) 11 territorio ucci de ni ale
degli Stati Unili e, ammesso il rifornimen-
to di carburante in volo, per missioni di
andata e ritomo ancora più lunghe.
Pur escludendo il Backfire dal computo
totale dei vettori strategici, il trattato
SALT 2 sarà accompagnato da assicura-
zioni di vario genere (alcune sotto forma
di dichiarazioni unilaterali) che limite-
ranno il valore strategico di questo appa-
recchio. Tali assi cu razioni potrebbero
comprendere limiti alla produzione e allo
spiegamento del Backfire. vincoli all'im-
piego del bombardiere in congiunzione
con aerei in grado di rifornirlo di carbu-
rante in volo e lìmiti all'autonomia e al
carico esplosivo del bombardiere stesso.
Di queste assicurazioni, la più facile da
verificare sarebbe quella relativa ai limili
posti alla produzione e allo spiegamento
(anche ammesso l'inganno), date sempli-
cemente le dimensioni e la complessità di
queste attività. Questi vincoli sono appli-
cabili tanto al Backfirc quanto ai bom-
bardieri strategici Bear e Bison di cui si è
discusso in precedenza.
Controllare il rispetto dei limiti relativi
agli aerei cisterna sarebbe un po' difficile.
I piloti dell'Air Force americana testimo-
niano della difficoltà del rifornimento di
carburante a mezz'aria. È estremamente
dubbio che i sovietici possano cercare ef-
fettivamente in caso di guerra di rifornire
ì Backfire in volo senza aver fatto prima
un po' di pratica in materia, e qualsiasi
VETTORI
DI ARMI
STRATEGICHE
NUMERI
DI VETTORI
SCHIERATI
1
NUMERO
DI TESTATE
PER VETTORE
1
NUMERO TOTALE
DELLE TESTATE
>
ICBM MINUTEMAN III
550
3
16S0
SLBM POSEtDON C-3
496
10
4960
TOTALE PARZIALE
1046
6610
>
(E
ICBM TITAN II
54
1
54
s
ICBM MINUTEMAN II
450
1
450
o
E
SLBM POLARIS A-3
160
1 (3 MIRV)
160
t-
BOMBARDIERE B-52D
79
4
316
o
BOMBARDIERI B-52G. B-52H
269
A
I076 ( + 1500 SRAM)
TOTALE PARZIALE
iota
3556"
TOTALE
2058
10 166
In questa tabella l'arsenale strategico americano è divisti in due catenarie, che comprendoni!
rispettivamente i lettori con e sen/a armi dolale di tesiate multiple indipendenti. Si ritiene che il
numero delle testate nucleari per I*S1 Ji\1 Poseidon C-3 sia una cifra media. II numero dei B-52
per missioni strategiche è una stima. Il numero delle testate di ogni B-52 strategico rappresenta il
carico standard: ì B-52H e B-5ZG portano una serie aggiuntiva di missili offensivi a breve raggio
con testale nucleari tSRAM). Le tre testale dVH'SI BM Polari* A -3 non sono indipendenti e
quindi non sono contati come MIRV. Sono omessi i missili da crociera e i bombardieri I • B I 1 1.
10
11
VETTORI
DI ARMI
STRATEGICHE
NUMERO
01 VETTORI
SCHIERATI
NUMERO
DI TESTATE
PER VETTORE
NUMERO TOTALE
DI TESTATE
>
oc
ICBM SS-17
100
1 oppure 4
?
a
ICBM SS-16
170
1 oppure 8
^2500
o
£
t-
ICBM SS-19
TOTALE PAH2IALE
320
590
1 oppure 6
--
-2500
ICBM SS-9
130
1
130
ICBM SS-11
620
1 (3 MIRV)
620
|
ICBM SS-1 3
40
1
40
£
ICBM SS-16
20
1
20
o
E
SLBM SS-N-6
526
1 (2 MIRV)
528
P
SLBM SS-N-8
2B6
1
766
z
SLBM SS-N-17
16
1
16
o
z
SLBM SS-N-18
96
1
96
BOMBARDIERE BEAR
100
2
200
BOMBARDIERE BlSON
TOTALE PARZIALE
40
2
SO
2016
1B76
TOTALE
2466
-4500
L'arsenale strategico sovietico viene stimalo in questa latitila su una base analoga a ijuelli della
figura preccilcnlc. Secondo le nuove «norme contabili» del SALI 2. i totali parziali dei MIRV
indicali qui un Imi. un. circa 135 II IIM che non sono slati ancora tintati di MIRV e portano quindi
ancora una testala singola, tnnttre t iene omesso il bumba rdiere a raggili intermedio che gli analisti
mi li i.i li degli Stali ! «ili indicano col nome di Backfire. In genere i calcoli numerici di questo tipo
non rispecchiano i mite* oli vantaggi americani rispetto all'URSS in termini di precisione e di
affidabilità dei missili. Inoltre queste tabelle non tengono in considerazione il fallo che gli l SA
hanno migliaia di armi nucleari lattiche capaci di raggiungere obicttivi in territorio sovietico,
mentre l'URSS non ne ha nessuna in grado di colpire analogamente un bersaglio negli Stali I ri ni.
volo di prova può essere seguito dagli Sta-
ti Uniti con mezzi di vario genere, com-
presa l'in te ree nazione delle comunica-
zioni fra gli aerei interessali. Se però i
sovietici decidessero di correre il rischio e
cercassero in caso di guerra di rifornire di
carburante il Back fi re in volo senza prove
preliminari, non esiste nessun mezzo ga-
rantito per il controllo di uno qualsiasi dei
vincoli pi (su all'uso degli aerei cisterna.
Di tutte le assicura/ioni dei SAI T 2 sul
Backfire. la più difficile da controllare è
quella in cui sono coinvolte le caratteristi-
che dell'aereo, con particolare riferimen-
to all'autonomia e al carico esplosivo
Anche con la più ampia libertà di sorve-
glianza, si sono già avuti contrasti di opi-
nione fra gli analisti americani ;i proposito
dell'autonomia del Backfire. Nell'ipotesi
di un'abile e decisiva volontà di inganno
da parte dell'URSS, sarebbe forse possi-
bile mascherare tanto l'autonomia quan-
to il carico esplosivo del velivolo.
L'altra arma a raggio d'azione inler-
medio che pnirehhe essere convertila in
arma strategica è l'IRBM SS-20. L'SS-20
non rientra nel trattalo SALT 2 in quanto
il suo raggio attuale (3000 chilometri) è al
di sotto del limile inferiore di 55110 chilo-
metri stabilito per definire gli ICBM. Il
problema potenziale nasce dal fatto che
l'SS-20 comprende i primi due stadi det-
l'SS-16, un ICBM a tre stadi di tipo più
progredito; inoltre il dispositivo mobile di
lascio dell 'SS-20 è identico a quello del-
l'SS- 1 6. Facendo delle scorte di terzi stadi
e di cariche esplosive di SS-1 6. a un certo
momento in futuro i sovietici potrebbero
essere in grado di apportare miglioramen-
ti qualitativi all'SS-20, facendolo diventa-
re in breve tempo un SS-16. Questo con-
sentirebbe loro un aumento numerico
molto rilevante della loro forza di ICBM
con pochissimo preavviso.
L'accordo SALT 2 tuttavia metterà
specificamente al bando l'ulteriore pro-
duzione, sperimentazione e spiegamento
degli ICBM SS- 16 ed esigerà anche lo
smaltellamento degli SS-16 già esistenti.
Così, se i sovietici dovessero cercare di
accrescere la loro forza di ICBM aggiun-
gendo un terzo stadio e un diverso carico
esplosivo agli SS-20. tramutandoli in pra-
tica in SS-16, lo farebbero senza nessuna
possibilità di sperimentare il nuovo siste-
ma. Da due anni i prototipi esistenti del-
l'SS-16 non sono stati più sperimentali .
In poche parole, il problema di appor-
tare miglioramenti qualitativi agli SS-20 6
un altro problema di sperimentazione.
Per aver un minimo di fiducia in SS-20
cosi migliorati, e in particolare quel tanto
di fiducia che basti a soddisfare eli stra-
teghi sovietici, tradizionalmente conser-
vatori, l'URSS dovrebbe sperimentarne
qualcuno e, come già abbiamo messo in
rilievo, la sperimentazione clandestina
di nuovi missili strategici da pane del-
l'URSS è praticamente impossibile.
II problema di impedire ai sovietici di
convertire armi non strategiche viene
complicalo da un altro fattore: l'esistenza
nel loro arsenale dì un certo numero,
compreso fra 90 e 100, di bombardieri
pesanti «ristrutturati». Questi apparecchi
sono stati modificati in modo da svolgere
un ruolo di ricognizione e di guerra atiti-
sommergibìli, ma conserverebbero sem-
pre il loro vano bombe. Qualunque ulte-
riore mutamento di carattere permanente
nella configurazione della maggior parte
di questi apparecchi potrebbe venire in-
dividuala in lempo. Ciò nonostante, una
dozzina circa di questi aerei fu costruita in
origine in modo tale da permettere la ra-
pida conversione in bombardieri pesanti
negli stessi campi d'aviazione, rendendo
estremamente difficile un pronto control-
lo del loro ruolo non strategico.
Oltre a fissare un limite al numero dei
vettori, il trattato SALT 2 porrà li-
miti numerici anche ai missili dolali di
testate multiple indipendenti (MIRV)e ai
bombardieri equipaggiali con missili da
crociera strategici lanciati dall'aereo in
volo(ALCM). In base al trattato, il totale
di questi due tipi di sistemi d'arma non
dovrà essere superiore a 1320. A nes-
suna delle due parli saranno concessi
inoltre più di 1200 missili di tipo MIRV e
gli ICBM dotati di MIRV verranno limi-
tati a 820.
Vi sono quattro modi in cui i sovietici
potrebbero cercare di aumentare oltre i
limiti del trattato il totale congiunto di
MIRV e di ICBM; costruendo nuovi silos
per gli ICBM e nuovi sommergibili SLBM
per i missili supplementari dolati di
MIRV; sostituendo ai missili nondotatidi
MIRV dei missili del tipo MIRV nei silos
sui sommergibili già esistenti; mettendo
cariche esplosive del tipo MIRV su missili
non dotati di testate multiple nei silos esi-
stenti e mettendo ALCM strategici su un
numero più elevato di bombardieri.
Il primo modo in cui l'URSS potrebbe
cercare di eludere il tetto dei MIRV/
ALCM - costruendo cioè nuovi silos e
nuovi sommergibili per missili di tipo
MIRV - sarebbe chiaramente irrealizza-
bile, in quanto qualsiasi inganno sul nu-
mero totale di tali vettori strategici può
essere scoperto dagli LISA con un eleva-
tissimo grado di sicurezza.
Il secondo modo in cui i sovietici po-
trebbero superare il letto MIRV/ALCM
sarebbe quello di sostituire missili di tipo
MIRV ad altrettanti missili non dolali di
testale multiple nei silos o sui sommergi-
bili già esistenti. Per scoprire la loro sosti-
tuzione clandestina con missili di tipo
M 1 R V bisogna che gli USA sappiano qua-
li missili sovietici sono appunto di tipo
MIRV e quali silos e sommergibili con-
tengono missili di questo e quel tipo.
Nei negoziali SALT 2 entrambe le parti
si sono dichiarale d'accordo nel lai rien-
trare sotto il (cito dei MIRV tutti i missili
di un tipo sperimentato con testale multi-
ple o lancialo da un vettore con una testa-
ta dotata di MIRV. Gli USA avevano
proposto questa norma contabile per il
semplice fatto che essa facilita il control-
lo. Gli analisti americani sanno già, da
osservazioni condotte su vasta scala, quali
degli odierni missili sovietici «possono
essere dotali di MIRV» e si potranno in-
dividuare i lui uri ICBM e SLBM di que-
sto slesso tipo in fase di sperimentazione.
Sebbene eli USA sappiano quali missili
sovietici sono dotati di MIRV. rimane un
altro interrogativo e possibile dire quali
silos e quali sommergibili contengono
Ljuesiooquel tipo di missile' 1 Ancora una
volta la risposta viene dalle differenze
note fra i vari sistemi missilistici, innanzi
tutto i silos sovietici the contengono mis-
sili che possono essere dotati dì MIRV
sono notevolmente diversi all'aspetto da
quelli che con tengono invece missili senza
testate multiple ìn secondo luogo i vetto-
ri di tipo MIRV richiedono sistemi di
comandoc di controllo, apparecchiature
di -.osiegno e altre attrezzaiure diverse
dagli altri, e tutte queste cose sono osser-
vabili con i satelliti americani già esìstenti.
Anche i vari tipi di tubi lanciamissili dei
sommergibili strategici possono essere
identificati da satelliti da ricognizione
americani. Qualsiasi tentativo da parte
dei sovietici di installare SLBM di tipo
MIRV sui sommergibili fin qui attrezzali
per missili non dotati dì testate multiple
richiederebbe una modifica dei tubi di
lancio, la sostituzione dei sistemi di con-
trollo de! lancio stesso e altre estese modi-
fiche. Tutte queste cose richiederehbero
tempo. Anche per una revisione di routi-
ne di un sommergìbile nucleare ci voglio-
no da 30 a 36 mesi. In queste circostan-
ze i cambiamenti sarebbero facilmente
individuabili.
L'n altro metodo per eludere i limili
posti ai missili di tipo MIRV sarebbe quel-
lo di prendere un missile normale e sosti-
tuirne semplicemente la testata. Se i so-
vietici dovessero montare cariche esplo-
sive di tipo MIRV sui missili normali che
si trovano nei silos o sui sommergibili già
esistenti, la cosa sarebbe molto diffìcile da
scoprire. Per fortuna tali cariche esplosive
trasleribili non esìstono ancora e l'attuale
generazione di missili sovietici ha carane-
ristiche di progettazione che rendono
impossibile trasferire cariche esplosive
MIRV dai nuovi missili dì tipo MIRV a
quelli vecchi privi di testate multiple.
Un ultimo metodo per eludere il letto
dei MIRV sarebbe quello di monta-
re missili da crociera su un numero sup-
plementare dì bombardieri. Il brattato
pone un tetto di 1320 al numero com-
plessivo formato dai missili di tipo MIRV
e dai bombardieri dotali di ALCM. Po-
trebbero t sovietici superare ude letto
producendo un numero di bombardie-
ri muniti di ALCM superiore a quello
concesso?
In un futuro prevedibile gli USA po-
tranno dire quali bombardieri sovietici
sono dotali di missili da crociera, in quan-
to i missili sovietici di questo tipo sono
montati esternamente e quindi sono visi-
bili. Montati all'interno, costituirebbero
un problema, ma finora i sovietici non
hanno ancora latto nienie in questo sen-
so. I missili da crociera montali all'interno
sarebbero più facili da scoprire al momen-
to della loro introduzione, poiché l'appa-
recchio interessato dovrebbe essere man*
dato presumibilmente in qualche impian-
to centrale per essere modificalo e le atti-
vità di questi impianti sono seguite dagli
Stati Uniti con molta attenzione-
La verifica del limile dei missili da cro-
ciera montali all'interno dei bombardieri
sarà facili lata in misura notevole dall'a-
dozione nell'accordo SALT 2 di una
norma «tipo*, la quale affermi semplice-
mente che se un solo bombardiere dì un
da io tipo porla degli ALCM. lutti i bom-
bardieri dello stesso tipo verrebbero in-
clusi nel novero dei velivoli dolali di
ALCM. Tuttavia altro è coniare quali
bombardieri hanno missili da crociera e
altro è verificare quali bombardieri sono
strategici Un bombardiere potrebbe es-
sere dotato dì missili da crociera a corto
i, e questo ne escluderebbe la quali-
! : liombardiere armato di missili da
crociera strategici. Oppure potrebbe es-
se i e dotato dì missili da crociera a lungo
raggio ma con una carica esplosiva non
nucleare. Donde il problema distinto e
molto più complicalo di determinare se i
missili da crociera montati sui bombar-
dieri abbiano un raggio strategico (m que-
sto caso più dì 600 chilometri) e una can-
ea esplosiva strategica
In condizioni normali gli USA hanno la
possibilità di ottenere stime adeguate,
anche se approssimative, di queste carat-
teristiche, ma non c'è nessun modo giste -
malico di verificare il raggio di un missile
da crociera Né il suo aspetto esteriore né
la sua sperimentazione in volo rivelereb-
bero differenze significative. Diversa-
mente dai missili balistici, i missili da cro-
ciera non devono essere sperimentali per
forza in lutto o quasi il loro raggio, perché
i militari abbiano piena fiducia nella loro
efficienza. Al pari degli aerei, essi posso-
no essere trasportati in volo per un certo
pc riodo di tempo in condizioni di crociera
e il loro raggio può essere stimato sulla
base della quantità di carburante consu-
mato. D'altra parte, i capi di stato mag-
giore degli Stati LInìti dispongono di buo-
ne stime del raggio dei missili da crociera
sovietici già esistenti e l'URSS non dispo-
ne ancora di missili da crociera aria-terra
dolati di un raggio strategico. È inoltre
opinione tfiffast che ancora per molli
anni i sovietici non avranno molti Al ( M
a lungo raggio e, quindi, è improbabile
che possano superare le limitazioni nu-
meriche previste dal SAI T 2 prima della
scadenza del imitalo nel 1985.
Quanto alla carica esplosiva dei missili
da crociera, non esiste attualmente nes-
sun modo per distinguere dall'esterno se
un missile di questo tipo ha o non ha una
testala nucleare. Ancora una volta però è
opinione diffusa che per molti anni i so-
vietici non avranno ALCM a lungo raggio
con testate nucleari e neppure con testate
convenzionali, si da rendere improbabili
violazioni di questa clausola prima della
scadenza del trattato.
Anche ammesso però che i sovietici
perfezionino effettivamente degli ALCM
strategici, gli Stati Uniti non avrebbero
ancora perso la partita. Se i sovietici do-
vessero incominciare a dotare di nuovi
ALCM gli aerei già esistenti, nascerebbe-
ro s os petti e gli americani si renderebbero
conio della potenzialità di inganno. E
anche se l'URSS dotasse di ALCM un
nuovo bombardiere ma affermasse fal-
samente che non si tratta di un aereo stra-
tegico e gli USA non fossero in grado di
contraddire l'affermazione, è dubbio che
prima della data di scadenza del trattato
possano rendersi disponibili più di I 20
bombardieri o pressappoco.
Il trattalo SALT 2 conterrà anche un
sottalimite al numero dei grandi e mo-
derni missili balistici (MLBM) concessi a
ognuna delle due parti. Qualunque missi-
le più grande delI'SS- 1 1 > sovietico (che ha
un «peso di lancio» di circa 36011 chilo-
grammi) verrà considerato un MLBM:
qualunque missile più grande del più
grande ICBM altualmente a disposizione
dei sovietici (vate a dire l'SS- 1 S. che ha un
peso di lancio di 7200 chilogrammi) sarà
proibito 11 dibattilo sulla sostituzione
degli SS- 1 1 con gli SS- lo dopo la firma
del SALT I è un'ampia prova della raffi-
natezza delle tecniche di inierccliazione
radar degli Stati Uniti La disputa si acce-
se sull'interrogativo se l'installazione de-
gli SS-iy nei silos degli SS-1 I viola-ssc le
clausole del SALT I relative alla sostitu-
zione di missili «leggeri» con altri «pesan-
ti?- L'opinione generale in chiusura del
dibatlilo fu che la sostituzione compilila
dai sovietici non \ iolava la lederà del trat-
talo SALT I. ma era tneompalibile con
una delle dichiarazioni unilaterali fatte a
quel tempo dagli Stati Uniti. Qui peraltro
il punto principale e quello che la discus-
sione ha rivelalo, e ciocche gli USA sape-
vano con precisione quanto l'SS- 14 fosse
più grande deiTSS- 1 I .
Il trattato SALT 2 proibirà anche i si-
stemi di «ricaricamento rapido- I o sco-
po di questa clausola è quello di evitare
che l'URSS possa accumulare ICBM in
più e li inserisca nei dispositivi di lancio
esistenti una volta sparata una prima sal-
va. Caricare un missile di 50 tonnellate in
un silo sotterraneo è molto complicalo.
Le elaborate attrezzature che sorgono
intomo ai silos so! terranei esistenti, al-
trezzature necessarie perché un sistema
del genere possa funzionare, per non par-
lare dei luoghi di immagazzinaggio desti-
nali ad accogliere i missili in più sarebbe-
ro certamente individuabili coi satelliti
esistenti ! sondici potrebbero spargere
lontano dai silos le attrezzature e i missili
in più ed evitare probabilmente in lai
modo la loro individuazione ila parte de-
gli americani finché non avessero speri-
mentalo il sistema, in questo caso pero
non avrebbero più una capacita di rieari-
camenlo rapido, e cosi non ci sarehbe nes-
suna violazione di questa clausola
O oltre al trattato valido fino al 1"K5.
l'accordo SALT 2 conterrà un pro-
tocollo valido fino al I9H2. e anche in
quest'ultimo vi saranno problemi di con-
trollo. Lina parte di questo protocollo
metterà al bando lo spiegamento e la spe-
rimentazione di dispositivi mobili di lan-
eiodilt HM II potenziale di violazione di
questa sezione sia nel possibile spiega-
mento uellTCBM SS- 16 già esistente con
nuove basi mobili; nessun altro ICBM di
questo lipo è previsto prima della scade n-
12
13
za del protocollo. È fuor di dubbie a que-
sto proposito la capacità degli USA di
accertare un eventuale spiegamento da
parte sovietica di un sistema mobile con
base a terra. Ciò nonostante, in certi
schemi ingannevoli di fondu, quali il ber-
saglio con molli centri, o «gioco delle
apparenze» (che comporta la costruzione
di centinaia o addirittura di migliaio di
rifugi, di cui soltanto alcuni contengono
missili), verificare il numero effettivo dei
missili schierati sarebbe molto difficile.
Il protocollo del SALI 2 metterà al
bando anche gli esperimenti in volo e lo
spiegamento di missili da crociera lanciati
da terra o dal mare e dolali di un raggio
supcriore ai 6(111 chilometri. Data l'ini-
possibilità di deierminare con precisi» me
il raggio dei missili da crociera nel caso dì
una deliberata volontà di inganno, un
bando di questo genere non sarebbe am-
imi labi le.
Gì esperimenti in volo dei missili da
crociera americani sono incominciali per
altro solo di recente e lo schieramento di
questo tipo di arma in una quantità signi-
ficativa dal punto di vista militare non e in
programma fin dopo la scadenza del pro-
tocollo del SALT 2. Gli attuali missili da
crociera sovietici sono tecnologicamente
primitivi. Gli USA sono molto più avan-
zati nello sviluppo delle Icstate compatte,
dei sistemi di guida basati sull'uso dei cal-
colatori e dei piccoli motori a turbina eoli
elica intubata; sono molto più avanti cioè
in tutte le tecnologie che Mino la chiave di
volta dei missili da crociera piccoli ma a
lungo raggio II Dipariimenro americano
della difesa ha dichiaralo che in fatto di
tecnologia dei missili da crociera gli Stali
Unili sono «10 anni avanti ai sovietici» e
che i missili da crociera americani attual-
mente in fase di sviluppo sono avanti di
«due o tre generazioni» rispetto alle armi
sovietiche attuali.
Vi sono nondimeno alcuni missili da
crociera sovietici lanciati dal mare che
superano di ben 250 chilometri il lìmite
dei 600 chilometri. Data però la loro pro-
gettazione primitiva, essi sono molto
grandi. Poiché qualsiasi tentativo di dare
inizio a nuovi spiegamenti di forze ver-
rebbe rilevato e poiché i sovietici non
hanno nessuna capacità di schierare pri-
ma del I V82 nuovi missili da crociera a
lungo raggio lanciati da terra o dal mare,
praticamente in proposito non esiste nes-
suna possibilità potenziale di violazioni
da parte dell'URSS. Il protocollo del
SALT 2 comprenderà cene limitazioni
' / ;-
,*. ' •
*/%
(iti titillali satelliti da ricognizione cu prono fot i-grafica min li ogni an-
golo del mundi», comi' ci tieni' suggerilo da quesiti cartina ottenuta al
calcolatore, preparata dai ricercatori della tip li cai Svslems Divisino
della Ile k Corporation in relazione al tori» la Mini stillo sviluppi! di una
iiiint :i macchina fotografica di grande formalo per il progetto Space
Stili [Ile della N allunai Aeronaiitics .uni Som e \ilminislration. Svenutili
t'Iteli, Iti scopo della nuota macchina fotografica i' quello di "t i minimi -
re ali 'esplora/ione di nuovi giacimenti di petrolio e di altre risorse
naturali di lutto il mondo, Tacendo una mappa dell'ambiente terrestre
e tenendolo Sfitto controllo», fornendo immagini in hiancu e nero e a
colliri «con un'ampiezza di campii, una chiare/la e una fedeltà che in
passato non era pnvsihilc olti-nere» da sistemi non militari. In una tipica
missione d'ulta (pinta, come quella qui raffigurala, la Sparc Shuttle
Ina tetta -.[laziale I che porla questa macchina fotografica terrebbe lan-
ciala in un'nrbila polare approssimativamente circolare dalla Vaioli r-
berg Air fune Base della California, le «orme» rettangolari deli-
mitano 3468 fotogrammi singoli «esposti durarne passaggi alla luce del
giorno in un'orbita inclinata di 97,6 gradi rispetto all'equatore e a una
i| aula ili 194 miglia marine», ili palese ingrandimento dei fotogrammi a
quole superiori è una distorsione dovuta alia proiezione di Mercatore
adottata dai cartografi.) In tondi/ioni adatte lutto il globo potrebbe
essere coperto dalla Spuce Shuttli' in due voli di otto giorni, che richie-
dono approssimali» amcnlc 16(111 metri di pellicola contenuta in due
boti ine recuperabili. In una missione di questo genere il potere ri-
solutivo fotografico sul terreno sarebbe in media «migliore di 75 piedi
|2286 cm| (rispetto ai 251) piedi |7620 cm| delle future missioni
l-ANDSAT).» Si pensa che l'attuale generazione di satelliti militari
da ricognizione fotografica degli Slati Uniti voli in orbite polari analo-
ghe, sia pure a quote inferiori. Oltre alle loro macchine fotografiche
di grande formalo, lai! satelliti militari portano macchine ad alta di -
finizione rapaci in teoria di scattare fotografie con un potere risolu-
tivo sul terreno di circa 3(1 centimetri da una quola di 161) di ih un ci ri.
agii esperimenti in volo e allo spiegamen-
to di nuovi tipi di missili balistici. Anche
se una piena valutazione dei relativi pro-
blemi di controllo dipende da un'analisi
particolareggiata di qucsie limitazioni, c'è
ragione di essere nitimistì. Nuovi missili
balistici possono essere scoperti in fa.se di
sperimentazione e lo spiegamento dì un
numero aggiuntivo di nuovi missili sarebbe
una delle violazioni più facili da rilevare.
La capacità degli Stati Uniti di scopri-
re le violazioni potenziali dell'accordo
SALT 2 da pane dell'URSS si può rias-
sumere in termini di tre livelli generali di
sicurezza. In primo luogo, vi sono i nume-
rosi metodi di inganno per i quali le rapa-
cità di controllo degli Stati Uniti sono ot-
time e. di conseguenza, le possibilità di
successo di eventuali violazioni da porte
dell'URSS sono remote. Queste eventua-
lità comprendono tutti i settori nei quali
una violazione di un certo rilievo da parte
sovietica potrebbe allenire l'attuale
•equilibrio strategico del terrore»: lo
spiegamento di nuove armi strategiche,
l'aggiunta di un numero anche piccolo di
bombardieri e di SLBM. lo spiegamento
di un numero supplementare dì ICBM su
Vasta scala o su scala media, il migliora-
mento l'udltiaiiui del missile SS-20 tanto
da farlo diventare un'arma strategica (a
meno che non venga migliorato senza
sperimentazione), lo spiegamento di un
numero aggiuntivo di missili dotati di
M1RV e di bombardieri mundi di ALCM
(in mancanza di sistemi radicalmente di-
versi), il miglioramento di missili più pic-
coli tanto da fame dei grandi missili mo-
derni e l'introduzione dì sistemi di ric:m-
camento rapido.
In secondo luogo, vi sono parecchi set-
tori nei quali le capacità di controllo degli
Siali Unili sono attualmente molto debo-
li. In tutti qui sii casi i ut Livia una possibile
violazione non ha nessun valore dal pun-
to di vista militare. 1 problemi di control-
lo comprendoni! l'individuazione dello
spiegamento su scala ridotta di un nume-
ro aggiuntivo di ICBM. il controllo delle
caraneristiche operative del bombardiere
Backfirc, la verifica del fatto che non esi-
sta un sistema di miglioramento del-
t'SS-20 non spi rimcntaioc la verifica sic I -
lo status di un numero limitato di variami
di bombardieri pesanti.
In terzo luogo vi sono alcuni settori,
soprattutto quelli che comprendono i
missili da crociera e le cariche esplosive
trasferibili dei M1RV, in cui gli USA po-
trebbero trovarsi di fronte a gravi pro-
blemi di controllo nella prossima fase dei
negoziati SALT. Oggi i missili da crociera
sovietici sono primitivi, ma in futuro sarà
praticamente impossibile a un certo pun-
to stabilire se il raggio d'azione di un dato
missile da crociera sovietico sia tanto lun-
go da doversi considerare strategico. Gli
Siati Uniti non saranno in grado di stabi-
lire nemmeno se la carica esplosiva di un
dain missile sovietico di questo tipo sia
costituita da esplosivi tradizionali o da
esplosivi nucleari. Non sarà mai facile
inoltre un calcolo preciso dei missUi da
crociera.
Attualmente la carica esplosiva dei
missili sovietici dì tipo MIRVè cosi diver-
sa da quella dei missili a testala singola
che non è possibile installare dei M1RV
sui vecchi mìssili. Se i sovietici alla fine
riusciranno a creare una testata trasferibi-
le, gli USA potrebbero trovarsi di fronte
allora a un grave problema di controllo.
Le questioni dei missili da crociera stra-
tegici e delle cariche esplosive trasferibili
non sono problemi di grande rilievo nei
limili dell'arco di tempo coperto dall'ac-
cordo SALT 2. Al momento però di un
patto SALT 3, alla mela degli anni ottan-
ta, i problemi di controllo saranno certo
mollo più diffìcili.
In linea generale le capacità di ricogni-
zione degli Siali Uniti citate in questo
articolo sono state quasi certamente un
po' sottovalutate. La ragione è che ab-
biamo preso in considerazione soltanto
quei metodi di raccolta delle informazioni
su cui è possibile fare sicuro affidamento,
come le fotografie prese dai satelliti. Di
tatto vi sono moltissime altre informazio-
ni, fra quelle che arrivano ai centri dei
servizi di spionaggio americano, della cui
veridicità non sì può esser sicuri a priori.
Per esempio, l'intercettazione da pane
americana di comunicazioni e di segnali
interni entro i confini dell'URSS potreb-
be forse raccogliere le prove di qualche
attività che non è possibile individuare
con le fotografie prese via satellite. Una
violazione non individuata potrebbe per-
fino essere rivelata da un disertore, la cui
defezione non potrebbe mai essere pre-
supposta a priori. 1 dati oltcnuti in circo-
stanze fortuite di questo genere ridurreb-
bero senza dubbio ancora di più le possi-
bilità di successo di eventuali violazioni.
È stata invece sopravvalutata, in questa
sede, la potenzialità delle violazioni, per-
ché dalla prima all'ultima riga ci siamo
sempre basati sull'ipotesi di una straordi-
naria abilità dell'URSS nell'arie dell'in-
ganno, un'ipotesi che è normale quando si
tratta di valutare le proprie capacità di
controllo.
Non è detto però che questa sia neces-
sariamente un'ipotesi realistica, perché
anche i piani meglio elaborati di una na-
zione che cerca di ingannare possono
andare a monte.
Si prenda, per esempio, l'unico caso
noto in cui l'URSS tentò un importante
conctniramento segreto di armi strategi-
che: quello di Cuba prima della crisi dei
1 1 dell'ottobre del 1 962. Ebbene, pur
volendo chiaramente tenere nascosta la
sede dei missili offensivi nell'isola, i sovie-
tici furono del tutto incapaci di farlo. In
parecchie occasioni i loro piani furono
traditi dalle procedure e dalle consuetu-
dini operative standard, che sono neces-
sarie per il funzionamento di qualsiasi
grande organizzazione e che notoriamen-
te sono rigide. Perché l'inganno riesca,
tutto deve muoversi alla perfezione. Nel
mondo reale però un fatto imprevisto può
sconvolgere lutti i piani. Non è detto certo
che si debba essere sicuri del fallimento di
ogni singolo schema, ma sarebbe stollo da
parte di qualunque nazione contare sul
fatto che la cosa non accada.
Si -eli Stali Uniti c'è già stato un acceso
dibattito sulle possibili violazioni sovie-
tiche dell'accordo SALT 1, Quell'espe-
rienza ha sollevato molli interrogativi sul-
le intenzioni dei sovietici di conformarsi
ai trattati esistenti, ma non ha fatto sorge-
re il minimo dubbio sulla capacità degli
USA di controllare quello che i sovietici
vanno facendo. In realtà la base stessa
delle accuse che danno per avvenute delle
violazioni è costituita dalle notizie parti-
colareggiate che i servizi di informazione
degli Siali Uniti hanno raccolto sulle
azioni sovietiche dopo la firma dell'ac-
cordo SALT I . Il dibattito era accentrato
non tanto sulle azioni sovietiche quanto
piui tosto su ciò che da esse si poteva de-
durre. Se per esempio l'URSS avesse
svolto qualche aiiività illecita passata
inosservata, la cosa ovviamente avrebbe
sollevato dei dubbi sulle capacità di rile-
vamento degli USA, ma finora nessuno
ha nemmeno accennato a una possibilità
del genere.
I-in qui abbiamo preso in esame soltan-
to il potenziale di violazioni non indivi-
duate. Un problema altrettanta impor-
tante èst i sovietici temerebbero di ai ma-
re qualche violazione se avessero l'im-
pressiùne dì potersela cavare impune-
mente. Il potenziale dì violazione e picco-
lo; le probabilità di violazioni sembrano
ancora più ridotte
Innanzitutto, nel quadro del SAI 1 2
rimane ancora a entrambe le pani un
ampio margine per poter perseguire pro-
grammi stra legni senza imbrogli, (erto,
senza il SALT 2 i sovietici sarebbe 1 1 > m
grado di creare uno schieramento di forze
mollo più grande, ma anche entro i termi-
ni ilei trattato hanno pur sempre la possi-
bilità di fare molto. Possono smantellare i
missili esistenti e sostituirli con altri pio
precisi e di maggiore affidamento, Posso-
no aumentare in misura notevole le loro
scorte di missili a icstate multiple. Posso-
no compiere uno sforzo maggiore in eerti
sei tori non proibiti dal SALT 2. come la
guerra antisommergibili, che negli Siali
Uniti potrebbe venire percepito come
una minaccia.
In secondo luogo, anche se i sovietici
manifestassero una certa insoddisfazione
nei confronti dell'accordo SALT 2 dopo
averlo firmato e ratificato, non è detto che
debbano ricorrere per forza all'inganno.
Parecchie alternative potrebbero appari-
re almeno altrettanto allettanti, se non di
più: cercare di nnegoziare certe clausole,
cercare dì modificare i termini del patto
SALT 2 nei negoziati per il SALT 3. rin-
negare una parte del trattato (o anche
ritirarsi del tutto dal trattato stesso); mo-
dificare in parte i propri programmi per
conformarsi al trattato e cosi via
In terzo e ultimo luogo, c'è la questione
di quali benefici proverrebbero all'L'RSS
dall'attuazione di un inganno. Potrebbe
non esserci nessun vantaggio di natura
politica, a meno di non rendere pubbliche
le trasgressioni. Nessuno infatti viene in-
timidito da armi di cui non si sa se esisto-
no. Ciò nonostante, se i sovietici rendes-
sero dì pubblico dominio un loro inganno,
ci sarebbero enormi ripercussioni di ca-
14
15
ratiere politico. Il governo statunitense,
per esempio, potrebbe trovarsi con una
concentrazione di armi senza precedenti
in risposta all'espressa richiesta di un
pubblico americano allarmato
Iveri pericoli insiti in eventuali viola-
zioni sovietiche del SALT 2 si presen-
terebbero soltanto se con la frode fosse
possibile acquisire dei vantaggi di grande
valore militare, come sarebbe il caso, per
esempio, se i sovietici, dopo aver gettato
fumo negli ocelli per qualche anno, potes-
sero poi rivelare lutto a un tratto una
superiorità schiacciante, tale da costrin-
gere gli Stati Uniti a una resa immediata.
Una cosa del genere per altro è impossibi-
le. In base all'accordo SALT 2 gli USA
PARTE I: TRATTATO
avranno sempre un arsenale strategico
formidabile: quasi 2000 vettori e circa
10 00(1 lesiaie indipendenti. Per sconvol-
gere l'aequilibrio del terrore» di ordine
strategico i sovietici avrebbero bisogno di
un numero di armi mollo più grande di
quello che \ iene loro concesso attualmen-
te e sarebbe loro impossibile accrescere
indebitamente il numero delle toro armi
senza ricorrere a imbrogli di natura cosi
massiccia ed estesa da renderne sicura
l'individuazione.
Per orientarci meglio, prenderemo in
esame un cerio numero di plausibili «casi
limite» in cui l'URSS potrebbe effettiva-
mente architettare la violazione di certe
clausole del SALT 2 ed evitare che la cosa
venga scoperta. Per esempio, i sovietici po-
trebbero aumentare clandestinamente di
ben H)0 vettori ICBM il turo arsenale sira-
tegico. ma questo vorrebbe dire soltanto un
aumento di meno del cinque per cento del
loro contingente di vettori e non produr-
rebbe nessun vantaggio tangibile. Attual-
mente i sovietici hanno quasi 2500 missili e
bombardieri. In base all'accordo SALI 1
questo totale scenderebbe a un massimo di
2250, che significa una riduzione di circa
250 unità. Qualsiasi frode sarebbe pertan-
to più che comrobi lanciata dalla riduzione
delle forze richiesta dal trattalo.
I sovietici potrebbero anche destinare
in caso di guerra alcuni Backfire a missio-
ni strategiche. Questa situazione aumen-
terebbe marginalmente le loro forze di
rappresaglia a un attacco americano, ma
CLAUSOLA
TIPO 01 VIOLAZIONE
POTENZIALE DI ATTIVITÀ NON RILEVATE
1 Tetto posto
al numero totale del vettori
(2400 - 2250)
Spiegamento di nuovi sistemi strategici
Nullo
Spiegamento di un
numero aggiuntivo di
sistemi esistenti
SLBM
Nullo
Bombardieri
Nullo
ICBM
Massimo di 100
Conversione
di sistemi non strategici
in sistemi strategici
Backfire. nuova produzione
e spiegamento
Nullo
Backfire che Si servono
di aerei cisterna
per il rifornimento in volo
Trascurabile
Backfire. miglioramento
dell'autonomia
e del carico di bombe
Notevole
SS-20. miglioramento
in SS-16
Trascurabile
Conversione
di bombardieri
ristrutturati
Massimo di 12
2. Tetto posto agli ICBM
e agli SLBM tipo MIRV
e al bombardieri con ALCM
(1320- 1200)
Costruzione di nuove basi missilistiche
o di nuovi tubi di lancio sui sommergibili
Nullo
Sostituzione di missili non dotati di MIRV
con missili dotati di MIRV
nei silos o sui sommerqibili esistenti
Nullo
Spiegamento di cariche esplosive di tipo MIRV
sui missili non dotali di MIRV nei silos
o sui sommergibili già esistenti
Nullo coi sistemi attuali: potenzialmente
grande con sistemi tuturi
Installazione di ALCM sui bombardieri strategici
Nullo nel fuluro immediato, trascurabile
agli inizi degli anni ottanta
3. Tatto posto agli MLBM (308)
Miglioramento in MLBM dei non MLBM
Nullo
4. Bando ai sistemi
di ricaricamento rapido
Spiegamento di sistemi
di ricaricamento rapido
Nullo
PARTE III PROTOCOLLO
1. Bando agli ICBM mobili
Spiegamento di ICBM mobili
Nullo
2. Bando al missili
da crociera strategici
Spiegamento di missili da crociera
su vettori con base a terra o in mare
dotati di un raggio superiore a EOO chilometri
Nullo durante il protocollo
3. Limiti a nuovi tipi
di missili balistici
Esperimenti in volo e spiegamento
di nuovi tipi di missili balistici
Probabilmente nullo
Le violazioni potenziali delle clausole dell'accorilo SALI 2 da parte
dell'URSS rientrano in tre euf egerie generali. Primo, vi sono i vari tipi
di violazione per i quali le capacità di controllo degli ISA Mino ottime e
In possibilità clic l'URSS venga meno ai propri doveri e remola (riqua-
dri in colore chiaro); queste eventualità comprendono lutti i setlori nei
quali grosse violazioni da parte dell'I KSS potrebbero sconvolgere
l'altuale equilibrio strategico. Secondo, vi sono i setlori in cui le capa-
cità di controllo degli USA sotto per il momento molto limitate ma in
cui le possibili violazioni non hanno valore dal punto di vista militare
(riquadri in colore medio). Ter/o. v i sono alcuni settori nei quali gli
USA non hanno ora gravi problemi di controllo, ma potrebbero aver-
ne nella prossima fase dei negoziali SALT (riquadri in colore <icuro).
diminuirebbe in maniera corrispondente
la loro capacità antinave e ridurrebbe
quella da opporre ai nemici alle frontiere.
e la cosa non sarebbe certo un affare dal
loro punto di vista.
I sovietici potrebbero già avere un po-
tenziale di miglioramento degli SS-20
non sperimentati. Ma anche se questo
potenziale venisse tradotto in pratica, t
missili SS- 1 6 che ne verrebbero fuori sa-
rebbero gli ICBM meno precisi e meno
potenti della generazione attuale. Anche
l'idea di destinare gli SS-20 a missioni
offensive in le rcont mentali porterebbe, se
venisse attuata, a ridurre sostanzialmente
la minaccia nei confronti dell'Europa oc-
cidentale e della Cina.
I sovietici potrebbero convertire gli
apparecchi destinati alla marina in bom-
bardieri a lungo raggio. Anche questo
però aumenterebbe marginalmente la
loro forza strategica di rappresaglia dimi-
nuendo nel contempo la minaccia alla
marina militare americana.
I sovietici potrebbero anche sviluppare
senza sperimentarla una capacità di rica-
ricamento non rapido. Il vantaggio di
poter ricaricare un vettore (nella migliore
delle ipotesi) 12 ore dopo un primo lancio
è discutibile; in quell'arco di tempo il silo
potrebbe venire distrutto.
In altre parole, anche se dovessero
ricorrere all'inganno adottando metodi
in grado di sfuggire all'individuazione, i
sovietici aumenterebbero di ben poco la
loro potenza strategica e potrebbero dì
fatto ridurre la loro forza militare in al-
tri settori.
Insomma, la capacità degli USA di ve-
rificare la volontà sovietica di stare ai pat-
ti è chiaramente essenziale per il successo
dell'accordo SALT 2. A un attento esame
risulta per altro evidente che i tanto
strombazzati problemi di controllo sono
più immaginari che reali. I metodi di rile-
vamento molteplici e moltiplicativi a di-
sposizione degli Stati Uniti sono sufficien-
ti a scoprire qualsiasi violazione tale da
minacciare militarmente questo paese. I
sovietici potrebbero, sì. attuare piccole
violazioni dei trattato senza farsi scoprire,
ma un pugno di missili o di bombardieri in
più aumenterebbe di troppo poco il loro
arsenale per avere valore dal punto di
vista militare. Nel campo politico i sovie-
tici avrebbero più da perdere che da gua-
dagnare violando l'unico trattato molto
importante che essi avrebbero con un'al-
tra potenza straniera.
E in futuro che i problemi del controllo
potrebbero assumere valore critico.
I progressi tecnologici, soprattutto quelli
relativi ai missili da crociera e alle cariche
esplosive MIRV trasferibili, tenderebbe-
ro al massimo le capacità di intercettazio-
ne radar di entrambe le parti una volta
scaduti il protocollo e il trattato SALT 2.
Trattare questi sistemi nel quadro di un
accordo SALT 3 potrebbe benissimo ri-
chiedere una riduzione degli attuali stan-
dard di sicurezza relativi al rilevamento
delle violazioni. A qpel punto sarà oppor-
tuno riesaminare da capo l'intera que-
stione del controllo.
.E SCIENZE
S<1 ISTI HI
VMt.RK.VS
INDICE
GENERALE
1968-78
Un valido strumento
di consultazione e di informazione
per tutti i lettori
di LE SCIENZE
e per chiunque sia interessato
alla cultura scientifica del nostro tempo.
L'indice 1968-1978 è così articolato:
— Presentazione
— TABELLA DI SUDDIVISIONE degli argomenti
— ARTICOLI In ordine alfabetico per autore
— ARTICOLI suddivisi per argomento
— SCIENZA E SOCIETÀ in ordine cronologico
— LIBRI RECENSITI in ordine alfabetico per autore
— LIBRI RECENSITI suddivisi per argomento
— GIOCHI MATEMATICI in ordine cronologico
Nell'indice, che copre dieci anni significativi nel settore
della ricerca scientifica e tecnologica, sono rubricati per
autore, argomento e data: oltre mille articoli, altrettante
notizie di «Scienza e Società», più di 700 recensioni
a volumi di ogni disciplina, 120 «Giochi Matematici».
L'indice si può acquistare soltanto presso /'editore (Le Scienze S.p.A.,
via Victor Hugo. 2-20123 Milano) o direttamente o usufruendo della
cartolina -Ordine per libri-, inserita nella rivista, al prezzo di L 3.500
J
16
17
Come respirano
le uova degli uccelli
Gli embrioni d'uccello assumono ossigeno e eliminano anidride carbonica
per diffusione attraverso microscopici pori nel guscio dell'uovo. Tale
processo è regolato dalla geometria dei pori, che varia secondo la specie
cilindrici e le loro aperture sono ricoperte
talvolta da materiale pari (celiare organi-
co o inorganico secreto. Un decappaggio
accurato del guscio con un acido e quindi
urta colorazione dello stesso rendono i
pori visibili anche a occhio nudo: un tipico
uovo di pollo ne ha all'inarca 10 000 di-
stribuiti su tutta la superficie. Il loro nu-
mero e le loro dimensioni vengono stabili-
ti nella ghiandola del guscio prima della
deposizione e poi rimangono invariati,
L embrione di uccello non puòcontrolla-
' re direttamente il suo scambio gasso-
so; pertanto la permeabilità, o conduttan-
za, del guscio e delle membrane ai gas
deve essere messa a punto con precisione
per poter soddisfare le esigenze metaboli-
che dell'embrione. Se è troppo elevata, il
fabbisogno di ossigeno dell'embrione sa-
rà ampiamente soddisfatto, ma andrà
perduta una quantità d'acqua eccessiva- e
questa perdila provocherà una disidrata-
zione. Se invece la permeabilità del guscio
è troppo bassa, l'embrione o soffocherà
per mancanza d'ossigeno, intossicalo dal-
la propria anidride carbonica, o anneghe-
rà nella propria acqua prodotta metaboli-
camente. Si deve raggiungere un felice
punto di mezzo, che consenta l'esistenza
di pressioni ottimali di gas all'interno del-
l'embrione e assicuri una dispersione fini-
la di acqua dall'uovo.
L'acqua viene persa dall'uovo con una
velocità costante, mentre l'assunzione di
ossigeno aumenta in misura considerevo-
le nel corso dell'incubazione. Nel pollo, i
primi diciotto giorni di questo periodo
sono designati come periodo prenatale.
Al quinto e sesto giorno, la membrana
corioallantoìdea (l'organo respiratorio
dell'embrione, analogo alla placenta dei
mammiferi ) si prolunga partendo dal cor-
po dell'embrione ed entra in contatto con
la pellicola continua che tappezza la
di Hermann Rahn, Amos Ar e Charles V. Paganelli
I'uovo d'uccello è un sistema autono-
mo in grado di sostenere la vita
-/ dell'embrione in via di sviluppo.
Tutte le sostanze nutritive, i sali minerali,
le fonti cnergeliche e l'acqua utilizzati
dall'embrione nel periodo dell'incuba-
zione sono già presemi nell'uovo appena
deposto, che pertanto ha bisogno sola-
mente di essere tenuto al caldo dai genito-
ri e di essere periodicamente rivoltalo per
evitare che l'embrione aderisca alle
membrane del guscio. Eppure l'uovo
manca di un fattore di primaria importan-
za: l'ossigeno che alimenta la macchina
metabolica delle cellule embrionali, che
possono cosi eseguire le complesse ma-
novre dello sviluppo. Come respira l'uo-
vo, assumendo l'ossigeno dall'atmosfera
circostante ed eliminando l'anidride car-
bonica, prodotto di rifiuto della respira-
zione?
In genere, lo scambio di gas è associato
con l'inalazione periodica di un mezzo
fluido (aria o acqua), che porta l'ossigeno
ai capillari polmonari o alle branchie e
rimuove l'anidride carbonica dall'organo
respiratorio a ogni esalazione. Polmoni e
branchie sono azionati da muscoli, la cui
velocità di pompaggio è determinala dal
fabbisogno metabolico e controllata dal
sistema nervoso. Le uova degli uccelli e di
altri organismi (per esempio insetti, ragni,
anfibi e rettili) non mostrano, invece, al-
cun movimento respiratorio e non esisto-
no, all'interno di tali uova, delle correnti
d'aria che potrebbero trasportare l'ossi-
geno ai capillari dell'embrione che cresce.
Al contrario, l'uovo «respira» per diffu-
sione attraverso migliaia di pori micro-
scopici, presenti nel guscio.
L'esistenza di questi pori e stata dimo-
strala per la prima volta nel 1 863 da John
Davy. membro della Royal Society di
Edimburgo, senza l'aiuto di un microsco-
pio. Egli mise un uovo in una bottiglia con
acqua ed eliminò l'aria al disopra della
superficie dì questa con una pompa a vuo-
to. Notò in seguito che alla superficie di
quell'uovo si formavano delle bollicine
di gas e ne dedusse che, nel guscio, do-
vevano esistere delle minuscole aperture.
I gas passano attraverso i pori grazie al
processo passivo della diffusione, che è la
tendenza mostrala da una molecola a spo-
starsi da una zona a elevata concentrazio-
ne verso una zona a concentrazione infe-
riore. La diffusione si svolge per merito
dell'energia cinetica posseduta dalle mo-
lecole dei gas e non richiede un consumo
diretto di energia metabolica da parte del-
l'embrione: è la minor concentrazione
dell'ossigeno all'interno dell'uovo che at-
tira attraverso i pori del guscio nuove
molecole di ossigeno dall'esterno, dove la
concentrazione è più elevata. Per contro,
la concentrazione dell'anidride carbonica
all'interno dell'uovo provoca una diffu-
sione delle sue molecole verso l'esterno,
dove praticamente non ne esistono. Que-
sti processi di diffusione sono regolati dal-
l'effettiva superficie occupata dai pori nel
guscio, dalla loro lunghezza e, infine, dal-
le differenze di concentrazione dei gas
che si diffondono attraverso dì essi.
II contenuto idrico dell'aria all'interno
dell'uovo è superiore a quello dell'aria
all'esterno, per cui i pori lasciano passare
anche le molecole d'acqua (che sono più
piccole di quelle dell'ossigeno) ed esse si
diffondono all'esterno. Gli animali hanno
sviluppalo molli adattamenti specializzati
per la conservazione dell'acqua, ma le
uova degli uccelli sembrano costruite,
invece, per perderla a una velocità con-
trollata. L'energia necessaria all'embrio-
ne per svilupparsi è presa perlopiù dalle
riserve di grasso contenute nel tuorlo del-
l'uovo e, per ogni grammo di grasso bru-
ciato, viene generata una massa quasi
uguale di acqua metabolica. Pertanto,
durante l'incubazione, il contenuto idrico
relativo dell'uovo aumenterà, a meno che
non vi sia una dispersione d'acqua. Se il
contenuto idrico, alla schiusa, è uguale a
quello dell'uovo appena deposto, circa il
1 5 per cento della massa di questo deve
andar perduto come aequa. Come ben
sanno gli allevatori di polli, l'entità di
questa perdita è essenziale per il successo
della schiusa.
Nei 2 1 giorni della sua incubazione, un
tipico uovo dì pollo del peso di 60
grammi assumerà circa 6 litri di ossigeno
ed emetterà 4,5 litri di anidride carbonica
e 1 1 litri di vapore acqueo. Alla fine di
questo periodo, proprio a causa della
perdita d'acqua, l'uovo peserà soltanto 51
grammi e il pulcino appena nato circa 39
(escludendo il peso del guscio e delle
membrane respiratorie).
f tre strati del tegumento dell'uovo (il
guscio e le due membrane sottostanti) do-
vrebbe re essere ben noti a chiunque abbia
tolto almeno una volta il guscio a un uovo
sodo. Quando la cellula uovo nuda scende
lungo l'ovidutto della gallina per passare
nella ghiandola del guscio, essi vengono
deposti tutti e tre rapidamente, in meno di
24 ore. Lo stesso guscio ha uno strato più
esterno, chiamato cuticola (mancante in
alcune specie): sì tratta di una lamina molto
sottile di sostanza organica, spesso screpo-
lata per esporre meglio la superficie del
guscio. Questo consìste di una secrezione di
carbonaio di calcio, che forma dei cristalli
colonnari dì calcite, i quali incorporano una
modesta quantità di sostanza orgaoiea.
L'imperfetto «impacchettamento» a scia,
tra un cristallo e l'altro, degli spazi, che
attraversano lo spessore del guscio, danno
origine ai pori microscopici.
Le due membrane, estema e interna,
del guscio consistono di una rete dì fibre-
organiche : quelle della membrana ester-
na sono inserite sulla superficie interna
del guscio mediante i coni mammillari.
che sono i centri di cristallizzazione del
guscio durante la sua formazione. Le due
membrane differiscono per il diametro
delle fibre, per la grossolanità della trama
e per lo spessore totale. La superfìcie in-
terna della membrana interna è tappezza-
ta da una sottile pellicola, che sembra
continua e non un semplice prolungamen-
to delle fibre. Poco dopo la deposizione
dell'uovo, gli spazi tra le fibre, nelle due
membrane, vengono riempiii di gas.
I pori nel guscio sono l'unica via di
comunicazione per i gas tra l'ambiente
esterno e le membrane embrionali. Sono
Un puro del guscio d'uovo del emulo Caciimanih merttlinux dell Isola
di Giava è ingrandii» 3HIIII volle in ijuesla mie ro hit ogni ti a al microsco-
pio elettronico a scansione. La sua apertura si restrìnge in un tubo
cilindrico del diametro ili alcuni micromelri, che attraversa completa-
mente il guscio. L'ossigeno atmosferico penetra nell'uovo mentre l'ani-
dride carbonica di origine metabolica lo lascia per un processo di
diffusione passiva attraverso migliaia di pori come questo, i quali sono
distribuiti su latta la superficie dell'uovo stesso. Questa immagine
dell'apertura del (ioni e ecre/iunalmenle «.liiar;i: nella maggior parte
delle uova, invece, l'apertura risalta mascherala dal maleriale organico
o inorganico secreto. La microfoiografia è stala scanala da J. H. Rec-
kiiig dell'Istituii) olandese per le scienze atomiche in agricoltura.
18
19
membrana intema del guscio, sviluppan-
dovi una rete di capillari. Al nono giorno,
essa ha ricoperto circa la metà della su-
perficie interna del guscio e intorno al
dodicesimo giorno l'ha ricoperta del tut-
to. (Le due membrane esterna e interna
sono situate tra la membrana corioallan-
toidea e il guscio stesso.)
Nel periodo prenatale. l'ossigeno e l'a-
nidride carbonica vengono scambiali at-
traverso la membrana carioaliantoidea e
il vapor acqueo viene perduto in conti-
nuazione. Poiché il guscio è rigido, del gas
entra per sostituire l'acqua perduta e
forma una camera d'aria al polo ottuso
dell'uovo. Questa camera d'aria aumenta
costantemente di dimensione fino a occu-
pare all'incirca il 1 5 per cento del volume
interno dell'uovo alla fine dell'incubazio-
ne. Non vi è soluzione di continuità tra il
gas che si trova all'interno della camera
d'aria e il gas che si trova tra le fibre delle
membrane interna e esterna: questa con-
tinuità può essere dimostrata iniettando
aria pressurizzata nella camera d'aria,
quando l 'uovo si trova sott 'acqua : su tutta
la superficie del guscio si vedono sfuggire
bollicine dai pori. Le varie pressioni dei
gas nella camera d'aria sono pressoché
identiche a quelle negli spazi delle mem-
brane, per cui la camera d'aria risulta un
punto adatto per prelevare campioni dei
gas contenuti entro l'uovo.
Il consumo di ossigeno dell'embrione
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E?
La (li must razione dell'esistenza di pori nel guscio dell'uovo di pollo può essere effettuata, in
mancanza del microscopio, iniettando dell'aria pressurizzata nella camera d'aria al polo ottuso
dell'uovo. Dall'intera superfìcie emergono delle bollicine, a indicare che essa presenta migliaia di
minuscole aperture. L'esperimento è analogo a quello realizzato per la prima volta nel 1863 da
John Davj. La fotografia è di D. R. Atkinsnn della Università statale di New York a Buffalo.
aumenta lentamente durante la prima set-
timana e mezzo d'incubazione. Poi, tra il
decimo e il quattordicesimo giorno essa
aumenta rapidamente, raggiungendo un
plateau di 600 millilitri di ossigeno al
giorno prima della schiusa. Questo valore
corrisponde alla massima quantità di os-
sigeno ottenibile per diffusione passiva
attraverso i pori fissi del guscio. Seicento
millilitri di ossigeno al giorno possono
non impressionare tanto il lettore (che
consuma lo stesso quantitativo in due
minuti), ma è indubbio che il traffico di
molecole attraverso i 10 000 pori del gu-
scio è notevolmente intenso. Qgni secon-
do una rete di circa 20 bilioni (20 x IO 11 )
di molecole di ossigeno penetra nell'uovo
attraverso ogni poro e 14 bilioni di mole-
cole di anidride carbonica e 12 bilioni di
molecole di acqua allo stato di vapore
fuoriescono.
Tuttavia, lo sforzo della schiusa richie-
de più ossigeno di quanto 1 a semplice
diffusione possa fornire. Da dove provie-
ne allora questo ossigeno supplementare?
La natura ha fornito una facile soluzione
al problema: all'incirca al diciannovesimo
giorno, il becco del pulcino penetra nella
camera d'aria all'estremità ottusa del-
l'uovo: un processo che viene definito
«pigolio interno». L'animale comincia
allora a respirare quell'aria, ventilando i
polmoni rimasti fino a quel momento non
utilizzati. Questo è un evento di cruciale
importanza: permette ai polmoni del pul-
cino e ai loro alveoli di gonfiarsi, in modo
che l'ossigeno possa venir trasportato in
essi per convezione o flusso di massa.
Il periodo in cui avviene questa respira-
zione attiva dalla camera d'aria all'inter-
no dei confini dell'uovo intatto si chiama
periodo paranatale, in quanto la mem-
brana corioallantoidea è ancora funzio-
nante: in esso l'ossigeno viene trasportato
sia per diffusione sia per convezione.
Circa sei ore dopo la penetrazione del
becco nella camera d'aria, il pulcino rom-
pe il guscio, praticando in esso un piccolo
foro con il dente dell'uovo, una formazio-
ne presente sulla guaina superiore del
becco, e con ciò respira per la prima volta
l'aria atmosferica. A questo punto il fun-
zionamento del polmone è ormai ben av-
viato e rende così possibile il significativo
aumento nel consumo di ossigeno, che si
rende necessario per lo sforzo finale della
schiusa. Nel contempo comincia a ridursi
la funzione della membrana corioallantoi-
dea, anche se in realtà persiste fino alla fine,
quando le membrane respiratorie vengono
viste pendere all'interno del guscio da cui il
pulcino emerge, cominciando il periodo
postnatale. La graduale transizione dal tra-
sporto passivo al trasporto attivo dei gas si
realizza in 24-36 ore.
Si sa oggi che il flusso di ossigeno dal-
l'atmosfera ai capillari sanguigni della
membrana corioallantoidea è regolalo da
una serie di barriere di diffusione: il gu-
scio e le membrane esterna e interna. Gli
studiosi di fisiologia respiratoria espri-
mono la permeabilità di una membrana ai
gas in termini di conduttanza, cioè del
reciproco della sua resistenza alla diffu-
CONO MAMMILLARE
MEMBRANA
INTERNA
DEL GUSCIO
PELLICOLA-^
Gli strati estemi dell'uovo, che partecipano allo scambio dei gas, sono
rappresentati in questa sezione trasversale che interessa uno spessore di
circa 0.4 millimetri. Quello più estemo è la cuticola, una sottile lamina
organica; sotto di essa vi è il guscio vero e proprio, costituito da colonne
di cristalli di calcite e percorso dai pori. Questi terminano nella mem-
brana esterna fatta di libre poco compatte; te membrane esterna e
interna differiscono per il diametro delle fibre, come pure per la grosso-
lanità della trama e lo spessore totale. La superficie interna molto
SANGUE VENOSO
SANGUE OSSIGENATO
sottile della membrana intema, detta pellicola dell'inno, è con tutta
probabilità uno strato continuo. Attaccata a essa è la membrana co-
rioallantoidea (l'organo respiratorio dell'embrione), che è analoga alla
placenta dei mammiferi. Il sangue venoso (in azzurro), pompato dal
cuore embrionale, fluisce in questa membrana, dove viene rifornito d'os-
sigeno, diffusosi all'interno dell'uovo attraverso i pori. Il sangue ossige-
nato (in rosso) si muove a questo punto verso i tessuti dell'embrione e
simultaneamente l'anidride carbonica si diffonde dal sangue venoso.
sione. Le pressioni parziali dei gas respi-
ratori sono comunemente indicate in torr.
o millimetri di mercurio, essendo 1 torr
uguale a 1/760 della pressione atmosferi-
ca standard (che corrisponde alle pressio-
ni parziali combinate di tutti i gas dell'at-
mosfera a livello del mare, ivi compresi
l 'azoto, 1 "ossigeno e l 'ani dride carbonica ).
Tra la pressione parziale di ossigeno
nell'atmosfera (154 torr) e quella del san-
gue appena ossigenato della membrana
corioallantoidea (58 torr) vi è un salto di
quasi 100 torr. Cionondimeno, una pres-
sione di ossigeno di 58 torr nel sangue è
pressoché sufficiente a saturarlo d'ossi-
geno, che viene così trasportato a tutti i
tessuti dell'embrione. Il sangue venoso
che ritorna dall'embrione ha una pressio-
ne dì ossigeno di 22 torr; passa attraverso
la membrana corioallantoidea, dove vie-
ne rifornito di ossigeno appena giuntovi
per diffusione a una pressione di 58 torr.
Per contro, la pressione parziale di ani-
dride carbonica scende da47 torr nel san-
gue venoso a 38 torr in quello ossigenato.
È risultato estremamente arduo misu-
rare la conduttanza del gas tra membrana
interna e membrana corioallantoidea,
perché le pressioni parziali nella camera
d'aria e nel sangue ossigenato devono
essere misurate simultaneamente. Questa
difficoltà sperimentale è stata superata da
Hiroshi Tazawa della Università Yaga-
mata, con il quale due di noi hanno lavo-
rato lo scorso anno nel laboratorio di Jo-
hannes Piiper al Max Planck Institut fur
Experi meni eli e Medizin di Gòttìngen.
Per misurare le pressioni parziali di os-
sigeno e di anidride carbonica nel-
l'uovo. Tazawa fissò al guscio, al di sopra
della camera d'aria, una siringa ipodermi-
ca parzialmente riempita d'aria, in modo
che l'aria nella siringa rimanesse in diret-
tocontattoconi gas contenuti nella came-
ra d'aria dell'uovo. In un periodo di alcu-
ne ore, le pressioni parziali dell'ossigeno e
dell'anidride carbonica nella siringa e net-
la camera d'aria raggiunsero un equili-
brio. Analizzandole nella siringa, fu così
possibile determinare quelle della camera
d'aria. Per misurare le pressioni dei gas
nel sangue ossigenato, Tazawa praticò un
piccolo foro nel guscio e vi impiantò un
catetere ultrasottile, un tubicino di plasti-
ca, facendolo penetrare nel vaso sangui-
gno della membrana corioallantoidea,
che trasporta il sangue ossigenato all'em-
brione. L'aria nella siringa e un campione
di sangue ossigenalo furono prelevati
simultaneamente e analizzati per le loro
concentrazioni di ossigeno e di anidride
carbonica.
Con questo metodo, Tazawa è riuscito
a stabilire che la pressione parziale del-
l'ossigeno nella camera d'aria è di circa 50
20
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CAMERA DARIA
MEMBRANA ESTERNA / uojbbmj» ftrrrau.
^^^-—^—/^^^ MEMBRANA INTERNA
DENTE DELL UOVO
Il passaggio alla respira/ione aitila durante il periodi! (ii incubazione,
i-Ile dura 21 giorni ncll 'embrioni: di polli», ha luogo in due fasi. Il
periodo prenatale (a) è costituito dai primi IH giorni di sviluppo. A
cominciare dal quinto giorno, la membrana co rioni la ntoi dea emerge
dall'embrione e ricopre la membrana inlemadel guscio con una rete ili
capillari che riforniscono l'embrione di ossigeno e rimuovono l'anidride
carbonica. Anche il vapor acqueo sì diffonde coni inuumente dall'uovo:
l'acqua liquida che viene persa è sostituita da gas, che formano la
camera d'aria al polo ottuso dell'uovo. Il periodo paranatale fhi comin-
cia al 19" giorno, quando l'embrione penetra con il proprio becco nella
camera d'aria, un processo che viene definito pigolio interno. L'em-
brione inizia a respirare aria dalla camera d'aria, gonfiando i propri
polmoni e alveoli, pur eonlinuaudo la membrana corioallantoidea a
funzionare. Circa sei ore dopo il pulcino rompe il guscio con il dente
dell'uovo, una formazione alla sommiti! della guaina superiore del
becco (e), comincia a respirare l'aria atmosferica e la funzione della
membrana corioallantoidea comincia a vanificarsi. L'illustrazione si
basa su un disegno di llans-Kainer Duncker dell'Universilà di Giesscn.
1200-
g TQO0-
5
800-
O
z
tu
I
Q
UJ
N
Z
w
<
600
400-
200 h
QK3RNI
Il consumo di ossigeno dell'embrione di pollo aumcnla in misura consi-
derevole nel corso dell'incubazione. L'aumento è graduale per la prima
settimana e mezzo, ma tra il 10" e il 14" giorno esso diventa rapido.
Al 19" e 211" giorno, si ha un graduale passaggio dallo scambio gassoso
per diffusione attraverso la membrana corioallantoidea ulta respira-
zione attiva attraverso i polmoni che, quando il pulcino emerge dal-
l'uovo, possono già funzionare in maniera efficiente. Questo grafico
si busa sul lavoro di \. H. J. Visschedijk dell'Università di Utrecht.
torr più elevata di quella nel sangue ossi-
genato, mentre la pressione dell'anidride
carbonica è 2.5 torr più alta nel sangue
ossigenato rispetto alla camera d'aria. Il
fatto che esìsta una differenza di 50 lon-
tra la pressione di ossigeno nella camera
d'aria e quella nel sangue esige una spie-
gazione. È improbabile che gli spazi ri-
pieni d'aria normalmente presenti tra le
fibre della membrana interna del guscio
ne siano responsabili. Tale differenza può
essere provocata in parte dalla resistenza
offerta alla diffusione dalla sottile pellico-
la continua tra ia membrana interna del
guscio e la membrana coriollantoidea.
Una seconda possibilità è che parte del
sangue venoso (con la sua bassa pressione
dì ossigeno di 22 torr) non passi attraver-
so i capillari, dove ha luogo lo scambio
gassoso, e si mescoli direttamente con il
sangue ossigenato, abbassando così la
pressione dell'ossigeno a 58 torT. Natu-
ralmente, ambedue i fenomeni possono
essere in alto.
In sintesi, nel seguire la pressione par-
ziale d'ossigeno dall'atmosfera al sangue
ossigenato che lascia la membrana co-
rioallantoidea dell'embrione di pollo, si
trovano soltanto due aree in cui esistono
grosse differenze di pressione: il guscio
vero e proprio e la membrana interna del
guscio. Il guscio da solo è, però, respon-
sabile di quasi l'intera differenza di pres-
sione parziale sia per l'anidride carbonica
sia per l'acqua allo stato di vapore.
Ricevuto Tinca rìco di progettare un ef-
ficiente sistema di scambio dei gas, l'e-
sperto dì fisiologia respiratoria cerche-
rebbe logicamente di rendere massima la
conduttanza per l'ossigeno. Nell'uovo,
tuttavia, queste considerazioni esclusi-
vamente respiratorie devono essere equi-
librate con altri fattori, importanti per la
sopravvivenza dell'embrione , fra i quali la
necessità, per un uovo sufficientemente
spesso, di fornire una protezione mecca-
nica all'embrione, di impedire un'inva-
sione dell'uovo da parte di batteri nocivi,
di conservare i liquidi necessari e di man-
tenere una opportuna pressione di ani*
dride carbonica per un normale equilibrio
acido-base.
Resi edotti su alcuni dei princìpi che
governano nell'uovo di pollo lo
scambio dei gas. ci venne la curiosità di
sapere qualcosa anche dell'uovo di alcune
delle altre S500 specie di uccelli, uova che
ricoprono un'ampia gamma dì forme e di
dimensioni. Il più piccolo uovo noto.
deposto da una delle 1 50 specie di uccelli
mosca (trochilidi), pesa 0,25 grammi: oc-
corrono 240 uova come questo per arrivare
al peso (60 grammi) di un uovo di pollo.
All'altro estremo della gamma è l'uovo di
Aepyt/rttis. un uccello de! Madagascar,
estintosi di recente. Il peso di quest'uovo in
media era di 9 chilogrammi ed equivaleva
pertanto a 150 uova di pollo: il solo guscio
pesava 2 chilogrammi più dell'intero peso
fresco di un uovo di struzzo, che con i suoi
1 ,5 chilogrammi è il più grosso uovo depo-
sto da un uccello oggi vivente.
In che modo differiscono la forma e le
dimensioni dei pori nelle uova pìccole e in
quelle grandi? Cyril Tyler e K. Simkiss
dell'Università di Reading hanno dato
una risposta a questo interrogativo im-
pregnando gusci d'uovo con materiale
plastico e dissolvendo quindi la sostanza
del guscio, così da ottenere calchi micro-
scopici dei pori. Questi calchi hanno di-
mostrato che. anche all'interno di una
singola specie, la forma dei pori è estre-
mamente variabile. Ci siamo anche inte-
ressati di altri aspetti della respirazione
nelle uova di differenti specie. Per esem-
pio, come varia la conduttanza del guscio
con la dimensione dell'uovo? Alla fine
dell'incubazione, c'è una relazione tra
quest'ultima e la concentrazione di ossi-
t.'inlerf accia che separa la membrana interna del guscio e la membrana corioallantoidea è ripresa
in questa mii rol olografia elettronica, che mostra alla sommità alcune fibre della membrana
interna del guscio in sezione e rivestile da un materiale vaporoso. La linea continua al di sotto delle
fibre è la sottile pellicola che tappezza la membrana interna e a cui è attaccata la membrana
esterna del corioallantoidc. L'oggetto scuro al centro è un globulo rosso in sezione obliqua. La
iniiTofolografia, ingrandii IH 4(1(1 volle, è slata scattata da K. Weibcl dell'Università di Berna.
22
23
■^^--i- --
ATMOSFERA
OSSIGENO
SANGUE
OSSIGENATO
SANGUE
VENOSO
MEMBRANA ESTERNA
MEMBRANA INTERNA _
MEMBRANA CORIOALLANTOIDEA
J I l
I
150 125 100 75 50 25
PRESSIONE PARZIALE (TORR)
[1 profilo delle pressioni dei gas nello spessore del guscio e nelle mem-
brane respiratorie è illustrato qui per un uovo di pollo di 18 giorni,
immediatamente prima della fase di pigolio intento. I vari strati offrono
una serie di barriere alla diffusione ed esse differiscono in misura
considerevole per la loro conduttanza. Una sensibile modificazione di
pressione dei gas attraverso uno strato, significa che esso presenta una
bassa conduttanza; una modificazione piccola è invece indizio di una
conduttanza elevata. Dai grafici si trae l'indicazione che sia i pori sia
la pellicola hanno, per l'ossigeno, una conduttanza bassa, mentre sol-
tanto i pori hanno una bassa conduttanza per l'anidride carbonica.
La forma dei pori del guscio si modifica con l'aumentare delle dimensio-
ni dell'uovo. La loro lunghezza varia dai 2 millimetri nell'uovo di struzzo
agli 0,04 millimetri nell'uovo di colibrì. L'illustrazione si basa su calchi
di pori ottenuti da C. Tyler e K. Simkiss dell'Università di Reading.
geno nella camera d'aria? Come varia il
consumo di ossigeno in funzione della
dimensione dell'uovo? E. infine, come si
correla la perdita d'acqua alle dimensioni
dell uovo e alla durata dell'incubazione?
Consapevoli che lo scambio dei gas at-
traverso il guscio dell'uovo si svolge inte-
ramente per diffusione, abbiamo cercato
innanzitutto di elaborare un metodo che
misurasse la conduttanza ai gas di uova
intatte, sufficientemente semplici per
poterle utilizzare in laboratori sul campo.
La soluzione a questo problema venne
dalle leggi che regolano la diffusione e che
erano siale pubblicale nel 1855 da
Adolph Fick, professore di fisiologia a
Zurigo e successivamente a Wurzburg.
Fick ha avuto il merito di rendersi conto
che la descrizione matematica del flusso
di calore nei solidi, sviluppata 30 anni
prima da J.-B. Fourier, poteva essere ap-
plicata anche alle molecole che si diffon-
dono attraverso i solidi, i liquidi o i gas.
Il mo\imento di un gas per diffusione
attraverso una barriera permeabile
dipende dal moto casuale delle molecole
di quel gas e dalla differenza di concen-
trazione della specie che si diffonde da un
lato della barriera e dall'altro. Le collisio-
ni tra le molecole del gas sono tanto più
frequenti quanto più il gas è concentrato,
quindi tali molecole tenderanno a muo-
versi dal lato dove la concentrazione è
maggiore verso il 1 alo dove essa è minore.
Lina versione semplificala della legge
della diffusione di Fick afferma che la
quantità di un dato gas, che si diffonde in
una unità di tempo attraverso i pori di un
guscio d'uovo, sarà direttamente propor-
zionale alla superficie dei pori disponibile
per la diffusione e alla differenza tra la
concentrazione del gas che si diffonde a
una estremila del poro e la concenirazio-
ne all'altra estremità. D'altra parte, la
velocità di diffusione sarà inversamente
proporzionale alla lunghezza del tratto in
cui avviene la diffusione (in questo caso la
lunghezza dei pori nello spessore del gu-
scio d'uovo). In altre parole, la condut-
tanza ai gas del guscio dipende dal rap-
porto tra superficie e lunghezza del poro.
Raddoppiando la superficie disponibile
per la diffusione di un gas, o raddoppian-
do la differenza di concentrazione di quel
gas attraverso il guscio, raddoppio rà la
velocità del suo passaggio, mentre rad-
doppiando la lunghezza del poro verrà
dimezzala la velocità del passaggio, rima-
nendo uguali tutti gli altri fattori. Cosi, se
si potesse misurare il flusso di un gas e
dividerlo per la differenza di concentra-
zione di quel gas attraverso i pori, si sa-
rebbe in grado di calcolare la conduttanza
del guscio per quel gas.
Dopoaverprovato parecchi melodi per
misurare la conduttanza del guscio, fi-
nalmente ne abbiamo scoperto uno mollo
semplice: se le uova vengono tenute in un
essiccatore a temperatura costante e ri»
mosse solo per breve tempo, una volta al
giorno, per essere pesate, la perdita d'ac-
qua in esse avviene a una velocità che
rimane costante per molti giorni. Questa
perdita di peso deriva interamente dalla
oc
EE
O
i-
<E 100-
Ld
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o
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o
0.1-
3
a
go.01
o
LUNGHEZZA DEI PORI
J_
10 100
MASSA DELL'UOVO (GRAMMI)
1000
0.01
l-a lunghezza dei pori e la conduttanza per l'ossigeno aumentano con diverse velocità all'accre-
scersi della massa dell'uovo, come risulti! in questo grafico che riunisce i dati raccolti perle uova di
circa 90 specie, sparse nelle diverse parti del mondo. Per ogni aumento della massa di 1 ti \ olle, la
conduttanza per t'ossigeno aumenta di 6,5 tulle nel guscio dell'uovo, mentre l'incremento della
lunghezza dei pori è di sole 2,7 volte. Probabilmente quest'ultima caratteristica è soggetta a un
aumento minore perché il guscio deve essere sufficientemente sonile da permettere la schiusa.
1000
100-
MASSA DELL'UOVO (GRAMMI)
La superficie complessiva dei pori, cioè la somma di tutti i pori disponibili per la diffusione,
aumenta dì quasi 18 volle per ogni aumento di 10 volle della massa dell'uovo. Per esempio, la
frazione della superficie totale del guscio occupata dai pori passa dallo 0,02 per cento nell'uovo di
pollo allo 0.2 per cento nell'uovo di struzzo. Un rapido aumento della superficie dei pori con
l'aumcnlo della massa dell'uovo spiega perché la conduttanza per l'ossigeno (rapporto superficie
complessiva lunghezza dei pori) aumenti di 6,5 volle se la massa dell'uovo aumenta 10 volte.
24
T-
25
diffusione del vapor acqueo attraverso i
pori del guscio nell'atmosfera asciutta
dell'essi calore. Dividendo la perdita
giornaliera di peso per la pressione del
vapor acqueo tra l'interno dell'uovo e
l'ambiente esterno si ottiene la condut-
tanza del guscio per il vapor acqueo. Dato
che la via di diffusione per l'ossigeno e
l'anidride carbonica attraverso il guscio è
la stessa che per l'acqua, la conduttanza
per l'acqua può essere trasformala in
conduttanza per l'ossigeno. È relativa-
mente semplice determinare quest'ultima
nel modo suddetto; gli unici strumenti
necessari sono un essicatore, una hilancia
di precisione e un termometro.
Se a questo armamentario si aggiungo-
no dei calibri sì può anche misurare lo
5000
spessore del guscio, che è equivalente alla
lunghezza dei pori. Conoscendo la con-
duttanza e la lunghezza dei pori, si può
calcolare - sulla base della legge di Fick -
la superficie totale funzionale dei pori,
cioè la somma di lutti ì singoli pori dispo-
nìbili per la diffusione dei gas.
Negli ultimi sette anni, noi e altri ricer-
catori abbiamo determinato la con-
duttanza di centinaia di uova appena rac-
colte in varie parti del mondo. Tali uova,
la cui massa variava da I a L500 grammi,
sono state ottenute da 90 specie e da 15
ordini diversi di uccelli. Abbiamo trovato
concordemente che la conduttanza per i
gas di quelle uova aumentava con le di-
mensioni delle uova: questa tendenza era
CONDUTTANZA PER L'OSSIGENO (MILLILITRI AL GIORNO PER TORR)
La differenza Ira la pressione di ossigeno nella camera d'aria dell'uovo e quella nell'atmosfera è
quasi uguale nelle uova di differenti dimensioni e forme. Essa è stala calcolata da questo grafico,
che, per 28 diverse specie, rappresenta il consumo di ossigeno dell'embrione prima del pigolio
interno, in funzione della conduttanza del guscio per questo gas. Le pendenze delle linee tratteg-
giate indicano le differenze di pressione di ossigeno di 70 e 30 torr. La maggior parte dei punti
sperimentali sia entro questi limili; il valore medio è di 45 torr. La pressione di ossigeno nel-
l'atmosfera è di 150 torr, per cui quella nella camera d'aria prima del pigolio intemo è di 105 torr.
prevista perché il fabbisogno d'ossigeno
dell'embrione, prima del pigolio interno,
è maggiore nelle uova più grosse che in
quelle piccole, anche se non cresce in
proporzione alla massa dell'uovo: per
ogni aumento della massa di 10 volte, c'è
un aumento nella conduttanza per l'ossi-
geno di sole 6,5 volte.
Una seconda osservazione interessante
è che. per ogni aumento della massa del-
l'uovo di 10" volte, la lunghezza dei pori
aumenta di solo 2,7 volle. Questa tenden-
za può forse essere spiegala in termini di
un equilibrio tra fattori adattativi che
operano nel corso dell'evoluzione Lo
spessore dei guscio (che determina la lun-
ghezza dei pori) è tale da poter resistere
alle tensioni gravitazionali del contenuto
dell'uovo e al peso del genitore che cova,
ma è anche limitato dal fatto che l'em-
brione deve potersi aprire un varco in
esso, al momento della schiusa. Quest'ul-
timo fatto spiega presumibilmente perché
lo spessore del guscio aumenti in una pro-
porzione meno che diretta rispetto alla
dimensione dell'uovo.
Quali sono le conseguenze strutturali di
una conduttanza per i gas che aumenta di
6,5 volte e di una lunghezza dei pori che
aumenta dì 2.7 voile per ogni aumento
delia massa dell'uovo di 10 volte? La leg-
ge di Fick afferma che la superficie fun-
zionale totale dei pori è direttamente
proporzionale al prodotto della condut-
tanza per i gas per la lunghezza dei pori.
La superficie dei pori aumenterà dunque
di circa 18 volte (6,5 x 2,7) per ogni
ili mento di dieci volte della massa del-
l'uovo. Per esempio, un uovo di nandù di
600 grammi, con un guscio all'incirca 3
volte più spesso di quello di un uovo di
pollo di 60 grammi, avrà una superficie
totale dei pori circa 18 volte superiore.
Ci si può rendere conto cosi che sono gli
elementi strutturali del guscio {superficie
e lunghezza dei pori) a determinare la
conduttanza per ì gas. una proprietà fun-
zionale che si può correlare ai fabbisogni
metabolici dell'embrione e alla differenza
tra pressioni dì ossigeno all'interno e al-
l'esterno del guscio. Qui di nuovo la legge
di Fick dà il rapporto quantitativo tra
queste variabili: la differenza tre le pres-
sioni di ossigeno dentro e fuori il guscio è
uguale al consumo di ossigeno da parte
dell'uovo, diviso per la conduttanza del
guscio per l'ossigeno.
Si prenda come esempio un uovo ipote-
tico, la cui conduttanza per l'ossigeno sia
di 10 millilitri al giorno per torr (cioè si
diffondono ogni giorno attraverso il gu-
scio 10 millilitri di ossigeno per ogni torr
di differenza tra le pressioni di ossigeno
esterna e interna). Se l'uovo consuma 500
millilitri di ossigeno al giorno, la differen-
za ira le pressioni di ossigeno ali 'esterno e
all'interno del guscio deve essere di 50
torr. Dato che la pressione parziale di
ossigeno nell'atmosfera è di circa 150
torr, la pressione parziale di ossigeno nel-
la camera d'aria dell'uovo (a cui è esposto
il sangue dell'embrione) sarà di 100 torr.
Per poter esaminare il rapporto tra
conduttanza del guscio e metabolismo
dell'embrione, abbiamo confrontato il
consumo di ossigeno dell'uovo, appena
prima del pigolio interno, con la condut-
tanza del guscio in 28 specie diverse (si
veda l'illustrazione nella pagina a fronte).
L'elenco dei valori noti per il consumo di
ossigeno delle uova di molte specie, gros-
se e piccole, si è allungato di molto grazie
alle ricerche di tre studiosi dell'Università
della California a Los Angeles, Donald F.
Ho\ t, David Vleck e Carol Vieck. Cono-
scendo il consumo di ossigeno delle uova
e la conduttanza dei gusci abbiamo potuto
servirci della legge di Fick per calcolare la
pressione di ossigeno nella camera d'aria
e abbiamo trovato che questo valore era
pressappoco lo slesso per tutte le 28 spe-
cie: all'incirca 105 torr di ossigeno. Esso è
stato verificato mediante campionatura
della camera d'aria in 13 specie. Inoltre,
la misura per l'anidride carbonica nella
camera d'aria era in media di 35 torr.
Questi valori di pressione dell'ossigeno e
dell'anidride carbonica nella camera d'aria
appena prima del pigolio intemosono pres-
socché identici a quelli che si trovano nei
polmoni degli uccelli adulti. Pertanto, la
conduttanza del guscio dell'uovo per l'ossi-
geno sembra armonizzarsi con l 'assunzione
di ossigeno per «anticipare» la richiesta di
quest'ultimo da parte dell'embrione prima
del pigolio interno e per stabilire nella ca-
mera d'aria le pressioni di ossigeno e di
anidride carbonica tipiche dell'uccello
adulto. A. H. J. VisschedijkdcH'Università
di Utrecht ha suggerito che proprio queste
pressioni innescano l'atto finaledellaschiu-
sa e prepara no l'embrione alla sua esistenza
post natale.
È notevole il fatto che la conduttanza
del guscio dell'uovo per i gas sia calibrata
con la massa dell'embrione in modo da
dare quasi le stesse concentrazioni finali
di ossigeno e di anidride carbonica nelle
uova dì differenti dimensioni. Il piano
generale per la porosità e ta funzione del
guscio è ancor più impressionante se si
considera che il periodo di incubazione
delle uova d'uccello può variare da 1 1
giorni, in alcune delle specie più piccole, a
70 o più giorni per le uova dei procellari -
formi, come l'albatro urlatore.
Fino a questo momento non abbiamo
consideralo nei particolari la perdila
d'acqua da parte dell'uovo, perdita che
procede a una velocità costante durante
l'incubazione, e che, in un uovo qualsiasi,
è indipendente dal tasso metabolico an-
che se risulta indispensabile per una buo-
na schiusa. I! motivo non è del tutto chia-
ro, ma può forse essere legalo allo staio di
idratazione dell'embrione.
Rudolf Dreni dell'Università di Gro-
ningen è slato il primo a sottolineare
come il tasso giornaliero di perdita d'ac-
qua durante il periodo naturale d'incuba-
zione si correli con la massa dell'uovo.
Passando in rassegnai dati detta letteratu-
ra biologica, ha dimostralo che, in 45 spe-
cie di uccelli, tale lasso aumenta di 5,6
volte per ogni aumento di 10 volte della
massa dell'uovo. Abbiamo successiva men-
te notato che un rapporto ancora più preci-
so tra perdita d'acqua e massa dell'uovo
potrebbe dedursi calcolando la quantità
0.1
SCRICCIOLO
10 100
MASSA DELL'UOVO (GRAMMI)
1000
La perdita d'acqua durante l'incubazione è indipendente dal lasso metabolico dell'embrione.
anche se sembra essere essenziale perla buona riuscita della schiusa. In questo grafico la qujnliia
forale d'acqua perduta durante l'incubazione è stata rappresenlala in funzione della massa iniziale
dell'uovo. Sono inclusi i dati oltenuli con 65 specie di uova, a partire dalle dimensioni di 1 grammo
tino a 500 grammi e con una durata dell'incubazione variabile dagli 1 1 ai 70 giorni. Si noia una
lendcnza notevolmente uniforme: indipendentemente dalla massa dell'uovo o dal tempo d'incu-
bazione, un uovo tipico perderà il 15 per cento della sua massa iniziale durante l'incubazione.
totale d'acqua persa durante il periodo
d'incubazione e ponendo questo valore su
un grafico in funzione della massa iniziale
dell'uovo. La nostra indagine ha riguardato
le uova di 65 specie di uccelli . variabi li come
massa da 1 ,5 a 500 grammi e come tempo
d'incubazione da 1 1 a 70 giorni, I risultati
hanno mostrato una tendenza notevolmen-
te conforme: indipendentemente dalla
massa o dal tempo d'incubazione, un uovo
tipico perderà il 15 per cento della sua
massa iniziale durante l'incubazione natu-
rale, e questa perdita farà aumentare il
volume della camera d'aria.
Gli spazi all'interno dell'uovo, destinati
ai gas, sono saturati essenzialmente con
vapor acqueo, per cui alla temperatura
media di incubazione per la massima par-
te delle specie (35.6 "C) la pressione di
vapore all'interno dell'uovo è di 44 torr.
Perché l'uovo possa perdere la quantità
d'acqua necessaria, la pressione di vapore
nel microclima di un tipico nido d'uccello
deve essere mantenuta a circa 15 torr,
equivalenti a una umidità relativa del 45
percento. Questo livello può essere man-
tenuto soliamo ventilando periodicamen -
te il nido con aria atmosferica più asciutta.
Il genitore ha dunque due importanti fun-
zioni durante l'incubazione: riscaldare
l'uovo a una temperatura ottimale e. inol-
tre, mantenere l'umidità dell'aria nel nido
entro valori tollerabili.
La durata dello sviluppo embrionale, o
tempo d'incubazione, è determinata pro-
babilmente da fattori genetici, ma il tasso
metabolico dell'embrione deve essere
sintonizzato su questo tempo d'incuba-
zione per cui, alla fine del periodo - lungo
o breve che sia - l'embrione è sufficiente-
mente maturo per poter nascere e so-
pravvivere. Si potrebbe dunque avanzare
l'interessante ipotesi che la geometria
esatta dei pori del guscio d'uovo (e quindi
la conduttanza del guscio per l'ossigeno)
sia calibrata sulla massa dell'uovo e sul
siiti tempii d'incubazione
Sembra chiaro che il guscio con le sue
membrane associate è strettamente adatta-
to alle esigenze respiratorie dell'embrione,
anche se certi compromessi sono stati fatti
nel corso dell'evoluzione per assicurare la
stabilità meccanica dell'uovo e l'equilìbrio
tra i fluidi e il pH dell'embrione. 1 nostri
studi hanno anche dimostrato che l'uovo
d'uccello rappresenta un modello ideale
per studiare la diffusione dei gas, che potrà
aiutarci a capire i processi di diffusione, più
complicati, nelle v te aeree e negli alveoli del
polmone umano.
26
27
L'archeologia
del fondo dei laghi
In riva ai laghi alpini si stabilirono nella preistoria molti
insediamenti. Gli archeologi subacquei stanno ora effettuando
ricerche nei siti un tempo frugati solamente da collezionisti
di Aimé Bocquet
ANTICA SPONDA DEL LAGO
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Una delle immagini più familiari del
modo di vita degli uomini prei-
storici è quella degli abitatori
dei laghi europei: agricoltori del Neolitico e
dell'Età del bronzo che vissero in abitazioni
su palafitte erette sull'acqua. Questa im-
magine è falsa, anche se le si è dato credilo
per decenni. Le testimonianze raccolte ci
dicono invece che gli abitatori di questi
villaggi stabilirono le toro dimore sulle rive
dei laghi, ma raramente, per non dire mai. le
costruirono sull'acqua. All'origine di tale
errore sta il fatto che da quelle epoche il
livello delle acque dei laghi è salito, som-
mergendo l restì dei villaggi che rimasero
così a una certa distanza dalle rive.
Gli archeologi possono deplorare il
perpetuarsi del mito dei «palafitticoli»,
ma dovrebbero essere grati alle numerose
variazioni di livello delle acque che lo rese-
ro possibile. Esse infatti hanno preservato
molti dei resti che gli agenti naturali, su
qualsiasi terreno asciutto, avrebbero ine-
vitabilmente distrutto da lungo tempo.
Oggetti di legno e tessuti, per esempio, che
in ambiente arido subirebbero un deterio-
ramento e andrebbero perduti, possono
conservarsi quasi perfettamente in am-
biente umidoo sott'acqua, Fattoaltretlan-
to importante, lo stesso fenomeno si veri-
fica per le sostanze vegetali appartenenti a
piante sia selvatiche che coltivate. Soltan-
to una decina di anni fa erano pochi i
ricercatori che consideravano con atten-
zione gli indìzi che tali materiali offrono
riguardo ai diversi ambienti delle età prei-
storiche. Oggi invece gli archeologi attri-
buiscono grande valore a tale tipo di in-
formazioni, che possono rivelare il grado
di adattamento all'ambiente dell'uomo
preistorico, e più precisamente in che mi-
sura tale adattamento fosse efficace e ne
risultasse assicurata la sopravvivenza
umana.
La conoscenza degli ambienti preisto-
rici è essenziale inoltre per valutare il
progresso tecnico dell'uomo e la sua in-
fluenza sul mondo circostante. Un am-
biente forestale, per esempio, dovrebbe
ispirare l'invenzione dell'ascia del taglia-
legna. Quando un archeologo porta alla
luce il primitivo rifugio di un abitatore
della - foresta, il ritrovamento delle asce
maneggiate dall'uomo dei boschi rappre-
senta un buon risultato. Ma un risultato
ancora migliore è riuscire ad accertare
quale fosse il tipo di foresta abitala dal-
l'uomo, mediante l'analisi dei resti vege-
tali. Un successo ancora più apprezzabile
si ottiene se l 'analisi rivela l'impano del-
l'uomo della foresta sull'ambiente, ad
esempio la selezione da lui operata nel-
t'abbatlere determinate specie di alberi.
La conservazione delle materie vegetali
nelle località umide e nei sili sommersi
facilita questo tipo di studi.
Le regioni orientali della Francia, in
particolare le arce adiacenti al versante
settentrionale delle Alpi, sono ricche di
laghi e di rive lacustri che hanno ospitato
villaggi di età assai diverse, dal Neolitico
fino al Medioevo, La maggior parte di
questi villaggi venne successivamente
sommersa: molti villaggi furono scoperti
per la prima volta più di un secolo fa.
durante un periodo di eccezionale siccità.
Nel 1853 e 1854 il livello dei laghi si
abbassò in tutta l'Europa; sul lago di Gi-
nevra, per esempio, molti insediamenti
situati sulla sponda francese del lago, che
erano stati a lungo sommersi, rimasero
allo scoperto. Oggi tali siti venuti alla luce
presso i laghi montani della Francia
ammontano a 38. Villaggi sommersi dello
stesso genere sono stati scoperti nella
Svizzera occidentale e centrale, nella
Germania sudoccidentale, in Austria e
nell'Italia settentrionale.
Negli anni compresi fra la metà del di-
ciannovesimo secolo e il 1935 ven-
nero messe insieme ricche collezioni di
manufatti dei «palafitticoli». Esse sono
ora reperibili presso privatie musei di tutta
l'Europa ma, salvo rare eccezioni, il meto-
do con cui furono raccolte era tutt'altro
che scientifico. Esso consisteva semplice-
mente nel dragare il fondo dei lago per
portare alla superficie i vari oggetti che
giacevano sparsi sul fondo leggermente
sepolti in uno strato di fango. Per ottenere
questo singolare raccolto spesso i colle-
zionisti usavano ingegnosi strumenti.
Buona parte di questa attività si svolse
in alcuni siti svizzeri, ad Auvemier e a
Cortaillod sul lago di Neuchatcl e a Mei-
Icn e Wollishofen sul lago di Zurigo: il
contributo francese provenne principal-
mente dal lago di Bourget nella Savoia, a
mezza via fra Grenoble e Ginevra. Quasi
come preludio a un metodo più scientifi-
co, nel 1929 il silo sommerso di Sipplin-
gcn, sulla riva tedesca del lago di Costan-
za, fu prosciugato un po' alla volta con
l'aiuto di cassoni; ciò consentì di adottare,
durante gli scavi, i metodi dell'archeolo-
gia che vengono usati sui terreni asciutti.
Negli anni quaranta, con l'invenzione
dell'apparecchiatura a immersione libera,
gli archeologi ebbero a disposizione un
mezzo assolutamente nuovo per le loro
ricerche subacque. Alcuni sommozzatori
dilettanti cominciarono a far collezione di
oggetti antichi dei «palafitticoli» con
l'aiuto della nuova apparecchiatura. A.
Favre, che svolse le sue ricerche presso il
lago di Annecy. un poco a nord-est rispet-
to al lago di Bourget, fu tra i primi a
svolgere questa attività, la quale non con-
sisteva, in senso stretto, in operazioni di
scavo, ma era già un considerevole pro-
gresso rispetto alle precedenti iniziative
di raccolta e dragaggio.
La vera attività archeologica sul fondo
dei laghi ebbe inizio net 1952. e ne fu
pioniere Raymond Laurent del Cent re
de recherches archeologi ques lacustres du
Dauphiné-Savoìe. Seguendo gli insegna-
menti di un eminente studioso di preisto-
ria, Andre Leroi-Gourhan del Collège de
France, Laurent dieee alla sua attività su-
bacquea l'apporto dì una grande perizia
organizzativa che gli consenti di ottenere
una minuziosa registrazione della distribu-
zione orizzontale e verticale dei manufatti
sul fondo dei laghi. Le sue ricerche si svolse-
ro anche sui laghi dì Bourget e di Annecy,
l na fotografia aerea da bassa quota del lago Palatini, Milla quale le
annotazioni degli addetti agli scavi indicano l'estensione del villaggio
neolitico sommerso. Prima della ripresa fotografica, i sommozzatori
disposero larghe di metallo bianche sulla cima di ogni pilastro delle case
individuale sul fondo del lago e targhe rosse su pali più piccoli che
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formavano una palizzata lungo il perìmetro verso terra del villaggio. Le
annotazioni (in bianco} indicano la posizione di una grande casa ti
pilastri sono contrassegnati da cerchietti} all'angolo nord-occidentale
del villaggio, vicino ali 'antico profilo della riva (linea tratteggiata), e di
altre due cane vicine. Sono pure indicali la palizzata e il suo cancello.
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Ricostruzione del probabile aspetto del primo insediamento di Bai*
gneurs dopo che vi fu costrutta la terza cava. La palizzata non aveva
evidentemente scopo difensivo, ma doveva servire per tenere raccolti) il
bestiame del villaggio quando gli animati non erano portati al pascolo
nella prateria e nel bosco vicini. La pesca nel lago costituiva un'attività
regolare, come testimonia il ritrovamento di pesi per le reti e di un amo.
28
29
Settore dctl'iiuropu alpina e subalpina, comune a sei nazioni, che comprende multi laghi, grandi e
piccoli, sititi da agricoltori del Neolitico e dell'Hit del bronzo per l'ondare sulle rive i loro
insediamenti. Un innalzamento di livello delle acque doveva celare alla vista i villaggi abbandonati
fino alla metà del XIX secolo, quando una forte siccità li ha riportati allo scoperto, facendo nascere
il mito dei «palafitticoli» dei laghi alpini. I laghi qui riportati contengono molli dei più importanti
siti del Neolitico e dell'Età del bronzo, ma solo alcuni sono stali scavali con metodo scientifico.
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Il lago Palandru, nel Delfìnato, a sud-est di Lione, dà origine a un tributario del fiume Isère.
Presso Charavines, allo sbocco del lago, sì trova l'insctiiameulo neolitico sommerso di Baigneurs;
qui l'autore e ì suoi colleglli hanno intrìtprevo l'opera di recupero archeologico fin (tal 1972,
conducendo contemporaneamente un corso pratico sulle tecniche di archeologia subacquea.
come pure sul lago di Aigucbc lette, situalo
pressappoco a sud-ovest del lago di Bour-
get; i suoi scavi subacquei, effettuati fra il
1960 e il 1969, aprirono la via all'attuale
metodo di ricerca, scientificamente conce-
pito e organizzato. Nel 1 963 Ulrich Ruoff
aveva diretto delle ricerche ugualmente
accurate in Svizzera nel silo di Klciner Haf-
nersul lago di Zurigo. Nello stesso periodo
si continuavano a compiere ricerche di tipo
più tradizionale. Perescmpio. ira il 1 969 e il
1972. mentre in un certo numero di siti
nella zona della baia di Auvemier del lago
di Neuchatcl si eseguivano scavi con som-
mozzatori, in altri punii della baia si prov-
vedeva a circoscrivere e a prosciugare le
aree interessate per consentire operazioni
di scavo di tipo tradizionale.
È mia intenzione descrivere qui l'ar-
cheologia del fondo dì un lago come è
intesa oggi, prendendo come esempio il
silo di un fondo lacustre del Neolitico che
si trova nel Delfinato settentrionale, a
sud-ovest della Savoia. Il sito fu scelto per
una archeologia di recupero nel 1971. Il
lago, le cui rive attrassero un giorno uo-
mini del Neolitico in cerca di sede, è
chiamato Paladru : si trova a poco meno dì
45 chilometri a nord-ovest di Grenoble
sulla via per Lione e il particolare silo
litoraneo sommerso ove effettuammo le
nostre ricerche, a circa due o tre metri
sott'acqua, è noto come Baigneurs. Gli
strati in cui si trovano i resti neolitici sì
depositarono circa 5000 anni fa: essi sono
sottili e assai fragili, cosicché gli scavi ri-
chiedono la massima precauzione.
Le nostre operazioni di recupero a Bai-
J gneurs si sono basate sul metodo
Laurent di analisi topografica del fondo del
lago; la caraneristica fondamentale consi-
ste nella regisi razione molto accurata della
posizione di ogni reperto. Tale metodo
comporta anche il recupero totale dei ma-
nufatti rinvenuti in ogni strato, anche se
fragili di piccole dimensioni. II nostro
personale contributo al metodo Laurent fu
di assicurarci che si raccogliessero letteral-
mente tutti gli oggetti, non solo quelli fab-
bricati dall'uomo; e tale fu il nostro obietti-
vo primario, fin dal momento in cui. circa
sette anni fa, ì miei colleghi (Francoise
Ballet, Patrick Grandjean, Christian Orcel
e Alain Cura) e io iniziammo i lavori in
quellazona. Soltanto una raccolta effettua-
la con questo criterio rende possibile la
ricostruzione dei mutamenti ambientali
avvenuti nel eorso del Neolitico.
Il primo problema che ogni archeologo
deve affrontare, se la sua ricerca si svolge
sul fondo di un lago, è la visibilità ridotta.
Anche senza voler considerare il nugolo
di particelle che si sollevano per il sempli-
ce fallo di mettersi a scavare il fondale, il
campo visivo del sommozzatore può esse-
re limitalo a pochi centimetri essendo
condizionato dai venti di superfìcie, dalle
correnti del lago e, in modo particolare,
dalla stagione; infatti per buona pane del-
l'anno le acque del lago sono per natura
torbide, a causa della crescita stagionale
delle alghe e del plancton.
Questo è uno dei molivi per cui la gri-
glia che viene impiegata per il controllo
l'Olografia subacquea di un gruppo di grosse travi, alcune verticali e al-
tre distese sul fondo del lago. La posizione orizzontale o verticale di
ogni elemento sarà registrala con riferimento ai piccoli triangoli di na-
stro che suddividono l'angolo del triangolo maggiore, qui visibile soltan-
to parzialmente. L'analisi del legno di Baigneurs ancora protetto dalla
corteccia rivela la stagione dell'anno in cui gli alberi furono abbattuti.
delle operazioni di scavo su terreno
asciutto (una scacchiera formata da qua-
drati di un metro di lato) è praticamente
inutilizzabile sott'acqua. È piuttosto diffi-
cile, in condizioni di visibilità, sistemare la
griglia con precisione geometrica, ma
ancora più difficile è misurare l'effettiva
posizione di un oggetto entro un determi-
nato quadrato. È necessario tracciare due
perpendicolari che vadano dall'oggetto
verso due lati adiacenti del quadrato e
registrare con precisione sia l'esano pun-
to di intersezione sia la lunghezza di cia-
scuna perpendicolare.
La soluzione di Laurent al problema
della griglia fu semplice e geniale: invece
dei quadrati egli usò triangoli equilateri.
Per siabilire la posizione di un oggetto
rinvenuto entro uno dei triangoli in una
griglia di questo tipo, è sufficiente misura-
re la distanza dell'oggetto da tutti e ire i
vertici del triangolo. Ciò si ottiene per
mezzo di nastri fissati a ogni vertice della
griglia. Per costruire la griglia stessa si
inizia con un sìngolo punto noto e tre
traversine di uguale lunghezza. A ogni
vertice le traversine sono tenute insieme
da un collare nel quale è inserito un tubo
verticale piantato nel fondo del lago.
Dopo la sistemazione del primo triangolo,
la grìglia può venir estesa indefinitamente
con l'aggiunta di traversine interconnesse
allo stesso modo. Il grado di precisione del
sistema è adeguato alle necessità. Impie-
gando traversine di duralluminio lunghe
cinque metri ciascuna per formare i suc-
cessivi triangoli, siamo riusciti a «chiude-
re» la figura di un esagono di 30 metri,
formato da sei triangoli contigui, con un
errore cumulativo di soli sette centimetri.
Sebbene i triangoli di metallo collegati
Ira loro costituiscano una eccellente gri-
glia di riferimento, sia per le misurazioni
orizzontali sia per quelle verticali, l'area
delimitata da ciascun triangolo (circa 1 1
metri quadrati) è ancora troppo grande
per essere usata come singola unità di
mappa. Si impiega quindi nastro o corda
per suddividere ulteriormente ogni trian-
golo grande in 25 piccoli triangoli di un
metro dì lato. L'area racchiusa da ognuno
di questi triangoli minori è di uso assai più
pratico, essendo inferiore alla metà del-
l'area dì un metro quadrato, che costitui-
sce l'elemento unitario della griglia tradi-
zionale adottata sui terreni asciutti.
Una volta stabiliti sott'acqua i punti di
riferirne nto, si può dare inizio agli scavi. Se
Ì fattori stagionali sono sfavorevoli, i
sommozzatori possono trovarsi in difficol-
tà, essendo la visibilità di per sé piuttosto
ridotta, ma non sono più costretti a opera-
re avvolti da una nube di fango prodotta
dal loro stesso movimento. Ciò si deve
all'apparecchiatura progettata da Ruoff
all'inizio degli anni sessanta, grazie alla
quale si producono artificialmente delle
correnti d'acqua; queste, come avviene
con un vento leggero che dissolve il fumo,
allontanano le fini particelle messe in tur-
bolenza dal lavoro di scavo. Alla corrente
creata dall'apparecchiatura di Ruoff ab-
biamo dato il nome dì «cortina d'acqua».
Gli addetti agli scavi sul fondo del lago
sono coloro su cui grava la principa-
le responsabilità della raccolta dei reperti,
ma un contributo altrettanto indispensa-
bile è dato anche da coloro che lavorano a
riva per trattare in modo approprialo i
sedimenti raccolti dai sommozzatori. La
loro opera consiste nel setacciare i sedi-
menti per estrarne la maggior quantità
possibile di materiale da sottoporre ad
analisi. Non per nulla noi consideriamo
questo tipo di archeologia come un dupli-
ce lavoro di scavo in due fasi.
L'opera del sommozzatore 6 assai più
impegnativa di quanto potrebbe pensare
chi abbia fatto dello sport subacqueo in
acque limpide e calde. Anche lo scavo di
un terreno asciutto richiede esperienza e
capacità nel saper riconoscere le varia-
zioni di colore e di struttura del suolo che
caratterizzano ogni singolo strato. Quan-
do però si è immersi in acqua fredda e
oscura, l'esercizio di queste doti è possibi-
le soltanto per limitati periodi di tempo.
Infatti, proprio come avviene per il corpo,
che diventa sempre più intorpidito, cosi
pure le facoltà mentali si fanno meno acu-
te. Anche un piccolo errore rappresenta il
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31
ALLA POMPA
DELL'ACQUA
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CORRENTE
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La «cortina d'acqua», un'apparecchiatura messa a punto dal sommozzatore svizzero Ulrich Rimi!
nel 1963, è Mata usata a Baigneurs per migliorare la visibilità sul fondo del Iago. Nel disegno il tubo
della cortina d'acqua è stato assicurato lungo il lato di un triangolo di 5 metri; si sta scavando
nell'area (in colore) ricoperta dai sei triangoli minori, più vicini al tubo. Una pompa fornisce al tubo 60
metri cubi d'acqua all'ora; l'acqua fuoriesce da una serie di fori della grandezza di un proiettile,
distanziali di 20 centimetri l'uno dall'altro. Il flusso dell'acqua (frecce in nero} genera una corrente
locale (frecce in colore), che consente di disperdere le particelle di fango che intorbidano l'acqua.
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METRI
La grìglia subacquea usata per determinare la posizione esatta dei materiali scavati è formata da
triangoli equilateri connessi tra loro. Il disegno mostra la parte del sito già esplorato (linea in
grìgio) e il gruppo più interno di sci triangoli che i sommozzatori riuscirono a collegare formando
un esagono con un perìmetro di 30 metri (arca in grigio). L'errore cumulativo nella chiusura
dell'esagono fu di soli 7 centimetri. Altri triangoli costruiti a partire dai sei centrali abbracciano
l'intera area di scavo; tutti, all'infuori di uno, si estendono al di fuori del suo perimetro. È stala qui
illustrata anche la suddivisione di un triangolo di 5 metri di lato in 25 triangoli minori Un colore).
rischio della perdita di una informazione
irrecuperabile. Lo scavatore subacqueo
ideale deve unire alla resistenza fisica e
mentale la competenza tecnica e quella
che potrebbe essere considerata una qua-
lità morale: l'etica scientifica.
La parte superiore dello strato sedimen -
tario di Baigneurs, il cui spessore varia da
10 centimetri a un metro e mezzo, non
contiene elementi di interesse archeologi-
co. Questo sedimento «sterile», tuttavia,
ha contribuito alla conservazione dei ma-
teriali archeologici che si trovano sotto di
esso. Prima di iniziare il suo accurato lavo-
ro di scavo il sommozzatore rimuove con
una pompa aspirante lo strato sedimenta-
rio superiore della porzione di fondo di sua
pertinenza. Poi. usando semplicemente le
mani, egli solleva con delicatezza dallo
strato messo allo scoperto, una dopo l'al-
tra, delle sottili porzioni orizzontali di
materiale. Soltanto in questo modo egli
può percepire la presenza di qualsiasi pez-
zo di legno, di osso, di tessuto o di vasella-
me che i detriti sciolti possono contenere e
provvedere a salvarlo dalla distruzione.
Se, al tatto, il sommozzatore si rende
conto che una determinata sezione oriz-
zontale non contiene manufatti di una cer-
ta dimensione, egli pone il materiale in un
cesto perché ve nga passalo a terra a coloro
che sono addetti allasetacciatura. Se met-
te invece le mani su un manufatto, lo ripu-
lisce con cura e ne fa un disegno in situ
prima di rimuoverlo dalla porzione in cui si
trova. Se l'acqua è abbastanza chiara evie
luce sufficiente, viene ripresa anche una
fotografia dell'oggetto in loco. Degli og-
getti da noi scoperti a Baigneurs. abbiamo
registrato con questo sistema la maggior
parte del vasellame, tutti gli utensìli di
selce eccetto i più piccoli, tutti gli oggetti di
legno (come cucchiai, pettini, manici d'a-
scia e assicelle), resti animali (come corna
di cervo) e due pugnali di selce ancora
inseriti nei loro manici di legno.
Quando si rinvenivano materiali anco-
ra più fragili, come i tessuti, i sommozza-
tori riuscivano a evitare di danneggiarli
ulteriormente tagliando un blocco intero
del fondo e facendolo salire in un solo
pezzo alla superficie, col materiale che
conteneva. Noi abbiamo usato tale tecni-
ca su scala maggiore, rimuovendo dal
fondo dei blocchi che pesavano da 10 a
100 chilogrammi, quando volevamo con-
servare intere sezioni stratigrafiche od
ottenere determinate quantità di materia-
li da sottoporre all'analisi paleobotanica.
I nostri scavatori hanno anche prelevato
dal fondo del lago numerose «carote» ci-
lindriche profonde, onde ottenere cam-
pioni di polline per identificare i compo-
nenti dell'antica popolazione vegetale, ed
esemplari di conchiglie di molluschi per
determinare quali fossero le condizioni
prevalenti della temperatura di quell'e-
poca. Queste carote sono state ottenute
servendosi di un natante, dal quale si riu-
sciva a far penetrare nel fondo un tubo di
plastica del diametro di otto centimetri,
lungo da due a tre metri e sul quale veniva
esercitata dall'alto una forte pressione.
La seconda fase dell'opera di scavo,
quella che si svolge a terra, è per molti
aspetti diversa dalla ricerca archeologica
che si svolge sui terreni asciutti. La tecni-
ca di setacciarne nto da noi impiegata è di
tipo tradizionale, ma molti dei reperti
recuperati sono di natura organica, ad
esempio manufatti in legno e sostanze
vegetali, come semi. La permanenza in
immersione ha preservato questi oggetti:
lasciarli asciugare significherebbe di-
struggerli. Dopo che gli oggetti sono stati
numerati, pesati e registrati su una map-
pa, essi devono venire ermeticamente rac-
chiusi in sacchi dì plastica per mante-
nerli umidi. Anche i frammenti di vasel-
lame, che sono normalmente indistrutti-
bili, dovrebbero essere sottoposti a un ba-
gno in acetato di polivinile per evitare che
si sgretolino quando diventano asciutti.
Quando in un deposito archeologico
sono presenti esemplari di legno,
come nel caso di Baigneurs. esiste la possi-
bilità di determinare l'età assoluta del de-
posito stesso. Negli ul timi anni si sono com-
piuti grandi progressi nel mettere in corre-
lazione le date effettive del calendario con
quelle determinate in base alle sequenze
degli anelli degli alberi e al decadimento del
carbonio 14, Nel Nuovo Mondo il calcolo
degli anni basato sulta dendrocronologia è
statoora esteso con buona attendibilità fino
a oltre il 5000 a.C, Nel Vecchio Mondo ci si
è spinti al massimo fino all'800 a. C. circa,
con quella che è chiamata cronologia di
Treves. Esistono anche sequenze di anelli
relativi a periodi anteriori, come il Neoliti-
co, ma non sono ancora state collegate con
le cronologie più recenti. In generale quin-
di, le uniche valutazioni di età per queste
cronologie «fluttuanti» sonoquelleottenu-
te con il carbonio 14.
Se è possibile stabilire una correlazione
fra molte di queste valutazioni fluttuanti,
comunque, le differenze cronologiche
assolute fra di esse possono venire espres-
se in anni solari effettivi piuttosto che in
termini di anni calcolati con il carbonio 14
a partire dal presente (anni fa). A questo
tipo di ricerca sta lavorando il Laborato-
rio di dendrocronologia di Neuchàtel di-
retto dai miei colleghi Orcel e Lambert.
Le date ottenute con il conteggio degli
anelli dal materiale ligneo di Baigneurs
vengono ora integrate nella dendrocrono-
logia della Svizzera occidentale, attual-
mente in fase di sviluppo, anche se tale
ricerca incontra qualche ostacolo, come il
fatto che buona parte del materiale sviz-
zero è costituito da campioni di quercia e
il nostro da campioni di abete, 11 risultato
complessivo è che attualmente possiamo
riferirci agli insediamenti di Baigneurs
con una precisione cronologica impensa-
bile soltanto alcuni decenni fa.
Tra i campioni di materiale ligneo di
Baigneurs vi sono montanti di case e travi
ancora rivestiti dalla corteccia, ciò che ren-
de possibile raggiungere una precisione
anche maggiore. La sequenza dendroem-
notogica, infatti, consente di determinare
l'anno in cui l'albero venne abbattuto; ove
la corteccia è ancora presente, essa vale a
proteggere l'ultimo anello, l'elemento di
accrescimento fragile perché più estemo.
Esaminato al microscopio, il grado di svi-
Qucslo pugnale di selce, abilmente scheggialo e inserito in un manico di legno, é uno dei due ma-
nufatti ancora immaniculi rinvenuti nel compalto strato vegelaleche ricopriva rimpiantilo della casa.
Questo pettine in legno dì un telaio, uno dei molti manufatti che indicano come gli abitanti di Baigneurs
fabbricassero da sé i tessuti, è un ulteriore esempio della possibilità di conservazione, in un terre-
no umido o sott'acqua, dì oggetti che in un sito all'aria aperta sì sarebbero quasi certamente disgrega-
ti in tempo assai breve. Uopo il recupero, comunque, gli oggetti di legno devono essere mantenuti
umidi Imo a quando vengono sottoposti alle tecniche di laboratorio per la loro conservazione.
32
33
luppo dell'accrescimento di questo anello
consente di stabilire perfino la stagione in
cui l'albero venne abbattuto. La soluzione
migliore consisterebbe nell'estrarre cam-
pioni da tutti i pilastri con diametro maggio-
re di sette o otto centimetri per stabilirne la
sequenza degli anelli e quindi correlare fra
loro tutte le sequenze. Fin dal 1974 noi
abbiamo seguito questo procedimento e
verso la fine della stagione del 1 978 i nostri
1 50 metri quadrati di scavi hanno fornito il
materiale per 810 campioni diversi adatti
all'analisi dendrocronologica.
Oltre al contributo offerto da questi
antichi pilastri e travi alla datazione, altri
restì di alberi hanno rivelato indizi che ci
consentono di gettare uno sguardo sulla
vita degli agricoltori del Neolitico che in
questa zona diboscarono la foresta. Essi
abbattevano gli abeti e i frassini, ma la-
sciavano in piedi le querce, probabilmen-
te perché ne apprezzavano le ghiande.
Proteggevano anche altri tipi di piante
che producevano noci, sgomberando il
terreno dalia vegetazione che vi cresceva
in tomo, in modo che il sole potesse rag-
giungerle. Ne risultò che i frutti che veni-
vano raccolti dagli alberi cosi selezionati
ANNI
CULTURA
NEOLITICO
SOLARI
(AC.)
NEUCHÀTEL SVIZZERA GERMANIA
-4000
-3500
-3000
> -2500
4028 A.C
AU VERNI ER
3793 A.C
4000 A.C.
DANUBIO 7
2827 AC.
3146 A.C.
AUVERNIER A
2776 AC
2751 A.C.
AUVERNIER
2584 A.C,
( + 50)
l
3500- -2000
-1500
2782 AC.
AUVERNIER B
2498 A.C.
(±50)
2925 AC.
DANUBIO 3/10
1605 AO.
1265 A.C.
AUVERNIER
841 A.C.
-1000-
-500
1215 A.C.
ZURIGO
884 A,C.
419 A.C
LA TENE
96 AC
178 A.C.
AVENCHES
71 D.C.
LT
CRONOLOGIA
01
TREVES
717 A.C.
(FINO AL
70OD.C.)
La dendrocronologia europea >i estende dal 400!) u.C. circa fino a oggi, ma non forma una
sequenza ininterrotta. Le tre sequenze più lunghe sono la cronologia di Treves, che approssimati-
vamente va dal 750 a.C. al 700 d.C, e le due cronologie sovrapposte del Danubio dal 4000 a.C. al
1 500 a.C. circa. Le date dendrocronologiche di Baigneurs sono in correlazione con una cronologia
svizzera, quella di Auvernier, che ricopre circa 250 anni a partire dal 3000 a.C. circa. Per buona
parte del periodo Ira il 5000 e il 1000 a.C, le data/inni al carbonio 14 sono posteriori a quelle
d end ro ero nolog ielle: per esempio, campioni del 3000 a.C (circa 5000 anni fu) forniscono date
di circa 4400 anni fa col carbonio 14. La linea irregolare a sinistra mostra la discrepanza del
carbonio 14 secondo i calcoli di 11. E. Suess dell'Università della California a San Diego.
erano grandi il doppio rispetto a quelli
delle piante che non avevano ricevuto lo
stesso trattamento.
La nostra raccolta intensiva di resti
vegetali ci ha inoltre dato la possibilità di
constatare il differente impiego dei vari
materiali. Ad esempio, gli abitanti del
luogo costruivano giacigli con grossi rami
di abete e stipavano con muschio le fessu-
re nelle pareti delle loro case. Siamo per-
sino in grado di delineare la pianta di una
casa, grazie all'accumulo dei gusci di noc-
ciole lungo il lato interno delle pareti.
L'analisi del carbone di legna proveniente
dai focolari indica che come combustibile
gli abitanti usavano di preferenza il legno
di faggio e di quercia.
Per costruire il loro insediamento gli
abitatori neolitici di Baigneurs scelsero
un promontorio presso Io sbocco del lago
Paladru. Il sito occupava un'area di circa
1500 metri quadrati, digradante verso la
riva del lago. Dal lato verso terra il villag-
gio era protetto da una piccola palizzata,
con un'apertura per l'accesso. Dna vera e
propria foresta di pali, al centro del recin-
to, rivela la distribuzione di piccole case
rettangolari adiacenti, allineate lungo
stretti vicoli.
Il sito del villaggio non fu occupato una
sola, ma due volte. 11 primo livello di oc-
cupazione è separato dal secondo da uno
strato di fango che si depositò durante un
temporaneo aumento di livello del lago. I
primi coloni giunsero sulla scena intorno
al 2900 a.C. Erano agricoltori provenien-
ti quasi certamente da un villaggio vicino.
Il terreno erboso, che si estendeva fino a
una fitta foresta di abeti, dovette colpire
la loro immaginazione. Vi erano giunti
durante l'inverno, e, in previsione di un
ritorno, essi abbatterono molti piccoli
abeti, i cui tronchi avevano un diametro
fra i 10 e i 14 centimetri, li ripulirono dai
rami e !i accatastarono.
I visitatori ritornarono l'inverno suc-
cessivo. Tagliarono altri abeti e co-
struirono la prima casa, usando questi
alberi e quelli che avevano abbattuto
l'anno precedente. La casa, lunga 12 me-
tri e larga 4, era orientala con l'asse mag-
giore in direzione est-ovest: consisteva di
una sola stanza, con un focolare di argilla
nel centro e una porta nella parete nord.
L'intetaiaiura della casa era formata da
tronchi dì abete, conficcati in fori praticati
nel terreno fino a una profondità di 3-4
metri. Tronchi di diametro inferiore for-
mavano le travature orizzontali, che era-
no connesse alle estremità dei pilastri con
funi e viticci. Il tetto che ricopriva questa
solida intelaiatura era probabilmente
formato da canne; quanto alle pareti,
erano costituite da paletti sottili, del dia-
metro di due o tre centimetri, conficcati
per l'estremità più grossa in uno stretto
solco. Mentre per gli elementi verticali
era stato utilizzato l'abete, per le pareti si
era fatto ricorso a rami di nocciolo. Le
fessure fra i pali erano stipate con mu-
schio e canne. Si può supporre che i co-
struttori delle case abbiano bruciato l'a-
rea diboscata per preparare il terreno alla
coltivazione, ma non c'è modo di accerta-
re se essi diedero inìzio alle colture fin
dalla primavera successiva.
Una seconda casa, identica alla prima,
fu costruita l'inverno successivo. Si trova-
va a sud della prima e ne era separata da
un vicolo largo soltanto un metro e venti.
La porta della casa, nella parete nord, si
apriva su questo vicolo. Oggi il vento pre-
dominante nella zona del lago Paladru
scende dal nord; ma l'orientamento est-
-ovest della casa neolitica lascia supporre
che 5000 anni fa il vento soffiasse in pre-
valenza da est.
Con la costruzione della seconda casa,
l'insediamento neolìtico appare salda-
mente stabilito. Da quel momento l'oc-
cupazione durerà circa 30 anni. I numero-
si manufatti che abbiamo estratto dal
fondo dei lago ci consentono di ricostruire
con una certa sicurezza la vita quotidiana
degli abitanti del villaggio. Gli utensili li-
tici sono meno numerosi di quanto un'oc-
cupazione trentennale lascerebbe sup-
porre. Ricavali da nuclei di selce locale,
sono per la maggior parte foggiati in
modo grossolano, sebbene alcuni di essi,
fia i quali lame e raschiatoi, siano stati
scheggiati con una certa finezza, come i
due pugnali di selce che abbiano rinvenu-
to con i manici di legno ancora intatti.
Anche alcuni degli altri utensili di selce
conservano qualche traccia della immani-
catura lignea.
La maggior pane dei contenitori giunti
fino a noi è costituita da vasi di argilla, di
forma semplice e di coltura imperfetta. Il
ritrovamento di partì di canestro indica
che gli abitanti del villaggio integravano
con tali manufatti l'uso del vasellame. 1
frammenti di tessuti testimoniano che
veniva praticata l'arte della tessitura,
come attesta anche la presenza dì aghi, di
motti gomitoli di filo, di pettini di legno
per telaio e dì fusi di legno per la filatura
della lana e del lino. La varietà di questi
manufatti dimostra chiaramente che gli
abitanti fabbricavano da sé i loro tessuti
invece di importarli.
Tra gli altri manufatti in legno abbiamo
rinvenuto dei cucchiai che potrebbero
facilmente venire scambiati per oggetti di
fabbricazione moderna. L'abilità degli
abitanti del villaggio come boscaioli, che
appare manifesta nella costruzione delle
loro case, riceve ulteriore conferma da
una certa quantità di lunghi manici d'a-
scia. Uno di essi porta ancora una lama di
pietra levigata; altri manici erano inseriti
in manicotti ricavati da corna di cervo,
allo scopo di smorzare i colpi durante il
taglio del legname.
Quali erano le consuetudini alimentari
di questa gente? Sebbene fossero
agricoltori, essi non dipendevano unica-
mente da piante o animali addomesticati
per la loro sussistenza. Le ossa animali da
noi rinvenute indicano che essi cacciava-
no abitualmente il cervo e occasional-
mente anche l'orso. Piccole punte di selce
per armi da lancio fanno supporre che
anche la selvaggina minuta fosse oggetto
di caccia, ma le ossa di questi animali non
si sono conservate. Era praticala anche la
pesca nel lago: abbiamo ritrovato pesi da
rete in pietra e frammenti di rete (e un
unico esemplare di amo in rame, anche se
il 3000 a.C. è una data che precede di
molto l'inizio dell'età dei metalli in que-
sta parte del mondo). Grazie ai loro ani-
mali domestici, e forse anche a quelli dei
loro vicini, i cotoni arricchivano la loro
dieta con carne di bue. di montone, di
maiale e di capra.
Dalle piante coltivate (frumento e orzo)
essi ottenevano con la macinazione una
farina grossolana con la quale cuocevano
dette focacce piatte: la molatura era effet-
tuata con pietre da macina di granito.
Anche il lino era coltivato e. sebbene lo
scopo principale fosse quello di ricavarne
la fibra, probabilmente ne erano apprez-
zati anche i semi oleosi. Anche numerose
piante selvatiche venivano raccolte per
l'alimentazione. Oltre alle ghiande e alle
nocciole, già menzionate, gli abitanti del
villaggio ricercavano faggine, more, susi-
ne e mele selvatiche. Dovettero certa-
mente cuocere le loro focacce sui focolari
di argilla, e arrostire le carni a fuoco vivo,
ma conobbero pure l'arte della bollitura
con le pietre. Per questo tipo di coltura si
riempie parzialmente d'acqua un vaso e si
riscalda una certa quantità di pietre sul
fuoco fino a che diventano quasi incande-
scenti. Le pietre roventi e il cibo sono poi
posti insieme net recipiente e il calore
delle pietre porta l'acqua all'ebollizione.
Il rapido raffreddamento sovente provo-
ca la frantumazione delle pietre e, poiché
erano usati ciottoli di quarzi te, sui focolari
se ne trovano pezzi sparsi ovunque.
Durante il nono inverno di occupazio-
ne, gli abitanti del villaggio ricostruirono
completamente la prima casa. Nove anni
più tardi le ricostruirono tutte e due. La
pianta rimase identica: un rettangolo, con
il focolare al centro. Durante quei 1 8 anni
il livello del lago Paladru subì probabil-
mente leggere variazioni per effetto dei
mutamenti climatici, ciò che, in qualche
occasione, potrebbe aver prodotto umidi-
tà sull'impiantito delle case. Non vi furo-
no inondazioni di grande rilievo: l'inse-
diamento venne infine distrutto non dal-
l'acqua ma dal fuoco.
Non siamo in grado di stabilire con si-
curezza il momento in cui le case brucia-
rono. È poco probabile che l'incendio si
sia verificato a più di 30 anni di distanza
dal primo insediamento. Dopo tale inter-
vallo di tempo sarebbe rimasto ben poco
da bruciare: in un sito vicino alla riva
Questa sezione stratigrafica del fondo del lago a Baigneurs mostra, dall'alto in basso, uno strato
superiore di sedimenti che risultano sterili, cioècomplelamente privi di manufatti (zona chiara),
uno strato contenente i detriti delia seconda occupazione neolitica (spesso strato scuro), un altro
strato di sedimenti sterili che separa il secondo insediamento neolitico dal primo (zona chiara),
un priniu strato mollo sottile di detrili eli occupazione (strato scuro) e infine, ni ili sudo, il
fondo sterile del lago. Incuneata Ira ti fondo e il primo strato si trova una pietra da macina.
34
35
di un lago la durata massima di una casa
di questo tipo è dì soli 15 anni. Le testi-
monianze dendrocronologiche da noi ot-
tenute indicano tuttavia che il disastro
si verificò poco dopo il diciannovesimo
anno di vita dell'insediamento; abbiamo
infatti ritrovalo un palo, appartenente
alle case, i cui anelli di accrescimento rag-
giungono quella età. Evidentemente era
stato aggiunto in un secondo tempo a una
delle costruzioni.
Le caratteristiche della flora che ripre-
se a invadere l'insediamento dopo l'ab-
bandono erano diverse da quelle dell'an-
tica abetaia. La foresta era più aperta alla
luce solare: tra gli abeti crebbero ontani.
olmi e frassini. Quando la foresta prese ad
avanzare, il livello del lagosi elevò. Infine
l'acqua si stabilizzò a circa 1 .5 metri al di
sopra dell'antico livello e le rovine brucia-
te furono ricoperte da un sottile strato di
fango. Su questo strato si formò poi una
distesa di canne, che crebbero lungo la
nuova linea del litorale.
Circa 60 anni dopo la fondazione del
primo insediamento, in un periodo
in cui il lago Paladru era nuovamente sce-
so al precedente livello, un secondo grup-
po di agricoltori neolitici si stabili esatta-
mente nello stesso luogo presso lo sbocco
del lago. Lo stile del vasellame e dei ma-
nufatti di selce era identico a quello del
gruppo più antico: si potrebbe anche sup-
porre che i nuovi arrivati fossero i discen-
denti dei coloni originari. Costoro tutta-
via costruirono delle case di dimensioni
minori e pressoché quadrate: usarono i
focolari superstiti di argilla, ma in genere
le loro dimore sul promontorio erano si-
tuate in modo più casuale. Se esiste qual-
che differenza fra i due gruppi, oltre a
quella relativa all'ampiezza delle case, la
si può individuare nel fatto che i coloni
originari formarono l'impiantito delle
loro abitazioni con rami d'abete e felci,
mentre i loro successori usarono cortecce
d'albero. Per quanto riguarda i mezzi dì
sussistenza e in generale il modo di vi-
vere, i due insediamenti appaiono invece
identici.
Quale ramo della cultura neolitica eu-
ropea è rappresentato a Baigneurs? L'e-
same del vasellame e dei manufatti di sel-
ee indica che questi abitatori delle rive dei
laghi furono membri di una popolazione
ampiamente distribuita, la cui tradizione
culturale fiorì nella Svizzera occidentale,
sui monti del Giura, nella valle della
Saóne, nella Savoia e nel Delfinato set-
tentrionale. Tra gli studiosi della prei-
storia europea questo ramo è noto come
cultura Saòne-Rodano. I membri occi-
dentali dì questa popolazione manten-
nero stretti rapporti con gli agricoltori
neolitici della Francia meridionale; quel-
li più vicini alla Svizzera e quelli all'in-
terno di essa ebbero relazioni analoghe
con gli agricoltori neolitici dell'Europa
centrale. L'analisi mediante carbonio 14
colloca gli insediamenti di Baigneurs in
una fase primitiva del Saóne -Rodano,
datandoli intorno al 2900 a.C. Dall'epo-
ca in cui i due insediamenti, per eventi
casuali, si erano stabiliti all'estremità
del lago Paladru, trascorsero circa 90
anni prima che il secondo di essi venis-
se abbandonato, senza un motivo appa-
rente. In seguito un innalzamento del
livello delle acque fece scendere la li-
nea del litorale fino al fondo del lago,
ove le rovine degli insediamenti di Bai-
gneurs rimasero indisturbate per circa
cinque millenni.
/-"-ngsiix-ii^r
Siamo tuttora insuperati e intendiamo rimanerlo
&TDK
G GAUDI S.p A
Divisione
Audtovtàeolape
C^di Porta Nuova. 4$
Mitene
nastro che migliora il suono
37
I solitoni
ANTISOLITONE
SOLITONE
Sono onde che non si disperdono o dissipano, ma mantengono le loro
dimensioni e la loro forma indefinitamente. Si è scoperto dì recente
che possono manifestarsi come particelle elementari molto pesanti
Dalla formulazione della meccanica
quantistica negli anni venti,
onde e particelle sono sempre
state intimamente correlate, ma di recen-
te è emersa un'altra connessione tra i due
tipi di fenomeni. L'origine è sorprenden-
te: si trova nell'analisi di certe equazioni
d'onda che non fanno parte della mecca-
nica quantistica, bensì di quella classica.
Le soluzioni di queste equazioni descri-
vono onde che non si diffondono né si
disperdono, come tutte le onde più co-
muni, ma mantengono indefinitamente la
loro dimensione e la loro forma. L'onda
stessa si può considerare come una quan-
tità di energia confinata perennemente
entro una regione di spazio ben definita.
L'onda può esser posta in moto, ma non
può disperdere la propria energia diffon-
dendosi e, quando due di queste onde
collidono, entrambe riemergono dall 'urto
con la loro identità intatta. Se un'onda
incontra un'«antionda», entrambe pos-
sono venir annichilate. Un comportamen-
to del genere non è normale per le onde,
ma è comune in un contesto diverso. Data
la descrizione di un oggetto con queste
proprietà, un fisico definirebbe questo
oggetto una particella.
Onde che si propagano senza disper-
sione sono note da tempo nell'idrodina-
mica, dove sono chiamate onde solitarie o
solitoni. La scoperta più recente è che
onde non dispersive originano pure da
alcune delle equazioni formulate per la
descrizione delle particelle elementari. Il
nome solitone è stato applicato anche a
questi oggetti, I solitoni che descriverò
sono quelli che condivìdono un ben de-
terminalo meccanismo di confinamento:
non possono disperdersi per un vincolo di
natura topologica, non possono decadere,
cioè, distribuendo la loro energia in re-
gioni via via più estese, per la stessa ra-
gione per cui un nodo in una corda di
lunghezza infinita non può essere sciolto
senza tagliare la corda.
Per ora i solitoni che appaiono nella
fisica delle particelle sono interamente
una creazione dei fisici teorici ed è possi-
bile che in natura non esistano. Tuttavia,
se le equazioni che descrivono corretta-
di Claudio Rebbi
mente le particelle elementari risulteran-
no essere tra quelle che ammettono solu-
zioni di tipo solitone, allora ci si aspetta
che i solitoni stessi si manifestino come
particelle. La loro massa sarebbe molto
elevala, probabilmente migliaia di volte
quella dei protone. Una particella solito-
ne avrebbe pure certe proprietà caratteri-
stiche: per esempio, una teoria prevede
che i solitoni sarebbero monopòli magne-
tici, ossia poli nord o sud di magnetismo
che siano separati.
Anche se particelle del genere non
dovessero esistere, Ì solitoni possono
rientrare nel mondo delle particelle in un
altro ruolo, come oggetti confinati non
soltanto entro una ben definita regione di
spazio, ma anche in un intervallo di tem-
po. Questi solitoni evanescenti sono stali
chiamati istantoni e. come il solitone, II-
stantone è un oggetto classico con un'in-
terpretazione quantistica. Va visto non
come una particella, ma come una transi-
zione tra due stati di un sistema, una
manifestazione del fenomeno noto come
«effetto tunnel». Transizioni mediate da
istantoni sono già state utilizzate per spie-
gare i valori della massa di alcune particel-
le, valori che apparivano altrimenti in-
conciliabili con la teoria.
"D er comprendere che cosa ci sia di tanto
* notevole in un'onda che non si dif-
fonde, basta pensare a una normale onda
dispersiva, come quella generati! da un
sassolino lanciato in uno stagno. L'onda
si propaga sulla superficie dell'acqua e-
spandendosi ad anello. Un'osservazione
attenta rivela che la perturbazione della
superficie diviene meno pronunciata man
mano che l'onda si allontana dal centro,
fino a scomparire completamente.
Un fattore importante nello smorza-
mento di un'onda liquida èia viscosità del
mezzo, una manifestazione del Pat trito. In
alcune sostanze, tuttavia, le onde si pro-
pagano senza attrito, ma si disperdono lo
stesso, e anche le onde in uno stagno
riempito da un liquido ideale senza attrito
si estinguerebbero, poiché le componenti
dell'onda con frequenza diversa si propa-
gano con velocità differenti, distribuendo
così l'energia in un'area sempre più vasta.
Vista in sezione, l'onda diventa sempre
più estesa, ma di minore ampiezza. Se può
procedere indefinitamente, l'onda si di-
sperde su una superficie di area infinita e
così scompare.
I solitoni non sono, propriamente par-
lando, immuni da dispersione; piuttosto
sono onde in cui gli effetti della dispersio-
ne sono compensati esattamente da un
fenomeno alternativo. Tale compensa-
zione è possibile solo entro una certa clas-
se di onde, caratterizzate da un'equazione
di moto di tipo non lineare. Non lineare
significa che la modalità di propagazio-
ne delle onde dipende non solo dalla
forma della perturbazione, ma pure dalla
sua ampiezza.
La prima osservazione scritta di un soli-
tone risale a quasi 150 anni or sono, a
opera di John Scott Russell, un ingegnere
e architetto navale. Questa la sua comu-
nicazione alla British Association for the
Advancement of Science: «Slavo osser-
vando il moto di una barca trainata rapi-
damente lungo uno stretto canale da un
paio di cavalli, quando la barca improvvi-
samente si fermò - non cosi la massa d'ac-
qua che aveva posto in moto; questa si
accumulò attorno alla prua del vascello in
uno stato di agitazione violenta e quindi,
lasciandolo improvvisamente ali 'indietro,
si mosse in avanti con gran velocità assu-
mendo la forma di una grande elevazione
solitaria, un mucchio d'acqua arrotonda-
to, liscio e ben definito, che continuò la
sua corsa lungo il canale, apparentemente
senza alterazione di forma o diminuzione
di velocità. Lo seguii a cavallo, e lo rag-
giunsi mentre procedeva ancora a una
veloci là di circa ottoo nove miglia all'ora,
mantenendo il proprio profilo originale,
circa trenta piedi in lunghezza, un piede o
un piede e mezzo in altezza. La sua altez-
za gradualmente diminuì e. dopo una rin-
corsa di uno o due miglia, lo persi nei
meandri del canale».
Scott Russell avanzò l'ipotesi che la
stabilità dell'onda da lui osservata risul-
tasse da proprietà intrinseche del moto
dell'onda piuttosto che dalle circostanze
specifiche della sua formazione, ma que-
TEMPO
Solitone e antisotilone appaiono come gradini di direzione opposla
nella struttura de! campo. Nell'illustrazione in allo è raffigurata l'evolu-
zione del campo stesso; procedendo all'indietro ogni lìnea rappresenta
una configurazione successiva del campo. Nuirilluslraz.ione sotto sono
raffigurate le corrispondenti distribuzioni di energia. All'inizio della
sequenza il solitone e l'anlivolitone si avvicinano; l'antisolilone si muo-
POSIZIONE. X
ve con maggiore velocità e possiede pertanto maggiore energia. Quando
le due onde si incontrano, si annichilano e dalia loro energia viene creata
immediatamente un'altra coppia solitone -antisolitene. Il campo unidi-
mensionale in cui le onde si propagano è chiamato campo di sin -Gordon
dal nome dello scienziato Walter Gordon. Lontano dal solitone e
dall'antisolilone il campo assume ovunque valori con energia nulla.
40
41
st'opinione non venne accettala immedia-
tamente. Nel 1895. tuttavia, D. J. Korte-
weg e Hendrik de Vries Fornirono la trat-
tazione analitica completa di un'equazio-
ne idrodinamica non lineare e dimostra-
rono l'esistenza di onde localizzate, non
dispersive. Da allora i soli toni sono dive-
nuti un fenomeno ben conosciuto in vari
campi dell'ingegneria e della matematica
applicata,
T sotitoni che interessano la fisica delle
*■ particelle derivano da equazioni che
descrivono campi, ossia sistemi estesi nel-
ONDA DISPERSIVA
POSIZIONE, x —*■
ONDA NON DISPERSIVA (SOLITONE)
N
N
UJ
E
<
POSIZIONE.* — »
La persistenza di un'onda è limitala soprattutto dalla dispersione, processo per cui le componenti
dell'onda con lunghezza d'onda diversa si propagano con velocità diversa. A causa della disper-
sione un'onda ordinaria (grafico in allo) tende ad appiattirsi e a diffondersi e alla fine scompare
del lulto. In solitone (grafico in basso) è un'onda elle non viene dissipata, poiché gli effetli del-
la dispersione sono cancellali da altre caratteristiche del moto dell'onda. Il solitone rappresene
una quantità di energia che può spostarsi da punto a punto, ma non diffondersi nello spazio.
a
POSIZIONE, x
1 i . I 1
CAMPO v- (*)
tltlt.
CAMPO VETTORIALE è (x)
i n
i
_ T
T
Ut
Un campo costituisce il mezzo in cui i solitoni si propagano. Un campo assegna a ogni punto dello
spazio un valore ben definito di una qualche quantità prefissata. In questa illustrazione lo spazio
(a) è unidimensionale e i punti illustrali sono semplicemente alcuni, scelti entro un continuo
infinito. Nel campo più semplice (b) un'unica grandezza, rappresentata dalla lunghezza di un
segmento, è misurata in ciascun punto. Un campo più complesso, il campo vettoriale (e), possiede
lutilo una grandezza quanto una direzione, illustrate qui per mezzo di frecce. Perché un campo sia
realizzabile nel mondo fisico, deve essere definito ovunque (anche se può assumere valore zero) e,
nel caso che esso cambi da punto a punto, la sua variazione deve essere conlinua e regolare.
io spazio. Un campo attribuisce a ogni
punto dello spazio il valore di qualche
quantità specifica, per esempio il poten-
ziale elettrico. Spesso più quantità sono
definite in ciascun punto. I valori possono
cambiare da punto a punto e momento
per momento ma le loro variazioni devo-
no essere continue e regolari.
Il campo più familiare è quello elettro-
magnetico, descritto dalle equazioni di
James Clerk Maxwell. Nella teoria di
Maxwell sei valori sorto assegnali a ogni
punto dello spazio: rappresentano le
componenti dei campi elettrico e magne-
tico lungo tre assi ortogonali. Anche la
gravitazione è descritta da equazioni di
campo, precisamente quelle della teoria
di Einstein della relatività generale. La
superficie di uno stagno può essere vista
come modello di un campo bidimensiona-
le: la quantità da specificare punto per
punto è la posizione verticale, altezza
della superfìcie d'acqua rispetto a un livel-
lo di riferimento. Un'onda che si propaga
nell'acqua è allora una perturbazione di
questo campo.
Una proprietà fondamentale dei campi
è che. come le particelle, possono traspor-
tare energìa. L'energia del campo per uni-
tà di volume è espressa matematicamente
come somma di tre quantità. Una di que-
ste è proporzionale al quadrato del rap-
porto di variazione temporale del campo
(o derivata del campo rispetto al tempo).
Un'altra ha una forma analoga, ma è pro-
porzionale al quadrato del rapporto di
variazione spaziale del campo. Un terzo
termine è determinato non da un rappor-
to di variazione, ma dal valore stesso del
campo nei vari punti. È consuetudine
chiamare il primo termine energia cineti-
ca e la somma degli altri due energia po-
tenziale. Nell'ambito di questa discussio-
ne, tuttavìa, sarà utile disporre di un
nome separato per ciascuna di queste tre
quantità e pertanto chiamerò energia in-
trinseca la componente dell'energia che
dipende direttamente dal valore del cam-
po, riservando il nome di energia poten-
ziale per indicare la componente propor-
zionale al quadrato del rapporto di varia-
zione spaziale.
È possibile dare una spiegazione intui-
tiva di questa analisi dell'energia di un
campo. Il termine relativo all'energia ci-
netica è tale, che l'energia totale del cam-
po aumenta quando il valore del campo
stesso (nei suoi singoli punti) varia più
rapidamente. Nel modello di campo dato
da una super/ieie d'acqua questa relazio-
ne implica che l'energia cinetica è propor-
zionale al quadrato delia rapidità della
variazione di livello o. in' altre parole, al
quadrato di una velocità. È comunemen-
te noto dall'esperienza quotidiana che
quando un oggetto si muove più rapida-
mente trasporta più energia.
L'energia potenziale, così come è stata
precedentemente da me definita, aumen-
ta quando una variazione di stato del
campo è compressa entro un volume più
pìccolo. Edi nuovo con fermato dall'espe-
rienza che l'energia richiesta per piegare
o deformare un oggetto aumenta quando
il volume entro cui la deformazione ècf-
fa
BASSA ENERGIA /\
t-
-/ \
\
ENERGIA CINETICA (RAPPORTO DI VARIAZIONE NEL TEMPO)
ENERGIA ELEVATA
ENERGIA CINETICA (RAPPORTO DI VARIAZIONE NEL TEMPO)
ENERGIA POTENZIALE (RAPPORTO DI VARIAZIONE NELLO SPAZIO) ENERGIA POTENZIALE (RAPPORTO DI VARIAZIONE NELLO SPAZIO)
ENERGIA INTRINSECA (GRANDEZZA DEL CAMPO)
L'energia di un campo e la somma di tre componenti, qui visualizzate
mediante una superficie d'acqua, presa a modello di un campo. L'ener-
gia cinetica è proporzionale al quadralo del rapporto di variazione del
campo nel tempo; un campo con onde che si muovono più veloci ha più
energia. L'energia potenziale è proporzionale al quadralo del rapporto
di variazione spaziale; un campo le cui fluttuazioni hanno lunghezza
ENERGIA INTRINSECA (GRANDEZZA DEL CAMPO)
d'onda più corta ha maggiore energia. L'energia intrinseca e data dal-
ia grandezza del campo, anche se la legge che correla queste due
quantità può assumere forme diverse. Nell'esempio della superficie
d'acqua un livello più allo corrisponde a una maggiore energia in-
trinseca. L'energia del campo si annulla quando il campo è statico,
uniforme e in una configurazione che porta minima energia intrinseca.
< CAMPO
Stati di vuoto dì un campo sono le configurazioni con energia nulla.
Poiché l'energia cinetica e quella potenziale possono sempre essere
ridotte a zero rendendo il campo statico e uniforme, occorre considera-
re solo l'energia intrinseca per determinare gli stati di vuoto. Qui sopra
l'energia intrinseca è tracciata quale funzione della grandezza del cam-
po per campi descritti da Ire semplici equazioni. Se l'energìa cresce
come il quadrato della grandezza del campo la), allora c'è un solo stato
di vuoto: l'energia si annulla quando il campo stesso è zero. Una
i aliante di questa equazione (b) produce un campo con due stati di
vuoto. L'energia si annulla quando il campo assume valore + 1 o -1 , ma
l'energia è maggiore di zero quando il campo slesso si annulla. L'ener-
gia del campo di sin -Gordon (e) è una funzione periodica e ha un
numero infinito di stati di vuoto. Se la grandezza del campo di sin-Gor-
don è misurala in gradi, allora l'energia è zero quando la grandezza
del campo è uguale a (1, 180, 560 gradi e cosi via. Solitoni topolo-
gici possono esistere in campi che abbiano siati di vuoto multipli.
42
43
fettuata viene ridotto. L'interpretazione
della componente intrinseca dell'energia
è ancora più immediata; non può sor-
prendere che l'energia di un campo di-
penda dal suo valore. Nel modello rap-
presentato da una superficie d'acqua, l'e-
nergia intrinseca dipende dal livello del
liquido. Un livello più alto corrisponde a
una maggiore energìa.
Ooiché sia l'energia cinetica sia l'ener-
■*■ già potenziale sono espresse come
quadrati di una grandezza, non possono
mai assumere valore negativo. Nel valu-
tare l'energia intrinseca di un campo è
necessario considerare solo differenze di
energia: la minima energia intrinseca os-
servata può essere quindi convenzional-
mente posta uguale a zero e anche l'ener-
gia intrinseca può essere definita in mo-
do da non assumere mai valori negativi.
Così, l'energia totale minima di un campo
è uguale a zero.
Lo stato di un campo con il valore mi-
nimo (zero) di energia è chiamato stato di
vuoto o, semplicemente, vuoto. È ovvio
che in uno stato di vuoto il campo deve
essere costante nello spazio e nel tempo,
poiché ogni variazione comporterebbe un
valore maggiore di zero per l'energia ci-
netica o per l'energia potenziale. Per ot-
tenere il vuoto quindi è necessario solo
rendere minima l'energia intrinseca. D
vuoto è lo stato di campo uniforme con
energia intrinseca zero.
Dato che l'energia intrinseca è deter-
minata dal valore del campo, la situazione
più ovvia è quella in cui l'energia intrinse-
ca è minima quando il campo è dovunque
zero. 11 vuoto è quindi lo stato con campo
nullo, il che corrisponde appunto alla no-
zione intuitiva di spazio vuoto. Questa,
tuttavia, non è la sola possibilità. Esiste
una varietà di equazioni dì campo, secon-
do cui l'energia intrinseca si annulla per
qualche valore del campo diverso da zero.
Pertanto lo stato del sistema con campo
nullo, che ci si potrebbe aspettare rappre-
senti il vuoto, in effetti può possedere
un'energia maggiore che non qualche sta-
to alternativo con campo non nullo. Que-
st'altro stato è il vero vuoto, il punto di
zero energia, anche se descrive uno spazio
permeato da un campo uniforme. Un
esempio è costituito dal campo magnetico
di un ferromagnete. Lo stato di minor
energia per un ferromagnete non è quello
magnetizzato: al contrario, un ferroma-
gnete si dispone spontaneamente in uno
stato con campo magnetico uniforme non
nullo, perché in questo modo riduce la
propria energia.
Se l'energia intrinseca si riduce a zero
per un certo valore non nullo del campo, è
ben possibile che vi siano più valori distin-
ti del campo che la rendono nulla. Invero,
alcune equazioni di campo danno origine
a una molteplicità di stati di vuoto, cia-
scuno associato a un diverso valore de!
campo. Tutti gli stati di vuoto sono equi-
valenti (hanno tutti energia zero), ma
sono distinti. L'esistenza di almeno due
stati divuotoèuna condizione necessaria
per l'esistenza dei solitoni che descriverò
in questo articolo.
Si immagini che a un certo istante ven-
ga osservata un'onda, ossia un'eccitazio-
ne di qualche campo, confinata entro un
volume di spazio ben definito. Al di fuori
di questa regione il campo non è eccitato e
assume un valore che rende l'energia
dovunque nulla. Lo stato complessivo
non può essere il vuoto, perché c'è ener-
gia nell'onda. Come l'onda si disperde,
però, la sua energìa viene distribuita in
volumi via via più estesi, e alla fine, quan-
do l'onda si sarà diffusa fino all'infinito,
l'energia per unità di volume sarà scesa a
zero. L'onda sarà scomparsa e il campo
assumerà uno dei suoi valori di vuoto,
costante in tutto lo spazio.
Se il campo è fra quelli che posseggono
stati di vuoto multipli, però, c'è un'altra
possibilità. Nelle regioni di spazio che cir-
condano un'onda isolata il campo può
assumere valori diversi, tutti corrispon-
denti al vuoto, ma distinti. Se la configu-
razione topologica degli stati di vuoto è
tale che il campo non può venir esteso
consistentemente a un singolo valore di
vuoto in tutto lo spazio, l'onda non potrà
espandersi e disperdere la propria ener-
gia. Ne risulterà una perturbazione stabi-
le del campo: un solitone.
La topologia di un solitone può essere
chiarita considerando alcune particolari
equazioni di campo. L'equazione più
semplice descrive un campo che esiste in
uno spazio unidimensionale, una linea di
lunghezza infinita, dove ciascun punto è
specificato da una singola coordinata, x.
Un campo in questo spazio attribuisce a
ogni punto della linea un valore, che de-
noterò mediante la lettera greca q> (phi).
Una descrizione più formale del campo è
data dall'espressione matematica tp (x),
che si legge « q> è funzione di .v» o, più
concisamente. « 9? di jf», e significa che
per ogni punto della linea c'è uno e un
solo valore del campo (p.
Come 9? dipende da.v, così pure l'ener-
gia intrinseca dipende da <p . La dipen-
denza è espressa esplicitamente dalla
notazione E t (9?): l'energia intrinseca è
funzione di <p e così ogni valore del cam-
po possiede una certa energia intrinseca
ben definita. Il significato fisico di queste
formule matematiche sì decifra con facili-
tà. Dato un punto qualsiasi*, nello spazio
unidimensionale, il valore del campo è
specificato in quel punto senza ambiguità.
Dato il valore del campo in ogni punto, è
possibile calcolarne l'energia intrinseca,
Solitoni si manifestano quando diversi
valori del campo hanno la stessa energia
intrinseca minimale.
Un'espressione per l'energia intrinse-
ca che può dare origine ai solitoni è data
dall'equazione E, = (sin <p) z . Questa
equazione asserisce che per ogni valore.
93 , del campo, l'energia intrinseca si
trova calcolando il seno trigonometrico
di <p e quadrando il risultato. L'equa-
zione del moto per onde che si propaga-
no in un mezzo con queste caratteristi-
che è chiamala equazione di sin-Gor-
don. (In inglese «equazione di sine-
Gordon», e il nome risulta una modifi-
ca fonetica del nome di un'altra equa-
zione, a questa correlata, discussa nel
1926 dal Oskar Klein e Walter Gordon. )
Le proprietà del campo di sin -Gordon
possono venir esplorate sostituendo valo-
ri numerici per <p nell'equazione che de-
finisce l'energia intrinseca. Non è neces-
sario assegnare dimensione fisica a questi
valori. Per semplicità immaginiamo di
aver scelto unità di misura tali che l'ener-
gia intrinseca vari tra zero e uno e che 93
venga misurato in gradi.
Il seno è una funzione trigonometrica il
cui valore varia tra zero e uno e tra zero e
meno uno e il cui quadrato assume perciò
valori sempre compresi tra zero e uno. Se
(p è uguale a zero, il seno di 9? e anche il
quadrato del seno sono zero; quindi l'e-
quazione di sin-Gordon è un'equazione
in cui lo stato con campo nullo rappresen-
ta il vuoto. Quando <p aumenta da zero a
90 gradi, il seno e il suo quadrato cresco-
no con continuità, raggiungendo il valore
uno quando g> è uguale a 90 gradi. Se tp
continua a crescere, tuttavia, il quadrato
del seno diminuisce e ritorna a zero quan-
do tp è uguale a 1 80 gradi. Questo valore
di <p rappresenta pertanto un altro vuoto
del sistema. Continuando a aumentare (p
il seno diventa negativo, ma il suo quadra-
to, naturalmente, rimane positivo e di
nuovo vale uno quando <p è uguale a 270
gradi. Per <p = 360 gradi il quadrato del
seno è nuovamente zero e rappresenta
così un altro stato di vuoto. Stati addizio-
nali con energìa intrinseca nulla si incon-
trano quando 9? diviene uguale a 5.40",
720", 900", 1080" e cosi via. Al crescere di
<p vi è un'infinità di possìbili slati di vuo-
to, ciascuno separalo da quelli adiacenti
da un rilievo dove l'energia intrinseca sale
gradualmente al valore uno.
Ta configurazione di un campo unidi-
*—' mensionale può venir rappresentata
mediante un grafico bidimensionale, os-
sia un grafico nel piano. Su un asse sono
riportati tutti i punti x dello spazio unidi-
mensionale; sull'altro sono riportati i pos-
sibili valori del campo <p. Per ogni x si
traccia un punto nel piano in corrispon-
denza del valore del campo in quel punto.
Poiché il campo è definito con continuità
a ogni punto x, ì segni nel piano possono
essere in ogni caso connessi con una linea
o una curva. Se la linea è retta e parallela
all'asse x, allora rappresenta uno stato in
cui il campo è ovunque costante.
Una terza dimensione è aggiunta al gra -
fico per illustrare l'energia intrinseca del
campo, che è resa proporzionale all'altez-
za sopra il piano. Per l'equazione di sin-
Gordon i punti che rappresentano l'ener-
gia intrinseca formano una superficie
ondulata a sinusoide. In questa superficie
d'energia le ondulazioni sono parallele
all'asse x e presentano valli, i cui fondi
corrispondono a energia zero e si otten-
gono per tp - 0", 180", 360", ecc. {si veda
l'illustrazione nella pagina a fronte.)
In questo grafico tridimensionale la
configurazione del campo è rappresenta-
ta da una linea tracciata sulla superficie
ondulata. Una delle configurazioni possi-
bili è descritta da una linea retta che ri-
mane al fondo di una valle, per esempio
quella che corrisponde 39? = 180". Il
SUPERFICIE
01 ENERGIA INTRINSECA
VUOTO GLOBALE
ONDA DISPERSIVA
SOLITONE
VUOTO GLOBALE
SOLITONE
La superficie di energia del campa di sin-Gordon illustra i! vincolo
topologico che confina un solitone. La disianza lungo l'asse x, che si
estende all'infinito in entrambe le direzioni, dà la posizione di un punto
in uno spazio unidimensionale. La distanza lungo l'asse y dà la gran-
dezza del campo nel punto jr. La quota della superficie d'energia sopra
il piano (lungo l'asse E t ì dà l'energia intrinseca del campo in quel
punto. Il campo di sin-Gordon ha stati di vuoto multipli, precisamente
lutti i fondovalle nella superficie d'energia. Una linea che giace in uno
di questi fondovalle descrive uno stalo di vuoto globale: il campo ha
dovunque la stessa grandezza che corrisponde a energia intrìnseca
nulla. Una linea che oscilla entro una valle rappresenta un'eccitazione
locale del campo, ossia un'onda ordinaria. Poiché la linea si innalza al di
sopra del fondovalle, il campo porta energia, ma l'onda finisce con il
disperdersi. Un solitone ha origine quando il campo assume valori di
vuoto diversi lungo te due direzioni che portano all'infinito. Nel solito-
ne qui raffigurato il campo alla sinistra è nello stato di vuoto, con <p =
gradi, ma alla destra possiede il valore di vuoto alternativo p = 180
gradi. Il campo deve essere continuo e cosi da qualche parte lungo l'asse
x deve attraversare il crinale della superficie d'energia che separa i due
stati di vuoto. 11 gradino nella zona di transizione è il solitone. Può
essere sposlaio, ma se la superficie è infinita, il gradino non può essere
rimosso e il solitone non può disperdersi. Nella parte inferiore della
figura, l'energia intrìnseca delle tre configurazioni di campo è proiettala
in un grafico bidimensionale. L'onda dispersiva e il solitone hanno pure
energia potenziale e. se sono in movimento, possiedono anche energia
cinetica, ma queste quantità non sono visualizzate in questo grafico.
44
45
SOLITONE ANT [SOLITONE
La forma ottimate per un solitone è quella che produce la minor somma di energia potenziale e
intrinseca. L'energia potenziale, essendo detcrminata dal rapporto di variazione spaziale, è
minima quando la transizione è graduale e la linea attraversa la sommità con un angolo lieve (a).
Un lungo tratto della linea, però, si trova allora vicino al picco dell'energia intrìnseca. L'energia
intrinseca e minima quando la linea attraversa la cresta a angolo retto, ma una transizione brusca
(b) rende l'energia potenziale molto elevata. Il compromesso migliore è raggiunto quando la linea
attraversa la sommila a un angolo intermedio (e) e l'energia potenziale e intrinseca sono uguali.
grafico significa che il campo vale 180
gradi a ogni punto lungo la linea x. Il
campo non varia nello spazio e. a meno
che sia perturbato da qualche azione
esterna, non può cambiare con il tempo.
Inoltre, poiché <p = 180 gradi è uno dei
valori per cui l'energia intrinseca è zero,
l'energia totale è pure zero. Il campo si
trova in uno dei molti stati di vuoto equi-
valenti; poiché lungo la linea Io stato di
vuoto è ovunque lo stesso, si parla di
vuoto globale.
Un'altra configurazione è ottenuta in-
troducendo una piccola perturbazione in
una linea giacente lungo un fondovalle.
Al sito della perturbazione la linea che
rappresenta lo stato del sistema sale par-
zialmente lungo la parete di una valle,
ritorna al fondo e poi su per l'altra parete,
e continua quindi questo profilo sinuoso
con una serie di oscillazioni via via più
ridotte. Il grafico corrisponde a una ecci-
tazione d'onda del campo, ma di un tipo
che alla fine si disperderà. Dove la linea si
avventura al di sopra del fondovalle il
campo ha energia intrinseca e poiché va-
ria nello spazio possiede energia poten-
ziale. Il processo stesso di dispersione in-
troduce energia cinetica. A mano a mano
che l'onda si distribuisce lungo l'intera
estensione della linea, tuttavia, l'energia
per unità di lunghezza diviene nulla e il
campo ritorna a una configurazione stabi-
le di vuoto globale.
Un solitone dell'equazione di sin-Gor-
don si manifesta quando la linea di una
valle nella superficie di energia, attraver-
sa la sommità e scende al fondo della valle
contigua. Lontano da questo punto di
transizione, in entrambe le direzioni lun-
go la linea, il campo si trova in uno stato di
vuoto, ma non nello stesso stato nelle due
direzioni opposte. Il valore del campo,
per esempio, potrebbe essere di 1 80 gradi
nei punti alla sinistra della transizione, e
di 360 gradi alla destra. Nella regione di
transizione il campo non è in uno stato di
vuoto, ma possiede energia intrinseca
poiché la linea deve sormontare il colle
nella superficie di energia e possiede
energia potenziale perché il valore del
campo varia da punto a punto.
Il solitone rappresenta una sorta di
gradino nel la configurazione del campo e.
se la linea jt si estende fino all'infinito in
entrambe le direzioni, il gradino non può
mai venire eliminato. Un'estremità della
linea è ancorata allo stato di vuoto con <p
- 180" e l'altra allo stato di vuoto con <p
= 360". La linea è continua e quindi deve
attraversare il massimo dell'energìa tra
due stati di vuoto da qualche pane lungo
la sua estensione. Il solitone non può
disperdersi e la sua energia non può ve-
nire diffusa.
T 'energia totale del solitone dipende dal-
-*-' le proprietà geometriche della tran-
sizione tra i due stati di vuoto. L'energia
potenziale è resa mìnima quando il campo
varia il più gradualmente possibile e per-
tanto la lìnea attraversa la sommità con
un angolo minimo, quasi parallela all'asse
x . In questa configurazione, tuttavia, la
linea si trova elevata al di sopra del fon-
540
360
* 180
ANT1SOLÌTONE
SOLITONE
Creazione e annichilazione dì solitonì assomigliami alle operazioni
corrispondenti tra particelle uuanlLstichc. Nel campo di sin-Gordon
una .sezione della linea che descrive lo stato del sistema può essere
spostala dal fondo di una valle e falla passare, oltre il crinale, nella valle
contigua. Il risultato dì questa opera/ione è la creazione simultanea di
un solitone e di un antisolitune, ì quali possono successivamente sepa-
rarsi. Nel processo opposlo un solitone e un anlisolitonc si annichilano.
L'equazione che governa il campo dì sin-Gordon genera sempre una
nuova coppia subito dopo l'annich il azione de Ila prima, ma in altri sistemi
con solitonì l'energia dell'onda può essere dispersa in maniera diversa.
dovalle per un lungo tratto e l'energia
intrinseca è elevata. L'energia intrinseca
è minima quando la linea attraversa il
colle perpendicolare all'asse x, con una
transizione subitanea tra i due stati dì
vuoto, ma in questo caso il rapporto di
variazione spaziale è alto e l'energia po-
tenziale raggiunge un valore estremo.
L'energia totale è minima quando la tran-
sizione avviene in modo graduale, a un
angolo intermedio. In questo caso, infatti,
l'energìa intrinseca e l'energia potenziale
risultano uguali.
Nonostante il campo di sin-Gordon
abbia una struttura notevolmente sempli-
ce, i solitonì cui dà luogo hanno diverse
proprietà importanti in comune con le
particelle. La stabilità del solitone in quie-
te è già stata discussa; il solitone può an-
che essere messo in moto senza cambia-
mento di forma ; la regione di transizione
tra i due stati di vuoto scorre lungo la
cresta della sommità con velocità costan-
te. Anche quando il solitone è in moto,
l'ampiezza della regione di transizione
rimane costante nel tempo e l'unica varia-
zione d'energia è costituita dall'aggiunta
dì un termine di energia cinetica.
Non c'è nulla, nell'equazione di sin-
Gordon. che limiti la configurazione del
campo a un unico solitone e in effetti po-
trebbe esserci un numero illimitato tanto
di soliioni che di antisolttoni. Per conven-
zione, un solitone è un gradino dove il
campo cresce (da un valore di vuoto al
prossimo) quando x cresce, e un antisola-
tone è un gradino dove il campo decresce
al crescere di x. È facile creare una coppia
solitone-antisolitone dal vuoto globale: è
sufficiente sollevare la linea dal fondo di
una valle e spostarla, a modo di festone,
oltre la sommità entro la valle contigua.il
processo descritto corrisponde alla crea-
zione di una particella insieme con la
sua antiparticella in una teoria di campo
quantistica.
Nel processo opposto un solitone e un
antisoliionc collidono. L'equazione di
sin-Gordon ha la particolare proprietà
che il solitone e l'antisolitone riemergono
dall'urto inalterati, ma è facile modificare
l'equazione in modo da dar origine al-
l'annichilazione dì entrambe le onde. I
due gradini allora scompaiono e la loro
energia è diffusa in un'onda che si disper-
de, mentre la configurazione del campo
tende al vuoto globale. Analoghi processi
di annichilazione sono osservati tra parti-
celle e antiparticelle. Poiché coppie soli-
tone-antisolitone possono venire create e
annichilate con facilità, è solo la differen-
za tra i numeri totali di questi oggetti a
esser conservata. 11 campo, per esempio,
potrebbe tendere a un valore <p = 180"
lungo una direzione e a un valore ip =
= 360" procedendo all'infinito nella dire-
zione opposta, ma potrebbero esserci set-
te solitoni e sei an ti so li toni nella regione
di transizione. Sei solitoni e sei antisoli-
toni potrebbero annichilarsi vicendevol-
mente, ma non c'è modo di eliminare l'ul-
timo solitone.
È facile produrre un modello funzio-
nante della superficie dì energia del cam-
po di sin-Gordon. Basta piegare un foglio
di carta spessa a fisarmonica o, se possibi-
le, in una serie di ondulazioni regolari, e
poi depositare una catenina sottile sulla
superficie così ottenuta. Se la catenina ha
origine sul fondo di una delle pieghe e
finisce sul fondo dì quella contigua, deve
esserci un solitone nel punto dove la cate-
nina passa da uno stato di vuoto all'altro.
La conservazione assoluta del solitone
non può venir provata a meno che la su-
perficie e la catena abbiano un'estensione
infinita, ma certe altre proprietà possono
venir esaminate. Inclinando la superficie,
per esempio, si può mettere in movimen-
to il solitone, e agendo con cura è pos-
sibile anche creare o far annichilare una
coppia solitone-antisolitone. La prima
dimostrazione di questo modello, cui io
abbia assistilo, è stata eseguita da Holger
Nielsen, un fisico danese, il quale ha
svolto un lavoro pionieristico nello studio
dei solitoni.
Potrebbe sembrare che il campo di sin-
-Gordon sia una costruzione artificiale.-
senza rapporti con la realtà. Il campo,
essendo unidimensionale, ha un potere
descrittivo necessariamente limitato. Per
di più, gli stati di vuoto multipli, necessari
all'esistenza dei solitoni. sono introdotti
da quella che può sembrare un'ipotesi
alquanto arbitraria, precisamente che l'e-
nergia intrinseca sia una funzione perio-
dica del campo. Esistono tuttavia feno-
meni del mondo tridimensionale effetti-
vamente confinati a una sola dimensione.
Un esempio è dato dal moto di elettroni
lungo una catena dì molecole disposte a
pila e l'equazione dì sin-Gordon è stata
applicata all'analisi di questo sistema e di
altri analoghi. La variazione periodica
dell'energia intrinseca pure non costitui-
sce un concetto troppo remoto dall'espe-
rienza comune. Si pensi all'energia di un
pendolo espressa quale funzione dell'an-
golo che ne misura la deviazione dalla
verticale. Come l'angolo cresce a partire
da zero gradi, così l'energìa cresce, fino a
raggiungere un massimo quando l'angolo
misura 180 gradi; l'energia quindi dimi-
nuisce, ritornando a zero dopo un giro
completo, e successivamente cresce di
nuovo, e così dì seguito, in un'alternanza
di massimi e minimi, mentre l'angolo con-
tìnua a aumentare.
La similitudine qualitativa tra ì solitoni
del campo di sin-Gordon e un certo si-
stema dì particelle in interazione è stata
46
47
SUPERFICIE DI ENERGIA INTRINSECA
^*>ì
A E) SUPERFICIE DI ENERGIA INTRINSECA
>*2
STATI DI VUOTO
Campi bidimensionali possono incorporare solitoni se ci sono stati di vuoto multipli con una
topologia appropriala. I campi sono definiti da due quantità in ciascun punto dello spazio, denotate
di) '/■- e ff . ()«nì combina/ione di y, e 93, comporta un'energia intrinseca ben definita, determinata
dalla superficie d'energia del campo. In una delle teorie di campo possibili (in aito) l'energia è zero
solo quando entrambe le componenti del campo si annullano; i solitoni non sono possibili in questo
campo, Solitoni possono manifestarsi quando la superficie d'energia ha una struttura alquanto più
complessa (in basso). Qui un campo le cui componenti sono entrambe nulle ha un'energia mag-
giore di zero. Gli stati di vuoto del campo sono dati da quelle combinazioni di 9), e p2 che
descrivono una circonferenza di raggio unitario. Ma se fp { e y>, sono componenti di un vetto-
re, il campo ha energia nulla quando il vettore è 1, indipendentemente dalla sua direzione.
estesa a un'equivalenza formale. Nel
1958 Walter E. Thirring dell'Università
di Vienna ha formulato un modello quan-
tistico di particelle e antiparticelle in
moto in uno spazio unidimensionale. Sid-
ney R. Coleman della Harvard University
ha dimostrato recentemente che il model-
lo di Thirring e i solitoni dell'equazione di
sin -Gordon descrivono Io stesso fenome-
no. Nel modello di Thirring si postula l'e-
sistenza delle particelle, che quindi ven-
gono fatte interagire secondo uno schema
definito; i solitoni, invece, non vengono
introdotti a priori, ma emergono sponta-
neamente come conseguenza dell'equa-
zione del moto. Ciononostante, i due tipi
di oggetti si propagano e interagiscono
esattamente allo stesso modo.
T asciando da parte il notevole successo
-*— ' della teoria di sin -Gordon, non v'è
dubbio che il mondo reale ha tre dimen-
sioni spaziali e non una. Se i solitoni esi-
stono come particelle reali, devono appa-
rire in una teoria tridimensionale. Onde
bidimensionali con le proprietà dei soli-
temi sono note da anni; la scoperta di soli-
toni tridimensionali è più recente. Questi
ultimi possono esistere in natura come
particelle; i solitoni bidimensionali sono
importanti in altri rami della fisica e costi-
tuiscono modelli utili per illustrare le
proprietà di quelli tridimensionali. Inve-
ro, una volta eseguito il passaggio dalla
lìnea al piano, non si incontrano ulteriori
barriere concettuali nel passaggio a spazi
con un maggior numero di dimensioni.
La stabilità di molti solitoni in spazi con
un maggior numero di dimensioni può
essere dimostrata mediante considera-
zioni topologiche simili a quelle svolte per
il campo di sin-Gordon, anche se la confi-
gurazione geometrica dei campi diviene
alquanto più difficile da visualizzare. In
due dimensioni il valore di un campo è
una funzione continua della posizione
entro un piano. Un grafico dei campo può
essere costrutto disegnando il piano e
usando la quota al di sopra dei vari punti
come rappresentazione dei valori ivi as-
sunti dal campo. L'insieme di questi valo-
ri forma una superficie eretta sopra il pia-
no, che è piatta se il campo ha un valore
costante, mentre ha una forma geometri-
ca più complessa se il campo varia da
punto a punto. In tre dimensioni il campo
deve essere definito in ciascun punto del-
lo spazio ordinario; non è possibile però
tracciarne un grafico a meno di disporre
di un ipotetico spazio quadrimensionale.
D'altronde, le proprietà dei campi bi- e
tridimensionali sono molto simili, cosic-
ché nella maggior parte dei cast il più
semplice dei due campi serve a illustrare
entrambi.
Nel caso della dimensione unica, la
proprietà che si è trovata essenziale per
l'esistenza di solitoni è la presenza di stati
di vuoto multipli, dove l'energia intrinse-
ca si annulla per diversi valori del campo.
Un solitone si manifesta quando il campo
tende a valori di vuoto diversi al procede-
re all'infinito nelle due direzioni opposte
lungo la linea. Nel piano, l'infinito può
essere raggiunto procedendo radiai mente
in qualsiasi direzione a partire da un'ori-
gine prefissata; il numero stesso delle di-
rezioni che conducono all'infinito è infini-
to. Queste direzioni si possono porre in
corrispondenza biunivoca con i punti di
una circonferenza. La situazione è analo-
ga in tre dimensioni, dove le direzioni
ali 'infinito sì possono porre in corrispon-
denza biunivoca con i punti della superfi-
cie di una sfera. Perché un solitone possa
esistere in uno spazio bi- tridimensio-
nale, il campo deve tendere a valori di
vuoto diversi lungo ciascuna delle dire-
zioni all'infinito.
Le particolarità topologiche che danno
origine ai solitoni non sono possibili con
tutti i campi bi- o tridimensionali, nem-
meno quelli che hanno stati di vuoto mul-
tipli. Un prerequisito È che il campo stes-
so sia definito da più di una quantità in
ciascun punto. I campi discussi in questo
articolo sono descritti da due valori in
ciascun punto nello spazio bidimensiona-
le e da tre valori in quello tridimensiona-
le. Sono chiamati campi vettoriali, perché
le due o tre quantità si possono considera-
re come le componenti di un vettore lun-
go due o tre assi ortogonali. Il campo
vettoriale viene denotato tracciando una
freccia al di sopra del simbolo del campo:
<p . L'energia intrinseca di un campo vet-
toriale a due componenti può essere rap-
presentata come una superficie eretta al
PICCOLA REGIONE
DEL DOMINIO D
DOMINIO D
Il confinamento di un solitone in un campo bidimensionale è dimostra-
to mediante un ragionamento topologico. Lo spazio (un piano) è riem-
pito da un campo vettoriale, un campo definito in ogni punto da
grandezza e direzione. All'esterno dì un certo dominio D si osserva che
il campo irradia da D, con grandezza dovunque uguale a 1 (a). Un
campo con questa grandezza (e soltanto con questa grandezza) possie-
de energia intrìnseca nulla e cosi all'esterno di D il campo è ovunque in
uno slato di vuoto. Ci si chiede se il vuoto può continuare all'interno di
D. Che questo non sia possibile si vede nel modo seguente. Si immagini
di percorrere un circuito attorno a D trasportando una freccia costan-
temente parallela al campo (b). Dopo un giro completo la freccia
ritorna nella direzione originaria, ma ha compiuto una rotazione di
360". Si esamini ora una regione microscopica all'ini ermi di D; se la
regione scelta è sufficientemente piccola il campo deve essere uniforme
IL VETTORE RUOTA
DI GRADI
al suo interno, con tutti i vettori paralleli (e), dato che grandi variazioni
del campo non possono essere compresse entro spazi arbitrariamente
piccoli. Durante un giro attorno a questa regione (d), la freccia non
ruota affatto. Si possono immaginare diversi altri circuiti intermedi tra
questi due; lungo i piò grandi la Treccia ruota sempre di un giru comple-
to, mentre la rotazione totale è zero lungo i circuiti più piccoli. A una
dimensione intermedia, quindi, de\e aiM-nin- una tranci/io ne. per cui
la rotazione det campo vettoriale passa da 360" a 0". Tale transizione è
possibile solo se da qualche parte entro D il campo stesso si annulla, per
cui la direzione della freccia non è definita. La configurazione più
verosimile è una in cui il campo decresce in grandezza all'interno di l>.
annullandosi al centro (e). Un campo di grandezza nulla non è perù
uno stato dì vuoto: ha energia maggiore di zero. L'energia è quella
di un solitone, confinato dalla «torsione» nella struttura del campo.
48
■W
di sopra di un piano. Questo piano non è
quello dello spazio bidimensionale, ma un
piano astratto, su cui sono rappresentati
lutti i valori possìbili de! campo vettoria-
le, ossia tutte le combinazioni possibili di
grandezza e direzione per il vettore <p~.
Una equazione plausibile percalcolare
l'energia intrinseca in funzione del campo
vettoriale potrebbe essere E f — (<p) 2 . La
superficie d'energia intrinseca descritta
da questa equazione è un paraboloide, la
superficie generata da una parabola fatta
ruotare intorno al proprio asse. L'energia
intrinseca ha esattamente un minimo, al-
l'apice del paraboloide, che corrisponde
all'origine del piano dei valori del campo.
Pertanto, l'energia intrinseca è zero sol-
tanto quando il campo è nullo. Poiché il
campo ha un unico stato di vuoto, solitoni
topologici non sono possibili.
Immaginiamo ora che l'energia intrin-
seca sia data da un'equazione alquanto
SISTEMA DI RIFERIMENTO
TRASPORTATO
DAL CAMPO DI GAUGE
diversa: E, = (<p~ 2 - I) 2 . In questo caso
l'energia intrinseca è uguale a (-1 ) 2 o
semplicemente I . Pertanto lo stato con il
campo nullo non è il vuoto. Il vero vuoto
si incontra quando la grandezza di p è
uguale a 1 , poiché allora (ìp 3 - 1 ) 2 è ugua-
le a zero, (ip ' - 1 ) J = è l'equazione di
una circonferenza ; è soddisfatta da tutti t
punti sulla circonferenza di un cerchio
con centro nell'origine e raggio unitario.
Il campo è quindi in uno stalo di vuoto
ogniqualvolta la grandezza del vettore è
uno, indipendentemente dalla sua dire-
zione. La superficie dell'energia intrinse-
ca ha una struttura curiosa. A grandi di-
stanze dall'origine assomiglia a un para-
boloide, benché sia più ripida di questo;
più vicino all'origine raggiunge un mini-
mo in tutti t punti di una circonferenza
dove la grandezza di <p è I e quindi risale
all'interno della circonferenza. La super-
ficie nel suo complesso appare come una
DOMINIO D
ROTAZIONE DEL SISTEMA Dt RIFERIMENTO = 360 GRADI
PICCOLA REGIONE
DEL DOMINIO D
ROTAZIONE DEL SISTEMA DI RIFERIMENTO = GRADI
Campi di gauge alterano la descrizione di un Militane in due o tre dimensioni. Perché un solitone
possa esistere, il campo emanato da un dominio,/), deve essere nel suo stato di vuoto all'esterno di
I). Ponendo la grandezza ilei campo uguale a I, se ne annulla l'energia intrinseca, ma bisogna
tener conto pure di quella potenziale. Poiché un sistema di vettori emananti da un centro fisso
cambia direzione da punto a punto, l'energia potenziale non risulla nulla. La difTicoltà è risolta
con un nuovo campo, il campo di gauge, che porta con sé una prescrizione per il trasporto di un
sistema di riferimento da punto a punto. All'esterno di D il sistema ruota esattamente tanto
quanto è necessario a mantenere la direzione del vettore di campo costante in tutti i punti (quando
la direzione è misurata rispetto al sistema così trasportato). In una piccola regione entro ti non
ruotano né il vettore né il sistema di riferimento. Con il campo di gauge l'energia potenziale del
campo originario è eliminata, ma è mantenuto il confinamento topologico del solitone. La
rotazione netta passa da 360" a fi" non più per il vettore di campo, ma per il campo di gauge.
sorta di paraboloide quartico con una
bozza all'apice (si veda l'illustrazione a
pagina 48).
Quali conseguenze si possono dedurre,
dalla struttura di questa superficie d'ener-
gia, per le configurazioni di un campo
vettoriale bidimensionale? Una conse-
guenza di particolare importanza per
questa analisi e che l'energia intrinseca è
nulla, purché la grandezza del campo vet-
toriale sia dovunque uguale a 1 . indipen-
dentemente dalla direzione del vettore.
Consideriamo quindi un campo la cui
grandezza e direzione siano state misura-
te in tutti i punti al di fuori di un certo
dominio arbitrario D. Si è così detcrmina-
to che la grandezza del vettore è costan-
temente uguale a 1. mentre il vettore stes-
so è orientato ovunque lungo la direzione
radiale emanante dall'origine del piano,
situata questa entro il dominio D. Quindi,
all'esterno di D, il piano è pieno di vettori,
che hanno tutti lunghezza unitaria e sem-
brano irradiare da D. Al di fuori di D il
campo è in uno stato di vuoto, dato che il
vettore di lunghezza unitaria corrisponde
a zero energia intrinseca. A questo punto
ci si può chiedere: è possibile estendere lo
stato di vuoto entro D in modo che il
campo abbia ovunque energia intrinseca
nulla? La risposta è negativa e questo lo si
vede con un ragionamento di natura topo-
logica, che dimostra pure come D debba
contenere una regione, in cui il campo ha
energia finita : un solitone bidimensionale.
Immaginiamo di percorrere un circuito
attorno al dominio D, trasportando una
freccia orientata costantemente in dire-
zione parallela a quella del campo. Ritor-
nati al punto di partenza, la freccia punte-
rà nella stessa direzione in cui puntava
all'inizio del percorso, ma avrà descritto
una rotazione completa, di 360 gradi.
Consideriamo ora una qualsiasi regione
microscopica entro D. Potrebbe apparire
ragionevole che lo schema dei vettori
orientati radialmente sia riprodotto in
scala minore entro questa regione, ma un
semplice ragionamento dimostra come
ciò sia impossibile. Qualora il campo ruo-
tasse di 360 gradi entro una regione mi-
croscopica, il suo rapporto di variazione
spaziale e, quindi. l'energia potenziale
risulterebbero enormi. Al tendere a zero
dell'aerea della regione. l'energia poten-
ziale diverrebbe illimitata. Ne consegue
che, pur di considerare una regione di
area sufficientemente piccola, il campo al
suo interno deve essere uniforme : i vetto-
ri devono avere tutti non solo la stessa
grandezza, ma anche la stessa direzione.
Quindi un campione microscopico della
struttura del campo, preso entro D, rive-
lerebbe un campo in cui tutti i vettori sono
paralleli. Una freccia trasportata lungo il
contorno di questa regione non devìereb-
be mai dall'orientamento originario: non
ruoterebbe affatto.
Il processo di trasporto di una freccia
lungo un circuito chiuso illustra un teo-
rema topologico, secondo cui se un cam-
po non presenta discontinuità e non si
annulla in alcun punto, allora la freccia
deve ruotare un numero intero di volte
lungo il circuito. La freccia può non ruo-
tare affatto, nel qual caso il numero è
zero, o ruotare una volta, due volte, e cosi
via, ma non può percorrere mezzo giro. Il
teorema non verrà qui dimostrato, ma
corrisponde all'intuizione, secondo cui la
freccia deve ritornare alla posizione di
partenza alia fine di un circuito chiuso.
Il teorema è soddisfatto dal circuito al
di fuori di D. dove il vettore ruota di 360
gradi, e dal circuito microscopico al suo
interno, dove la rotazione è zero. Cosa
succede, tuttavia, lungo i circuiti interme-
di? Riducendo l'ampiezza nella regione
esaminala, a un certo punto la rotazione
del vettore deve fare una transizione bru-
sca da 360 a gradi. Il teorema topologi-
co proibisce una rotazione frazionaria.
ma include due possibili soluzioni a! pa-
radosso. Una consiste in una discontinui-
tà nel campo, dove il valore dì <p cambia
bruscamente da un punto all'altro. Que-
sta via d'uscita è esclusa però dalla condi-
zione che I campi fisici esibiscano soltanto
variazioni continue e regolari. L'unica
possibilità che rimane è che da qualche
parte entro D il valore del campo si riduca
a zero. In quel punto la rotazione totale
può essere da 360 gradi a gradi, perché
dove il campo si annulla la direzione del
vettore non è definita.
Questo complesso ragionamento è sta-
to presentato con uno scopo: far veder
che entro D deve esistere un punto dove
la grandezza del campo non è l , bensì
zero. Ne consegue che in questo punto
l'energia intrinseca non è nulla e in effetti,
siccome il campo varia gradualmente, ci
sarà tutta una regione entro D con ener-
gia maggiore di zero. Questo conglomera-
to d'energìa non può diffondersi nel pia-
no: è confinato da quella sorta di torsione
per cui il vettore di campo ruota di 360
gradi all'esterno di D.
Un solitone tridimensionale ha una
struttura simile e il suo confinamento può
venire spiegato con ragionamenti analo-
ghi. I punti di energia intrinseca minimale
formano ora la superficie di una sfera e
l'energia intrinseca aumenta tanto all'in-
terno che all'esterno di questa. Si può di
nuovo postulare una configurazione di
campo in cui l'energia è nulla al di fuori dì
un certo dominio, che racchiude ora un
volume sferico invece che un'area circola-
re. Al di fuori di questo domìnio i vettori
di campo sembrano irradiare da un'origi-
ne comune e di nuovo considerazioni
topologiche dimostrano che lo stato di
vuoto non può essere esteso all'interno
del dominio, per cui deve esserci una re-
gione dove l'energia intrinseca del campo
è maggiore di zero. Questo globo d'ener-
gia è un solitone tridimensionale, molto
simile a una particella elementare nello
spazio ordinario.
In quest'analisi dei solitoni bi- e tridi-
mensionali è stato trascurato un ele-
mento molto importante. La configura-
zione di campo all'esterno del dominio D
è stata definita uno stato di vuoto poiché
l'energia intrinseca è nulla, ma non si è
tenuto conto dell'energia potenziale. Poi-
ché il vettore di campo cambia direzione
in ogni punto, l'energia potenziale non è
SISTEMA
DI RIFERIMENTO
INIZIALE
EQUATORE
Il trasporto di un sistema di riferimento come richiesto da un campo di gauge avviene in maniera
analoga al trasporto sopra la superfìcie della Terra. Se il sistema è trasportato dalla posizione
iniziale sull'equatore direttamente al polo, assume un certo orientamento Tinaie (in nero), ma uno
spostamento effettuato prima lungo l'equatore e successivamente verso il polo produce un
orientamento finale diverso (in calore). Pertanto la rotazione che si verifica in uno spostamento
dipende dal percorso seguilo. La rotazione è una conseguenza della curvatura della Terra, mentre
in uno spazio astratto l'effetto equivalente dovuto alla curvatura è dato da un campo di gauge.
nulla. In effetti, è possìbile dimostrare che
l'energia potenziale è infinita, per cui il
campo non solamente non descrive
un'onda localizzata, ma è totalmente ir-
realizzabile.
C'è una via d'uscita a questa impasse,
ma non è semplice. L'energia potenziale
infinita al di fuori di D può essere ridotta a
zero postulando l'esistenza di un nuovo
tipo di campo, chiamato campo di gauge.
Negli ultimi anni i campi di gauge sono
stati studiati intensamente, non solo dai
fisici, ma anche dai matematici, che li de-
finiscono con un nome diverso: connes-
sioni. Non esaminerò qui in dettaglio la
struttura di un campo di gauge, ma mi
concentrerò sulle proprietà importanti
per la teoria dei solitoni.
Per eliminare l'energia potenziale del
campo senza distruggere allo stesso tem -
pò il solitone, il campo dì direzione del
vettore da punto a punto deve essere sop-
presso, mantenendo tuttavia la rotazione
globale di 360 gradi del campo. Sebbene
questi due fini sembrino inconciliabili,
entrambi sono raggiunti con un campo
di gauge.
Nella descrizione del campo bidimen-
sionale si è postulato implìcitamente che
la direzione del vettore venga misurata in
ciascun punto, prendendo come riferi-
mento una coppia prefissata di assi carte-
siani nel piano, dove vengono rappresen-
■tati tutti i possibili valori di <p. L'orienta-
mento dì questo sistema di riferimento è
arbitrario, ma è lo stesso in tutti i punti
dello spazio: si tratta di un sistema di rife-
rimento globale. L'introduzione di un
campo di gauge permette una rotazione
del sistema di riferimento, allo spostarsi
tra punto e punto dello spazio. L'energia
potenziale è calcolala quindi misurando
la variazione di ìp non rispetto a un si-
stema di riferimento globale, bensì ri-
spetto a sistemi locali che cambiano da
punto a punto.
Si immagini che da qualche parte lungo
il perimetro di D il vettore di campo si
trovi ruotato di 30 gradi rispetto al siste-
ma di riferimento. Se il sistema è globale,
dopo uno spostamento di 90 gradi lungo
una circonferenza il vettore di campo si
troverà ruotato di 1 20 gradi. Un campo di
gauge appropriato, tuttavia, fa sì che il
sistema dì riferimento ruoti insieme al
vettore; quindi, dovunque si misuri y>" .
l'orientamento del vettore rispetto al si-
stema di riferimento locale risulta costan-
te e l'energia potenziale è nulla. D'altra
parte, la nozione di torsione nella confi-
gurazione di campo è mantenuta: è stata
trasferita dal campo óp al campo di gauge.
Ora è il sistema di riferimento locale che
esegue una rotazione completa in un cir-
cuito attorno a D.
È importante sottolineare il fatto che il
campo dì gauge non specìfica l'orienta-
mento di tanti sistemi di riferimento indi-
pendenti, ma determina piuttosto come
questo orientamento cambi in uno spo-
stamento fra punti contigui. Le due no-
zioni sono ben distinte: se fosse necessa-
rio solo misurare i vari orientamenti di un
sistema di riferimento scelto in uno spazio
bidimensionale, basterebbe determinare
un unico numero, un angolo di rotazione,
in ciascun punto dello spazio. Un campo
di gauge, invece, è definito da due numeri
in ciascun punto: uno di questi specifica di
quanto il sistema ruoti in uno spostamen-
50
51
to lungo l'asse .v e l'altro di quanto ruoti in
uno spostamento lungo l'asse y.
Poiché il campo di gauge costituisce
una regola per il trasporto di un sistema
tra punti contigui, piuttosto che la defini-
zione di un sistema in ciascun punto, la
rotazione totale del sistema di riferimento
in uno spostamento fra due punti a di-
stanza finita in generale dipende dal per-
corso. Se il sistema è trasportato da Roma
a Londra passando per Berlino il sistema
stesso ruoterà in un ceno modo; se si
passa invece per Parigi, l'angolo di rota-
zione sarà in generale diverso. Inoltre,
alla fine di un circuito chiuso, per esempio
da Roma a Berlino, Londra, Parigi e di
ritorno a Roma, il sistema di solito non
ritorna al suo orientamento iniziale.
L'idea del trasporto di un sistema sulla
superficie della Terra non è solo metafo-
rica. Si immagini di stabilire un sistema di
riferimento, consistente in due assi orto-
gonali, da qualche parte lungo l'equatore.
Si trasporti quindi il sistema al polo nord,
facendolo scorrere parallelo a se stesso,
prima direttamente lungo un meridiano,
poi seguendo per un tratto l'equatore
prima di dirigersi a nord, lungo un meri-
diano diverso. Quando i due sistemi si
incontrano al polo, il loro orientamento
sarà diverso. La discrepanza deriva dalla
curvatura della Terra.
Ci sono configurazioni particolari di un
campo di gauge, in cui un sistema di rife-
rimento trasportato lungo un circuito
chiuso ritorna al suo orientamento inizia-
le alla fine del percorso. In queste confi-
gurazioni la rotazione del sistema in uno
spostamento finito non dipende dal cam-
mino seguito. Si dice allora che il campo
di gauge è una pura forma di gauge: il
campo non porta energia ed è nel suo
stato di vuoto. Quando l'orientamento
finale del sistema dipende dal percorso,
invece, il campo di gauge ha un contenuto
d'energia, tanto maggiore quanto più
pronunciata è la dipendenza dal percorso.
È possibile ora riconsiderare l'energia
di un campo bidimensionale, compren-
dente un solitone. L'introduzione di un
campo di gauge elimina l'energìa poten-
ziale del campo <p all'esterno del dominio
D. Inoltre il campo di gauge stesso è una
pura forma di gauge e non porta energia,
poiché il sistema di riferimento ritorna
nella posizione iniziale alla fine di un
qualsiasi circuito chiuso. Il campo di gau-
ge non può continuare a essere una forma
pura, tuttavia, anche all'interno di D. Il
sistema ruota di 360 gradi in un circuito
all'esterno di D, ma se viene trasportato
lungo un circuito microscopico all'interno
di D la rotazione deve essere nulla (altri-
menti l'energia del campo di gauge in quel
dominio risulterebbe infinita). Per conti-
nuità, devono esserci circuiti intermedi
lungo cui il sistema ruota di un angolo
compreso fra 360 e gradi. In questo caso
il sistema non ritoma al suo orientamento
iniziale alla fine del percorso, e così il
campo deve avere un contenuto di ener-
gia non nullo.
La torsione nella configurazione del
campo al di fuori di D è ora una pro-
prietà del campo di gauge. Entrambi i
campi, il campo ìp e il campo di gauge,
sono nel loro stato di vuoto all'esterno di
D ; ma la continuità dei campi implica che
Un tubo di flusso magnetico in un superconduttore è confinato entra una piccola sezione circolare
da un campo che incorpora molti solitemi bidimensionali disposti in fila, con simmetrìa cilindrica.
Le coppie di elettroni superconduttori sono descrìtte da un campo vettoriale, con stati di vuoto
multipli e un'energìa intrinseca che è minima quando la grandezza del campo è maggiore di zero. Il
campo magnetico è descrìtto da un campo di gauge. La torsione presente nella configurazione
topologica dei due campì confina il flusso magnetico e gli impedisce di disperdersi nello spazio.
entrambi siano portatori di energia all'in-
terno di D. Il solitone che ne risulta e
nuovamente reso stabile, rispetto alla
dispersione, dalla topologia della confi-
gurazione del campo.
Il prototipo di tutti i campi di gauge è il
campo che appare nella teoria elettroma-
gnetica di Maxwell, e descrive l'orienta-
mento relativo dei sistemi di riferimento
in uno spazio astratto bidimensionale. Le
componenti del vettore di campo ìp ap-
partengono a questo spazio. Il campo ìp
non è il campo elettromagnetico stesso,
ma descrive la materia carica, cui il campo
elettromagnetico è accoppiato. In situa-
zioni realistiche, tanto ìp che il campo di
gauge sono definiti in tutti i punti dello
spazio tridimensionale, anche se lo spazio
astratto cui appartiene tp" è in ogni caso
bidimensionale, corrispondendo le due
dimensioni ai due segni possibili della ca-
rica elettrica.
Normalmente non sono possibili solito-
ni in questo sistema, poiché il valore mi-
nimo dell'energia intrinseca è ottenuto
quando il campo ìp si annulla. Nei super-
conduttori, tuttavia, il minimo si trova
in corrispondenza di un valore non nul-
lo della grandezza di ìp . La configurazio-
ne di campo ammette allora l'esistenza di
solitoni bidimensionali, che infatti si ri-
scontrano sperimentalmente nei mate-
riali superconduttori. I solitoni si ma-
nifestano come tubi di flusso magnetico,
in cui i campi sono disposti a vortice: l'e-
nergia è confinata entro un tubo sottile al
centro del vortice. Quando i vortici sono
esaminati in sezione, rivelano la struttura
del solitone bidimensionale descritto in
precedenza.
Un campo di gauge definito in uno spa-
zio astratto con più di due dimen-
sioni è sostanzialmente più comples-
so del campo elettromagnetico. Questa
complessità ulteriore nasce dal fatto che
ci sono allora più assi attorno a cui il si-
stema di riferimento può ruotare e in ge-
nerale il risultato di rotazioni eseguite
attorno ad assi diversi dipende dall'ordine
in cui sono effettuate. Campi di gauge di
questo tipo sono chiamati campi di Yang
e Mills, da C.N. Yang della State Univer-
sity dì New York a Stony Brook e da
Robert L. Mills della Ohio State Univer-
sity, che ti discussero per primi nel 1954.
Occorse tempo perché le tecniche mate-
matiche necessarie alla trattazione di
questi campi venissero perfezionate, ma
oggi i campi di Yang e Mills svolgono un
ruolo fondamentale nella descrizione che
i fisici danno della natura. Un campo di
Yang e Mills è l'elemento essenziale in
una teoria che unifica due delle quattro
forze fondamentali della natura, la forza
elettromagnetica e quella debole. Un'al-
tra teoria di Yang e Mills, anche se per ora
non altrettanto ben sviluppata, può po-
tenzialmente spiegare un'altra forza fon-
damentale, quella forte o nucleare.
La scoperta che solitoni possono venir
generati in una teoria che descrive un
campo materiale accoppiato a un campo
di Yang e Mills è stata fatta indipenden-
temente da Gerhard'! Hooft dell'Univer-
sità di Utrecht e da Alexander M. Polya-
kov dell'Istituto Landau di fisica teorica a
Mosca. Rendendosi conto che la teoria
può avere stati di vuoto multipli con topo-
logia non banale, questi due fisici hanno
scoperto il solitone tridimensionale. Sono
solitoni di questo tipo quelli che potreb-
bero esistere come particelle elementari.
Avrebbero una massa molto elevata e
sarebbero monopoli magnetici, portatori,
cioè, di un polo magnetico isolato. Questa
proprietà, non condivisa da alcuna delle
particelle conosciute, consegue anch'essa
dalla topologia del campo: nello stesso
modo in cui la torsione nella disposizione
dei vuoti confina energia, cosi racchiude
un'unità di carica magnetica.
La ricerca teorica sulle proprietà di
queste particelle è appena iniziata, ma
alcune proprietà interessanti sono già
venute alla luce. Uno dei risultati riguar-
da la relazione tra le due categorie fon-
damentali di particelle, i fermioni e i bo-
soni. Queste categorie sono distinte dal
momento angolare intrinseco, o spi n, del-
le particelle e dalla loro statistica, o com-
portamento in gruppi. Lo spin di un fer-
mione è semi-intero, quello dì un bosone
è intero. La statistica quantistica delle
particelle specifica che due fermioni non
possono occupare lo stesso stato, mentre i
bosoni possono essere raggruppati nello
stesso stato in numero infinito. Due fer-
mioni possono combinarsi formando una
particella con le proprietà di un bosone,
come due numeri semi -interi sommati
producono un numero intero. Però, se-
condo i risultati più tradizionali della fisi-
ca dei campi, non c'è modo in cui due
bosoni possano combinarsi dando origine
a un fermione.
Quando il campo ha solamente un uni-
co vuoto globale, è in effetti impossibile
produrre fermioni da bosoni; ma la situa-
zione cambia in presenza di un solitone.
Un meccanismo per la conversione è stato
scoperto recentemente da 't Hooft e Peter
Hasenfratz, che ora è all'Università di
Budapest, e indipendentemente da Ro-
man W. Jackiw del Massachusetts Institu-
te of Technology e da me. In presenza di
un solitone un sistema con spin semi-inte-
ro può emergere da un campo le cui sole
componenti sono bosoni. Alfred S. Gold-
haber di Stony Brook ha inoltre dimostra-
to che il sistema avrebbe non solo lo spin
caratteristico di un fermione, ma pure la
statistica.
Un altro risultato inaspettato, cui sia-
mo giunti Roman Jackiw e io, dimostra
che un fermione può dividersi in due sotto
l'influenza dì un solitone. Abbiamo sco-
perto un modo di interazione fra solitoni e
fermioni. per cui la struttura del solitone è
alterata dal campo del fermione. Il solito-
ne esiste in due stati aventi la stessa ener-
gia, uno con le caratteristiche dì mezzo
fermione, l'altro con quelle di mezzo anti-
fermtone.
Le prospettive per la produzione e la
rivelazione dì solitoni in laboratorio sono
tuttora incerte. Dipendono in larga misu-
ra da quale teoria risulterà alla fine essere
quella che descrive correttamente le pro-
prietà delle particelle elementari. Se que-
1 ii funzione di due tubi di flusso in un superconduttore illustra l'unione di due solhoni. Il campii
materiale, la cui grandezza è correlata alla densità di coppie elettroniche superconduttrici. è
visualizzato nella figura al centri): è questo il campo dove si manifestano i solitoni. Il campi)
materiale ha due depressioni, dove la densità di coppie elettroniche scende a zero; da tutte le altre
parti tende verso un valore uniforme unitario. L'energia del campo (grafico in allo) è zero alla
periferia e sale a un massimo dove la densità delle coppie elettroniche si annulla. Così le due
regioni dove il campo materiale scende a zero rappresentano due quantità di energia confinate. Il
campo magnetico passante attraverso i solitoni è illustrato nel grafico in basso: anch'esso è
confinato entro le regioni con densità ridotta di coppie. I grafici sono stati costrutti mediante
un calcolatore dall'autore e da Laurcnce Jacobs entrambi al Brookhaven National Laboratori,
52
53
sta teoria apparterrà alla classe di teorie
che ammettono soluzioni di tipo solitone,
allora è generalmente accettato che in
natura debbono esistere solitoni. Al
momento attuale molle teorie sono state
proposte: alcune incorporano equazioni
di campo con proprietà topologiche atte a
produrre solitoni, altre no. Non deve sor-
prendere che particelle solitone non siano
state ancora osservate in esperimenti ese-
guiti tramite acceleratori. La massa di tali
particelle, misurata in unità di energia, si
stima sia dell'ordine del bilione di elet-
tronvolt. Un bilione di elettronvolt è circa
1000 volte la massa di un protone e più di
quattro volte quella di un atomo di ura-
nio. Ci vorranno certamente molti anni
perché gli acceleratori possano creare
particelle così pesanti.
Tutti ì solitoni descritti prima sono
strutture localizzate nello spazio (a
una, due o ire dimensioni ),Sono strutture
interessanti, perché confinale in perma-
nenza entro una regione di spazio ben
definita. Nel corso degli ultimi anni si è
scoperto un altro tipo dì solitone, confina-
to entro una regione limitata tanto nello
spazio che nel tempo. È un fenomeno che
esiste solo in un certo luogo e a un certo
istante. Questo nuovo tipo di solitone, cui
è stato dato il nome di istantone, è inter-
pretato non come un oggetto, ma come un
evento, non come una particella, bensì
come una transizione quantistica tra stati
diversi di altre particelle.
La natura di un istantone è chiarita
esaminando il moto di una particella sot-
to l'influenza di un potenziale, che de-
termina la forza cui è sottoposta. Per
semplicità, il potenziale si suppone sta
unidimensionale e, perché ci siano isian-
toni, deve essere periodico, ossia devono
esistere più punti dì energia minima,
equivalenti, ma distinti. Ci sono molti
altri esempi in natura di potenziali di
questo genere: uno ben familiare è costi-
tuito dall'otto volante, dove il potenziale
è quello gravitazionale e si incontra in un
punto di minima energia alla fine di ogni
discesa. Va notato che l'energia poten-
ziate di questo sistema non è quella di
un campo, bensì quella di una particel-
la in un campo di forze. Nell'esempio
dell'otto volante l'energia potenziale è
proporzionale alla quota che si trova
sopra il punto più basso del percorso.
Un grafico di un semplice potenziale
periodico mostra una linea retta, che rap-
presenta lo spazio dove la particella si
muove, e una linea ondulata {una sinu-
soide, per esempio), che dà il valore del
potenziale in ogni punto dello spazio uni-
dimensionale. Per seguire l'evoluzione
del sistema, un altro asse, rappresentante
il tempo, è aggiunto al grafico. La linea
ondulata è convertita quindi in una super-
ficie ondulata. Un movimento attraverso
le ondulazioni è equivalente a un cambio
di posizione: uno spostamento parallelo
alle ondulazioni non costituisce un moto
nello spazio, ma denota invece uno stato
stazionario del sistema nei successivi
istanti di tempo.
Una particella in uno stato di minima
energia giace sul fondo di una valle, nella
curva dell'energia potenziale, e ci si
aspetta che vi rimanga per sempre. La
traiettoria della particella nel tempo è
quindi una linea retta che segue il fondo
della valle. Una particella può pure oscil-
lare attorno al punto di equilibrio, un
moto che è rappresentato lungo l'asse
temporale da una linea sinuosa che mi-
PARTfCELLA
OSCILLANTE
PARTICELLA
STAZIONARIA
PARTICELLA IN UNA
TRANSIZIONE A ISTANTONE
TEMPO
POSIZIONE
DELLA PARTICELLA, *
I 'ìm iuriime è un solitone confinato, non solo entro una regione spazia-
le, ma anche in un intornili» dì tempo. È Interpretato come una transi-
zione quantistica tra due stati di moto di una particella. La particella si
muove in un potenziale unidimensionale, o campo di forza, e l'evolu-
zione del suo molo è raffigurala su una superficie di energia potenziale,
che si estende lungo l'asse tempo. La storia di una particella che rimane
stazionaria in uno dei punti di energia potenziale minima è rappresenta-
ta da una linea retta tracciata lungo il fondo di una valle. Una particella
oscillante attorno a un punto di equilibrio descrive una curva ondeg-
giante entro una delle valli. La traiettoria di un istantone sale dal fondo di
una delle valli, al traversa il crinale e ritorna in una posizione di equilibrio
stabile in una valle adiacente. Il tracciata descrive il molo di una
particella, che scompare da un punto di equilibrio e riappare in un altro.
La transizione equivale al fenomeno quantistico dell'effetto tunnell.
54
o
0.
5
u
ROTAZIONE = 360 GRAOI
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1
n n h u i i
ROTAZIONE = GRADI
POSIZIONE, X >
L'evoluzione di un campo durante una transizione a istantone esibisce una torsione topologica
molto simile a quella di un solitone spaziale. All'inizio 1/ = 0) il campo è uniforme e consiste di
vettori tutti paralleli e di grandezza unitaria. Questa configurazione descrìve uno stato di vuoto.
Successivamente (f = 1 ) i vettori hanno di nuovo grandezza unitaria, ma compiono una rotazione
completa. Se il sistema di riferimento è definito tramite un campo di gauge appropriato, anche
questa configurazione rappresenta uno stato di ruolo. Perché il campo possa evolvere dal primo
stato al secondo, tuttavia, la rotazione totale deve passare da 0" a 360". una transizione possìbile
solo se il campo da qualche parte si annulla. L'energia intrinseca è lì maggiore di /ero e quindi
l'istantone descrive una evoluzione da uno stato di vuoto a un altro attraverso stati di energia finita.
gra da una parete della valle all'altra.
L'evento di maggior interesse è il mo-
vimento di una particella da una posizio-
ne stabile sul fondo di una valle, oltre alla
barriera di potenziale, fino al fondo di una
valle adiacente. Lungo l'asse temporale
questa evoluzione corrisponde a una linea
che inizia in una valle della superficie po-
tenziale, sale oltre il crinale e scende nella
valle contigua. In un certo istante la parti-
cella è stazionaria in un punto di minima
energia; un po' più tardi è di nuovo in
quiete, ma in un'altra posizione dì energia
minima. La transizione tra questi due stati
è un istantone.
Nella fisica classica tale transizione era
impossibile. Se un treno di vagoncini nel-
l'otto volante è in quiete ai piedi di una
salita, si può prevedere con certezza che
non si arrampicherà spontaneamente
lungo la salita, per ritornare in quiete in
un avvallamento contiguo. L'energia sa-
rebbe conservata in questo processo
immaginario - almeno in un sistema idea-
le senza attrito - perché tutta l'energia,
che si dovrebbe spendere per portare il
treno alla sommità della salita, verrebbe
recuperata nella discesa seguente. La
transizione è impossibile allo stesso
modo, perché nella fisica classica l'ener-
gia deve essere conservata in ogni istante
e non solamente in un bilancio finale.
La meccanica quantistica provvede una
sorta di lìnea di credito, che rende la tran-
sizione possibile. Un'apparente violazio-
ne della legge di conservazione è permes-
sa purché l.i violazione non duri troppo e i
libri contabili siano in pareggio alla fine.
Mediante questo meccanismo, che è
chiamato effetto tunnel, una particella
può passare attraverso una barriera di
potenziale anche se ha un'energia insuffi-
ciente a sormontarla. L'istantone è una
struttura, nella teoria dei campi classica,
che descrive questo processo fondamen-
talmente quantistico.
Il grafico di un istantone è identico,
geometricamente, a quello di un solitone :
solo la nomenclatura degli assi è cambia-
ta. Invero gli istantoni sono stati scoperti
proprio come soli toni in una teoria di
campo con quattro dimensioni spaziali.
La scoperta è stata fatta da A. A. Belavi n,
Polyakov, A. S. Schwartz e Y. S. Tyupkin
dell'Istituto Landau, i quali hanno inter-
pretato correttamente il solitone non
come oggetto quadridimensionale, ma
come evoluzione di un campo in tre di-
mensioni spaziali e una temporale. Questi
fisici hanno pure dimostrato come istan-
toni debbano apparire in una vasta classe
di teorie dì campo, incluse quelle applica-
te più comunemente alle interazioni delle
particelle elementari.
Subito dopo questa scoperta, un 'analisi
delle conseguenze che gli istantoni hanno
per la struttura del vuoto quantistico è
stata presentata da 't Hooft, da Curtis G.
Callan, Jr., David J. Gross della Princeton
University e Roger F. Dashen dell'Istitu-
te for Advanced Study e da Jackiw e me.
(Per inciso, è stato 't Hooft a coniare il
nome istantone.) L'esistenza degli istan-
toni implica che lo stato di vuoto nella
meccanica quantistica non sia unico, ma
abbia una struttura periodica, simile alle
valli d'energia potenziale del campo elet-
tromagnetico entro un reticolo atomico
cristallino. Naturalmente, il campo pe-
riodico del cristallo deriva da una disposi-
zione ordinata di nuclei atomici, mentre
la struttura generata dalle soluzioni a
istantone è intrinseca allo spazio-tempo.
La scoperta di tale struttura ha costituito
un risultato alquanto inaspettato. Sebbe-
ne gli istantoni siano un'invenzione re-
cente nella teoria dei campi, hanno già
portato alla soluzione di un enigma note-
vole nella fisica delle particelle subnu-
cleari. I] problema riguarda le masse di
particelle dette mesoni, che si ritengono
oggetti composti da entità più fondamen-
tali chiamate quark. Ogni mesone consi-
ste di un quark e di un antiquark trattenu-
ti insieme da un campo di gauge. Di questi
quark si ritiene che due (denotati con i
simboli ned), insieme agli antiquark cor-
rispondenti (j7 e d) siano relativamente
leggeri. Poiché vi sono quattro maniere
diverse di associarli in una coppia quark -
-antiquark (ufi, dà, ttd~ e da ), sembrereb-
be che debbano esistere quattro mesoni di
massa relativamente bassa. Tre di questi
sono noti da molti anni : sono i mesoni ir, o
pioni, positivo, neutro e negativo, che
hanno masse equivalenti a un'energia di
circa 140 milioni di elettronvolt. Il quarto
mesone leggero, che sembrerebbe costi-
tuire una previsione ineluttabile della
teoria, non è stato mai trovato.
Esiste un'altra particella, tuttavia, che
potrebbe ricoprire questo ruolo: è il me-
sone età, che ha tutte le caratteristiche
richieste meno una, poiché la sua massa è
di circa 550 milioni di elettronvolt. Me-
diante l'introduzione degli istantoni si è
potuta spiegare, ora, l'anomalia nella
massa del mesone età. Gli istantoni si
manifestano come eccitazioni, localizzate
nello spazio-tempo, del campo di gauge
che lega i quark. Alterano la distribuzione
di massa tra i vari mesoni, poiché hanno
effetti diversi sulle varie combinazioni di
quark. Generalmente parlando, l'istan-
tone risulla trasparente per il pione, ma
agisce da ostacolo alla propagazione del
mesone età e così ne aumenta la massa
inerziale effettiva.
Solitoni e istantoni sono il frutto di teo-
rie di campo che possono presentare
complessità proibitive, ma hanno una
struttura matematica estremamente ricca
ed elegante. Invero i fisici, indagando i
solitoni, hanno scoperto che ì matematici
studiavano da molti anni oggetti equiva-
lenti, esclusivamente per il loro interesse
geometrico. L'analisi matematica e l'in-
tuizione fisica hanno forgiato efficaci
strumenti per rivelare natura e proprietà
dei solitoni.
56
La sorgente
del campo magnetico terrestre
Si pensa che sia una dinamo, azionata dall'intenso flusso di materia
nel nucleo terrestre: tale flusso potrebbe essere messo in moto dalla
energia gravitazionale liberata dall'affondamento di materiali pesanti
di Charles R, Carrigan e David Gubbìns
Dal diciassettesimo secolo è risapu-
to che la Terra nel suo comples-
so è un magnete, ma la sorgente
del campo magnetico terrestre non è stata
ancora identificata perfettamente. Non
può risiedere nei minerali permanente-
mente magnetizzati della Terra: la mag-
gior parte del pianeta è troppo calda per-
ché un materiale magnetico qualsiasi pos-
sa mantenere il suo magnetismo. Inoltre i
minerali magnetizzati permanentemente
non possono spostarsi abbastanza rapi-
damente da render conto delle note va-
riazioni a lungo termine dell'intensità,
della direzione e della configurazione del
campo magnetico terrestre. L'analisi del-
le onde sismiche indica che almeno una
parte del nucleo terrestre è fluida ed è
quasi universalmente accettato che l'in-
tenso flusso di materia nel nucleo genera
correnti elettriche, che inducono a loro
volta il campo magnetico.
Non c'è molto accordo invece sul mec-
canismo di scorrimento del fluido metalli-
co nel nucleo, su quale sia la fonte di
energia che sospinge il fluido e su come
tate moto origini il campo magnetico.
Dato che il nucleo non può essere esami-
nato direttamente e dal momento che le
alte temperature e le alte pressioni che lo
caratterizzano non possono essere facil-
mente riprodotte in laboratorio, èdifficile
rispondere a tati domande. Cionondime-
no, cominciano a emergere alcune rispo-
ste da una combinazione di nuovi metodi
teorici e di laboratorio. Tali risposte sug-
geriscono che i moti del nucleo fluido po-
trebbero essere cau sa ti d a U'e n e rgi a g ra v i -
tazionale liberata nella migrazione di
materiali pesanti versò il centro del nu-
cleo e di materiali leggeri verso la parte
esterna di esso.
Si sanno con certezza solo poche cose
sul nucleo terrestre e sul suo campo ma-
gnetico, I dati sismologici indicano che il
nucleo è costituito da una sfera metallica
gigantesca di dimensioni circa uguali a
quelle del pianeta Marte. In condizioni
normali il nucleo fluido conduce calore ed
elettricità molto meglio del rame e ha
probabilmente la stessa viscosità dell'ac-
qua. Con un raggio medio di 3485 chilo-
metri, il nucleo costituisce circa un sesto
del volume terrestre e circa un terzo della
sua massa. La sua densità varia da un
minimo, sulla superficie, pari a nove volte
la densità dell'acqua a un massimo, nel
centro, pari a 12 volte la densità dell'ac-
qua. Tale stima della densità, unita ad
alcune ipotesi sull'origine del sistema so-
lare, suggerisce che il nucleo sia formato
principalmente da ferro e nichel con trac-
ce di elementi più leggeri quali rame, zol-
fo e ossigeno.
Al centro del nucleo si trova un nucleo
interno le cui proprietà sismiche sono
alquanto differenti da quelle della regio-
ne circostante. Con un raggio di 1200 chi-
lometri il nucleo interno ha dimensioni
pari a circa i due terzi di quelle della Luna
e, diversamente dal nucleo esterno, è
probabilmente solido. Le pressioni al cen-
tro misurano milioni di atmosfere e a tali
pressioni il punto di fusione del ferro è
compreso tra 3000 e 5000 kelvin.
Il modo più facile per avere un'idea del-
l'intensità e delta direzione del campo
magnetico terrestre è dì studiare il com-
portamento dì un ago da bussola. L'inten-
sità del campo, misurata dalla forza ne-
cessaria per deviare un ago dalla sua dire-
zione preferita, è estremamente piccola.
Il campo massimo di 0,3 gauss, nei pressi
sia del polo nord che del polo sud. è molte
centinaia di volte più debole del campo
esistente tra le estremità di un magnete
giocattolo a ferro di cavallo. L'ago tende a
orientarsi lungo archi di meridiano attor-
no alla Terra, ma in certi luoghi indica
esattamente il nord geografico, che coin-
cide con un'estremità dell'asse di rotazio-
ne terrestre. La sua direzione varia invece
sporadicamente da una regione all'altra e
quindi il campo appare presentare vortici
irregolari.
La tendenza generale all'allineamento
nord-sud delle linee di forza magnetiche
con l'asse dì rotazione terrestre fa pensare
che il campo sia principalmente un dipolo
(il campo che verrebbe creato da una spi-
ra percorsa da corrente elettrica giacente
nel piano equatoriale). Il campo, che ri-
sulta inclinato di un angolo di 11 gradi
rispetto all'asse di rotazione, non è un
dipolo perfetto. Esso non può derivare da
un campo magnetico dei primordi della
Terra, perché la conduttività elettrica del
materiale del nucleo è troppo bassa. Sen-
za un costante rifornimento di energia le
correnti elettriche che generano il campo
si sarebbero esaurite in meno di 10 000
anni, mentre il campii ha vissuto certo per
un periodo di tempo molto più lungo.
Fin dal secolo XVII sono state disegna-
te elaborate mappe dell'intensità e della
direzione del campo magnetico in punti di
tutta la superficie terrestre a scopo di na-
vigazione marittima. Tali mappe ci forni-
scono una dettagliata registrazione delle
variazioni secolari (a lungo termine) del
campo negli ultimi quattro secoli. Le
mappe mettono in evidenza i due maggio-
ri aspetti delle variazioni secolari: il primo
è una lenta ma costante diminuzione di
intensità del campo di dipolo principale
con una rapidità tale che, se dovesse con-
tinuare con lo stesso ritmo, il campo si
annullerebbe in 3000 anni; il secondo è
una lenta migrazione verso ovest nei vor-
tici irregolari del campo di circa un grado
di longitudine ogni cinque anni. Tale mi-
grazione fa pensare che il fluido nel nu-
cleo si stia muovendo a una velocità di
circa un millimetro al secondo, pari a circa
90 metri al giorno.
Anche le rocce della crosta terrestre
forniscono informazioni sut campo ma-
gnetico. Esse permettono di registrare
l'evoluzione dell'intensità e della direzio-
ne del campo nelle ere geologiche. In
esperimenti di paleomagnetismo si misu-
rano l'età delle rocce e la magnetizzazio-
ne permanente. Da tali misure si può de-
terminare l'età delle caratteristiche del
campo, dato che il campo ha presumibil-
mente causato l'allineamento dei domini
magnetici all'interno delle rocce al tempo
della loro formazione. Tali esperimenti
indicano che la Terra ha avuto un campo
piuttosto intenso per almeno 2.7 miliardi
di anni, un periodo che copre una sostan-
ziale frazione dell'esistenza della Terra,
stimala in 4,6 miliardi di anni. In lutto
questo tempo il campo ha subito fluttua-
zioni di intensità e all'inarca ogni milione
di anni ha Invertito la propria direzione.
Qualsiasi ipotesi sulla sorgente del
campo deve tener conto della sua forma
essenzialmente dipolare, della sua lenta
diminuzione di intensità, della sua migra-
zione verso ovest e della sua inversione
dei poli. È difficile avanzare un'ipotesi
ragionevole, perché i 3000 chilometri di
materia che si trovano tra la superficie
terrestre e la parte superiore del nucleo
terrestre nascondono la vera natura del
campo nel luogo di origine all'interno del-
la Terra. Nei pressi del nucleo il campo è
probabilmente circa 10 volte più intenso
che sulta superficie, probabilmente è mol-
to più complesso del dipolo in superficie e
probabilmente varia con rapidità molto
maggiore.
Tali rapide variazioni non si possono
rivelare sulla superficie terrestre, perché
vengono schermate dalla conduzione
elettrica nel mantello intermedio. Non si
sa nulla sull'intensità del campo all'inter-
no del nucleo; in particolare è impossibile
rivelare campi toroidali, campi cioè le cui
linee di forza sono parallele a superfici
sferiche. Alcune considerazioni teoriche
indicano che molto probabilmente sono
presenti campi toroidali, dei quali il tipo
più semplice ha la forma di un anello, e
che è probabile siano molto più intensi del
campo di dipolo superficiale. L'impossibi-
lità di rivelare direttamente campi toroi-
dali è il più grosso ostacolo alta costruzio-
ne di modelli dei campi nel nucleo.
~C ino a oggi è sopravvissuto soltanto un
■*• modello del nucleo: il modello «a
dinamo autoalimentata», sviluppato negli
anni cinquanta da Walter M. Elsasser dei-
La sfera plastica rotante Tonnata da una sfera
solida più piccola (rosa) circondala da acqua è
un modello dei moli fluidi possibili nel nucleo
lerrestre che spiegherebbero il campo magne-
tico terrestre. Per generare le latte di spinta tra
la sfera interna e quella esterna è stato applica-
lo un gradiente di temperatura di un kelvin.
Quando le forze di spinla sono sufficientemen-
te intense da far avanzare il fluido conlro gli
elfclli ritardanti delle forze dovute alla viscosi-
tà, i muti fluidi sono circolazioni su piccola
scala esl Ternamente ordinale che assumono la
forma di lunghi rulli io lenta rotazione allineati
parallelamente all'asse di rotazione della sfera
i in alto). Quando si Ta aumentare il gradiente
di temperatura, le forze di spinla sono suflì-
cientemenle intense da metlcre in molo le cir-
colazioni nell'intera massa fluida Un basso)
anziché soltanto in un solfile spessore adia-
cenle alla sfera interna fin alto), in queste
1 H rafie sono stale aggiunte microscopiche
placchelfe per poler vedere le circolazioni. Il
modello originale é stalo costruito da Frie-
drich H. Busse e da uno degli autori (Carrigan)
all'Università della CalifonU a Los Angeles.
58
59
l'Università della California a San Diego
ed E. C. Bullard dell'Università di Cam-
bridge. Una dinamo è una macchina che
trasforma energia meccanica in energìa
elettrica. Un semplice esempio di tale
macchina è la dinamo a disco inventata da
Michael Faraday. Egli dispose una sbarra
magnetica sotto il bordo di un disco di
rame montato su un perno: quando il di-
sco veniva posto in rotazione sul perno, in
esso si produceva una debole corrente per
effetto del suo moto nel campo magneti-
co. Dato che la corrente esercita una forza
che ostacola il moto del disco, il disco
rallenta: l'energia meccanica rotazionale
viene trasformata in energia elettrica.
In una dinamo autolimentata come il
nucleo terrestre le correnti elettriche
prodotte servono a rinforzare il campo
magnetico in modo che non è necessaria
alcuna sorgente di campo magnetico
esterno oltre a quella che ha messo in
moto originariamente la dinamo. Un
semplice esempio di dinamo autoalimen-
tata è la dinamo a disco di Faraday, nella
quale la sbarra magnetica viene sostituita
da una bobina di filo. Quando nella bobi-
na viene inviata una corrente elettrica, si
crea un campo magnetico identico a quel-
lo di una sbarra magnetica. Quindi la bo-
bina induce nel disco una corrente identi-
ca a quella indotta da una sbarra magneti-
ca. Se la corrente indotta nel disco viene
rimandata nella bobina, il campo magne-
tico persiste, purché il disco sia mantenu-
to in rotazione.
La dinamo della Terra è autoalimenta-
ta: dopo essere stata avviata con un cam-
po magnetico che potrebbe essere stato
molto piccolo, ia dinamo genera il proprio
campo magnetico senza alcun riforni me n-
to esterno di magnetismo. La dinamo del-
la Terra potrebbe essere stata avviata dal
piccolo campo magnetico in cui è immer-
sa l'intera Galassia. Potrebbe essere scat-
tato poi il meccanismo della dinamo, ge-
nerando un campo magnetico proprio
molto più intenso. Anche se il liquido
metallico del nucleo terrestre non asso-
miglia ovviamente a un disco solido, in
linea di principio potrebbe darsi che esso
fluisca in modo tale da comportarsi tome
una dinamo meccanica.
Il problema decisivo è come possa scor-
rere il nucleo liquido per comportarsi
come una dinamo. Anche se una dinamo
autoalimentata non richiede un riforni-
mento costante di un campo magnetico,
essa richiede però un rifornimento co-
stante di energia meccanica per mantene-
re in moto il materiale conduttore. Nel
caso del nucleo terrestre ciò significa non
solo che il fluido metallico deve scorrere
nel modo giusto, ma anche che il suo flus-
so deve essere alimentato da qualche fon-
te di energia.
Il nuckn terrestre, il cui raggi» e dì circa 34BS chilometri, costituisce circa un sesto del volume
della Terni e circa un temi della sua massa. Al centro del nucleo si trova un nucleo solido interno il
cut raggio e di 1220 chilometri 11 flusso di materia net nucleo esterno liquido potrebbe generare
correnti delinchi', che spiegherebbero il campo terrestre. Le lìnee in colore sono le linee di forza.
È giunto il momento di esaminare in
dettaglio un possibile meccanismo di
produzione del campo magnetico. Ini-
zialmente il nucleo fluido viene messo in
agitazione da qualche forma di convezio-
ne, e si muove poi come una dinamo a
causa delle forze di gravità, delle forze
magnetiche e delle forze dovute alla rota-
zione. Chiaramente la rotazione deve
avere un ruolo fondamentale nell'origine
di campi magnetici, dato che non solo la
Terra, ma anche altri pianeti, il Sole e
altre stelle rotanti hanno campi magnetici
allineati o correlati al loro asse di rotazio-
ne. La connessione tra magnetismo e ro-
tazione è talmente evidente che all'inizio
del secolo molti fisici, tra i quali Albert
Einstein, enunciarono una nuova legge
della fisica in virtù della quale qualsiasi
massa in rotazione dà origine a un campo
magnetico. Alla fine tale legge venne
abbandonata negli anni cinquanta in se-
guito a due esperimenti fondamentali. P.
M. S. Blackett dell'Imperiai College of
Science and Technology non riuscì a tro-
vare un campo magnetico attorno a un
cilindro d'oro posto in rotazione, mentre
S. K. Runcorn dell'Università di Cam-
bridge misurò l'intensità del campo ma-
gnetico terrestre a diverse profondità in
una miniera e non riuscì a rivelare i valori
caratteristici previsti da tale legge.
Oggi è quasi certo che la rotazione è
correlata all'origine del campo terrestre
attraverso la forza di Coriolis che la rota-
zione esercita sul nucleo fluido. La forza
di Coriolis agisce su qualsiasi massa in
moto rispetto a un sistema di riferimento
rotante. La massa è accelerala in direzio-
ne perpendicolare al suo moto. Nell'at-
mosfera e negli oceani la forza di Coriolis
è responsabile dei moti ciclonici su vasta
scala dell'aria e delle correnti marine.
Tale forza, però, può soltanto far variare
la direzione delle correnti, ma non può far
variare la toro velocità perché agisce solo
perpendicolarmente alla direzione del
flusso e quindi non è in grado di spingere
le correnti contro gli effetti ritardanti di
altre forze.
È molto probabile che sia la spinta gra-
vitazionale a dirigere in effetti il moto.
Essa provoca il galleggiamento o la con-
vezione verso l'alto di materiali meno
densi in un fluido denso. La spinta gravi-
tazionale èia forza che anima le correnti
dell'atmosfera, le correnti oceaniche e
perfino i continenti. Tale forza può anche
generare moti radiali del fluido, la cui
presenza nel nucleo e imposta da conside-
razioni teoriche sul campo magnetico ter-
restre. Le forze di spinta responsabili del-
la convezione dipendono dalla differenza
di densità dovuta a variazioni di tempera-
tura e di composizione del fluido. La con-
vezione tende a ridistribuire il materiale
nel fluido e quindi la spinta scompare.
Perché il Fluido possa continuare a circo-
lare le forze di spinta devono restare atti-
ve e tali forze possono essere alimentate o
da una sorgente continua di calore o da
una sorgente continua di materiale meno
denso. In altri termini, dato che le forze di
spinta compiono lavoro meccanico, è
necessaria una fonte inesauribile di ener-
l.e tariaziooi secolari, o vortici con variazioni a lungo I ermi ne, nel
c;i ni pi i magnetico terrestre sono indicale dalle il ili ci cu /e dei contorni
in queste due mappe del mondo. I contorni rappresentano la rapidità di
varia/ione in minuti di arco peranno della deviazione dal nord geogra-
lieo di un ago da bussola. La mappa superiore mostra i contorni nel
1912. quella in ter iure nel 1942. Un contorno con numero poshivo (in
nero) indicala rapidità con cui un agi) da bussola sul contorno si allontana
dal nord geografico, un contorni) tini numero negativo (a colorii la
rapidità con cui un ago sul contorno si avvicina al nord geografico. Per
esempio, nell'isola settentrionale della Nuova /.elanda nel 1 942 un ago
da bussola si è allontanato dal nord geografico di 5 minuti di arco ( +■ 5)
all'anno, mentre nel 1912 l'allontanamento era fra 2 e 3 minuti dì arco.
già per mantenerle con tinuamen te in atto.
I geofisici sono ora nella fase di ricerca
di modelli ideali del nucleo terrestre che
menano in evidenza alcuni dei più impor-
tanti aspetti del nucleo. È allo studio la
natura della convezione nei fluidi rotami
immersi in campi magnetici. Friedrich H.
Busse dell'Università della California a
Los Angeles ha sviluppato un modello
fluidodinamico ideale per poter analizza-
re l'effetto di una variazione radiale di
temperatura su una sfera fluida in rapida
rotazione. Come il campo gravitazionale
nel nucleo terrestre, il campo gravitazio-
nale nella sfera era diretto all'ime ino ver-
so il centro. Questo primo studio ignorava
gli effetti di campi magnetici e trattava
soltanto gli effetti di rotazione sul moto
dei fluidi dovuti alla spinta gravitazionale
e risultanti da differenze di temperatura.
Tali risultati, però, dovrebbero valere
anche per altre sorgenti dì spinta. I calcoli
di Busse indicavano che per variazioni di
temperatura sufficientemente grandi i
flussi dovuti alla spinta sono in gran parte
dovuti alla rotazione e potrebbero origi-
nare ì moti necessari per una dinamo.
Sulla base di questa analisi Busse e uno
di noi (Carrigan),' che era allora
(1973 ) uno studente diplomato, elabora-
rono un modello da laboratorio del flusso
guidato dalla spinta. Tale modello era
formalo da una sfera di plastica in rapida
rotazione piena d'acqua, le cui proprietà
principali sì riteneva coincìdessero con
quelle del nucleo fluido. Quando la sfera
era in rapida rotazione, l'acqua «sentiva»
la forza di Coriolis. proprio come fa il
nucleo fluido. Il fatto che la massa della
sfera fosse piccola indicava che la sua for-
za gravitazionale era trascurabile in con-
fronto alla forza centrifuga esercitata sul
fluido in conseguenza della elevata velo-
cità di rotazione. D'altra parte nel nucleo
terrestre la forza gravitazionale supera di
gran lunga la forza centrifuga dovuta alla
rotazione diurna del nucleo. Ne consegue
che quando la forza di Coriolis raggiunge
il valore che ha nel modello, l'intensa for-
za centrifuga del modello riesce a simula-
re in modo adeguato gli effetti dell'inten-
sa forza gravitazionale del nucleo. Si po-
trebbe poi introdurre nel modello la spin-
ta, imponendo un a differenza di tempera-
tala radiale tra la sfera interna e quella
esterna.
L'approssimazione con cui il modello
rappresenta ciò che sta accadendo nel nu-
cleo dipende dal modo in cui si riesce a
60
®
61
ridurre di scala le forze principali pur man-
tenendo tra esse i rapporti esatti. Se il
modello di laboratorio viene fatto ruotare
abbastanza rapidamente, il moto dell'ac-
qua nella sfera può riprodurre fedelmente
il moto del ferro nel nucleo. Come in qual-
siasi modello in scala, i parametri impor-
tanti sono i rapporti tra !e varie forze pre-
senti. Nella dinamica dei fluidi il rapporto
tra le forze viscose e la forza di Coriolis è
chiamate numero di Ekman. Nei nucleo
terrestre il numero dì Ekman può scende -
I ;i dinamo ;i disco di Faraday produce correlili elettriche (frecce colorate) quando un disco di
rame viene posto in rotazione attraverso le linee di forza magnetiche di una sbarretta magnetica
(in alla) o di una bobina di (ilo (in t>ù\sn). In una dìnamo autoalimentala le correnti elettriche
prodotte servono a rinforzare il campo magnetico della bobina in modo che non sia necessaria
alcuna sorgente di magnetismo esterna oltre a quella necessaria originariamente per azionare
la dinamo. Il liquido nel nucleo terrestre potrebbe Funzionare come una dinamo meccanica.
re fino a IO -15 , a causa della bassa viscosità
del fluido e dei moti su vasta scala.
Mentre la viscosità dell'acqua nel mo-
dello può essere confrontabile alla visco-
sità del liquido nel nucleo, le dimensioni
delle sfere nel modello sono ovviamente
milioni di volte inferiori. A causa delle
piccole dimensioni delle sfere nel modello
le forze viscose predominano sulla forza
di Coriolis. se il modello esegue soltanto
una rotazione al giorno come fa la Terra,
Perché la forza di Coriolis possa essere
sufficientemente intensa in confronto alle
forze viscose, o in altre parole perché il
numero di Ekman del modello si avvicini
al numero di Ekman del nucleo terrestre,
il modello deve ruotare a circa 500 giri al
minuto, ovvero circa un milione di volte
più velocemente del pianeta.
Per mantenere corretto il rapporto ira
le forze di spinta e le forze viscose sì è
applicalo un gradiente di temperatura di
un kelvin tra il centro delia sfera e l'ester-
no. Se la spinta nel modello fosse stata
troppo piccola, l'acqua non sarebbe circo-
lata, perché le forze motrici non sarebbe-
ro state sufficientemente grandi da vince-
re le forze ritardanti. Se la spinta è grande
quanto basta per far iniziare il moto del-
l'acqua, il flusso viene confinato a una
stretta regione cilindrica il cui l'asse coin-
cide con l'asse di rotazione della sfera. Il
flusso all'interno della regione cilindrica è
formato da piccoli flussi circolatori
estremamente ordinati che assumono la
forma di lunghi rulli in lenta rotazione,
allineati parallelamente all'asse di rota-
zione e la cui disposizione ricorda quella
dei rulli in un cuscinetto a rotolamento.
La forma a rulli del moto fluido si spie-
ga con un teorema della dinamica dei
fluidi. Il teorema vale per i corpi fluidi
rotanti nei quali la forza di Coriolis e mol-
lo maggiore delle altre forze, quali la vi-
scosità, la spinta e l'inerzia del fluido. In
tal caso soltanto le forze che originano da
differenze di pressione fluida sono abba-
stanza grandi da bilanciare la forza di Co-
riolis. Le forze di pressione sono «conser-
vative» in un senso particolare: non pos-
sono far variare i moti del fluido in dire-
zione parallela all'asse di rotazione. In
altri termini, se il corpo in rotazione ve-
nisse tagliato in fettine perpendicolar-
mente all'asse di rotazione, il teorema
impone che le linee di flusso in una fettina
siano identiche alte linee di flusso in qual-
siasi altra. In particolare una fettina tra-
sversale di uno schema di circolazione a
rulli apparirebbe identica a quelle tagliate
immediatamente al di sopra e al di sotto.
In un corpo sferico quale il nucleo terre-
stre o il modello, però, il confine sferi-
co impedisce al flusso di essere lo stesso in
qualsiasi sezione trasversale perpendico-
lare all'asse di rotazione. Il confine in cor-
rispondenza delledueestrcmitàdi un rullo
ha pendenza opposta e quindi per un os-
servatore del modello la circolazione ver-
so l'esterno nel rullo spinge il fluido vicino
al confine verso l'alto nell'emisfero infe-
riore e verso il basso in quello superiore.
Invece nella sezione equatoriale il moto
del fluido è perfettamente orizzontale.
62
La forza di Corioiis, che agisce su qualsiasi massa in moto rispetto a un
sistema di riferimento rotante, può dare origine a moti ciclonici del
fluido su vasta «cala nel nucleo terrestre. Una giostra che ruota in senso
antiorario vista dall'alto illustra l'effetto della Forza di Corioiis. Nello
schema di sinistra un uomo in /* cerca di lanciare una pialla a un uomo in
SPOSTAMENTO
DI CORIOL1S
Q. Il moto dell'uomo in P (freccia corta) fa però deviare la palla in
direzione l'i". Nel disegno a destra l'uomo in P si è spostato in P',
l'uomo in Q si È spostato in Q' e la palla si è spostata in E. Per osser-
vatori che si trovano a loro volta sulla giostra la palla appare essersi
spostata lungo una curva per effetto di una forza agente su di essa.
Pur essendo piccola la viscosità nel
modello, il suo effetto sull'equilibrio tra le
differenze di pressione e la forza di Corio-
iis è sufficiente a permettere l'esistenza di
circolazioni a rullo. Nel nucleo, però, la
viscosità è troppo piccola per avere un
effetto del genere, anche se i campi ma-
gnetici potrebbero ribaltare con un siffat-
to meccanismo l'equilibrio delle forze. Le
forze viscose e i campi magnetici influen-
zano anche il diametro delle circolazioni a
rullo. Nel modello i rulli hanno un diame-
tro pari circa al 10 per cento del raggio
della sfera per un fluido con la stessa vi-
scosità dell'acqua. Se la viscosità aumen-
ta, il rullo si ingrossa. Nel nucleo, dove
l'effetto della viscosità è trascurabile, ti
diametro dei rulli dovrebbe essere una
frazione ancora più piccola del raggio del
nucleo. L'esperimento però non indica se
i campi magnetici possono agire come la
viscosi! ii nell'ingrossare t rulli. In realtà
l'assenza di campi magnetici costituisce
una seria limitazione di questo modello.
Supponiamo ora che la sfera rotante
venga riempita con un metallo liquido
come il mercurio o il sodio anziché con
acqua. È in grado la sfera di generare un
campo magnetico proprio? La risposta è
no. Qualsiasi corrente elettrica inviata nel
fluido si annullerebbe in una frazione di
secondo, che è un tempo troppo breve
perché possa aver luogo l'effetto dinamo.
D'altra parte le correnti elettriche nel
nucleo terrestre possono durare circa
10 000 anni senza doveressere rigenerate
e questo è un tempo sufficientemente
lungo per permettere agli intensi moti del
nucleo fluido di agire come dinamo. La
vita media delle correnti elettriche in un
corpo è proporzionale al prodotto del
quadrato del raggio del corpo per la sua
conduttività elet trica. Dato che le condut-
tività del modello e del nucleo terrestre
sono approssimativamente le stesse, è la
grande differenza tra il raggio del modello
e il raggio del nucleo terrestre che spiega
perché le correnti nel nucleo possono
durare circa IO 17 volte quelle del model-
lo. Perché il modello possa avere una
probabilità di funzionare dovrebbe essere
portato alle dimensioni de! nucleo. Alter-
nativamente il modello potrebbe funzio-
nare nelle dimensioni attuali, se fosse co-
stituito da un fluido dotato di conduttività
quasi infinita.
Falliti gli esperimenti di laboratorio per
rilevare su modelli gli effetti dei campi
magnetici, i geofistei hanno rivolto la loro
attenzione a considerazioni teoriche. Il
recente lavoro teorico di G. O. Roberts
dell'Università di Cambridge e di altri
ricercatori mostra che i moti fluidi posso-
no produrre un campo magnetico se pos-
seggono una «clicità» totale non nulla,
dove l'elicila è il grado in cui le linee di
l ii sistema non rotante non sente la forza di Corioiis. Il fluido scorre
semplicemente verso l'esterno da regioni di alta pressione (a) e verso
l'interno attraverso regioni di bassa pressione (b). In un sistema rotante
quale il nucleo terrestre, la forza di Corioiis fa deviare il flusso verso
destra nell'emisfero superiore. Quando la forza di Corioiis (frecce
colorale) annulla le forze di pressione (frecce nere ironeggiate) il fluido
circola attorno a regioni di alta pressione (e) e di bassa pressione uh.
Questo giustifica le circolazioni a rulli nel modello del nucleo terrestre.
64
corrente sono attorciglia te in avvolgimen-
ti destrorsi o sinistrorsi. Si ha un 'elicila
netta quando ci sono più avvolgimenti in
una direzione che nell'altra. Nel modello
di laboratorio l 'elicila nei rulli è dovuta al
flusso indotto dai confini sferici. Basan-
dosi sulle analogie tra i moti fluidi de!
lavoro teorico dì Roberts e quelli del
modello di laboratorio. Busse dimostrò
che ìe linee di convezione potevano gene-
rare un campo essenzialmente dipolare, e
che, per effetto dell'azione dinamo dei
moti fluidi, il campo magnetico poteva
aumentare sensibilmente pur partendo da
un piccolo valore iniziale.
Immaginiamo ora di aver eseguito un
esperimento di laboratorio in cui un cam-
po magnetico cresceva di intensità a parti-
re da un valore microscopico. Inizialmen-
te il fluido conduttore dell'esperimento
non risentirebbe del campo magnetico
perché inizialmente il campo sarebbe
troppo piccolo, ma, al crescere del campo
magnetico, quest'ultimo induce moti flui-
di. E un principio fondamentale dell'elet-
tricità e del magnetismo che un campo
magnetico esercita su un conduttore una
forza che sì oppone al moto del condutto-
re stesso. Se la dinamo della Terra fosse
una semplice dinamo a disco messa in
moto da una manovella fissata a un perno
nel centro del disco, diventerebbe via via
più difficile far girare la manovella al cre-
scere della resistenza creata dal campo
magnetico. Il campo magnetico finisce
con l'arrestare il moto del conduttore fino
al raggiungimento di una situazione di
equilibrio in cui il campo ha raggiunto un
valore stazionario. In un fluido condutto-
re quale il nucleo terrestre, però, c'è un
altro grado di libertà: la direzione del
flusso. Il campo magnetico potrebbe an-
che aiterare la direzione del flusso e quin-
di modificare le linee di flusso. Tali varia-
zioni di direzione potrebbero far diminui-
re l'effetto dinamo pur senza far diminui-
re la velocità del fluido.
Non essendosi ancora potuto costruire
un modello di laboratorio in cui il
campo cresce a partire da un valore mi-
croscopico, non si sa fino a che punto una
forza magnetica in costante aumento pos-
sa alterare le linee di flusso. È in tale
direzione che continuano le ricerche di
Busse e di P. H. Robens e collaboratori
all'Università di Newcastle upon Tyne.
Busse ha calcolato le variazioni di velocità
e di direzione del fluido supponendo che
le forze magnetiche siano piccole, mentre
il gruppo di P, H, Robens si è concentrato
su quanto accade se le forze sono grandi.
Se le forze magnetiche risultano grandi,
le linee di flusso potrebbero venire drasti-
camente modificate. Nel modello ipoteti-
co lo schema di flusso a rulli verticali do-
vrebbe probabilmente assumere una
struttura meno fine: ci dovrebbero essere
meno rulli ma più grandi e, improvvisa-
mente, raggiunta un'intensità di campo
critica, lo schema dovrebbe trasformarsi
in quello di un moto su grande scala, es-
senzialmente in direzione orizzontale. Si
sa poco su questa possibilità, ma il campo
magnetico dovrebbe essere con ogni pro-
babilità grande e toroidale, disposto se-
condo un anello all'interno del modello
sferico. Ciò che accade in effetti nel nu-
cleo terrestre dipende dall'intensità del
campo ali 'equilibrio e da molti altri fattori
che non sono stati ancora studiati.
L'esistenza di un grande campo toroi-
dale è la base di una spiegazione delle
variazioni secolari proposta da Raymond
->
SFERA ESTERNA
DI PLASTICA
TRASPARENTE
SERBATOIO CALDO
A CONTROLLO
TERMOSTATICO
7 —
SCATOLA DI PLASTICA
TRASPARENTE
SERBATOIO FREDDO
A CONTROLLO
TERMOSTATICO
- v
II gradiente di temperatura nel modello del nucleo terrestre mostrato nelle foto di pagina 59 viene
mantenuto dal sistema di riscaldamento indicato in questo diagramma mollo schematico. Nel
modello la temperatura aumenta all'aumentare della distanza dal centro. Tale gradiente di
temperatura, che è opposto al gradiente nel nucleo, è progettato in modo da compensare le
differenze Ira la gravità nel nucleo e la forza centrifuga che nel modello sostituisce la gravità.
Hide dell 'United Kingdom Meteorologi -
cai Office e da S. I. Braginsky dell'Uni-
versità statale M. V. Lomonosov di Mo-
sca. Essi sostengono che sotto l'azione
congiunta della rotazione e di un campo
magnetico il nucleo fluido può originare
onde con periodi dell'ordine delle mi-
gliaia di anni. La loro interpretazione
suggerisce che la migrazione del campo
magnetico verso ovest possa essere un
fenomeno ondoso. Nello stesso modo in
cui la propagazione di un'onda marina
non implica lo spostamento in avanti del-
l'acqua, così la migrazione verso ovest del
campo magnetico non implica che tutto il
nucleo stia rotando rispetto al mantello se
il movimento è un moto ondoso. La spie-
gazione di Hide e Braginsk} vale solo so il
campo toroidale è intenso e ciò costituisce
una delle ragioni più forti per credere al-
l'esistenza dì un campo intenso.
Una qualsiasi spiegazione attendibile
del geomagnetismo deve spiegare le cau-
se dell'inversione dei poli nei vari periodi
della storia. Le ricerche paleomagnetiche
fanno pensare che durame un'inversione
il campo dipolare dapprima diminuisca di
intensità per circa 10 000 anni, poi cambi
dì colpo polarità e infine cresca di nuovo
lentamente di intensità. L'altra possibili-
tà, e cioè che il dipolo oscilli pur mante-
nendo intensità costante, non è contem-
plata dai dati paleomagne tici. Le equa-
zioni matematiche che descrivono la di-
namica del nucleo non cambiano se si
cambia segno al campo magnetico, e
quindi lo stato dinamico del nucleo è lo
stesso sia nello stato normale che in quel-
lo invertito. Nessuno ha fornito una spie-
gazione del perché ha luogo l'inversione
di segno. Le inversioni apparentemente
casuali del campo dipolare terrestre sono
rimaste imperscrutabili.
Le dinamo a disco potrebbero chiarire
in qualche modo il fenomeno dell'inver-
sione, perché in certe circostanze mostra-
no un comportamento di inversione ap-
parentemente casuale. Tali inversioni
sono dovute ad accoppiamenti tra varie
parti del circuito elettrico della dinamo a
disco. Tale accoppiamento è simile a quel-
lo tra pendoli appesi a un sostegno comu-
ne. Per esempio, se si appendono tre pen-
doli a breve distanza uno dall'altro a una
fune orizzontale e si pone in oscillazione
uno di essi, alla fine anche gli altri due
cominciano a oscillare. In certi istanti uno
dei pendoli può anche fermarsi per un
breve periodo mentre l'energia passa
avanti e indietro dall'uno all'altro. Ben-
ché il comportamento dei pendoli sia de-
terministico (se ne può calcolare il moto
futuro dalle condizioni iniziali secondo le
leggi della dinamica), per un osservatore
lo scambio di energia cinetica tra di essi è
apparentemente casuale. In modo analo-
go le dinamo a disco danno origine a in-
versioni che appaiono casuali ma che in
realtà sono deterministiche. Dato che vi
sono analogie matematiche tra le dinamo
a fluido e le dinamo a disco, anche le
inversioni apparentemente casuali del
campo magnetico terrestre potrebbero
essere deterministiche. La complessità
matematica delle equazioni che descrivo-
66
Le circolazioni per convezione net modello sferico rotante hanno l'aspetto di rulli in lenta
rotazione. Dato che i rulli finiscono sulla superficie di una sfera, i moti fluidi non sono in tale
regione paralleli al piano equatoriale del modello. 1 confini sulle due estremità di un rullo hanno
pendenza opposta e quindi per un osservatore del modello la circolazione verso l'esterno in un
rullo provoca per il fluido vicino al confine una spinta verso l'alto nell'emisfero inferiore e verso il
basso in quello superiore. Tali moti potrebbero generare il campo magnetico dipolare della i erra.
L'elicila è il grado in cui te linee di corrente del fluido sono attorcigliate a spirale. Nel modello del
nucleo terrestre felicità nasce nei rulli. Il lluido nel rullo superiore traccia un percorso elicoidale
destrorso (in colore), il che significa che il fluido sta circolando nello stesso senso in cui si avvita un
cavatappi. L'eticità nel rullo inferiore È pure destrorsa anche se il flusso (nero) ha verso opposto.
no il comportamento delle dinamo a flui-
do ha impedito finora ai fisici di ricercare
seriamente modelli di inversione.
Una spiegazione differente delle inver-
sioni dei poli ipotizza che la dinamo a
fluido «si spenga» per un istante lascian-
do diminuire il campo dipolare, per poi
■accendersi » di nuovo creando un campo
che aumenta in verso opposto. Questa
spiegazione, pur non contraddicendo le
informazioni disponibili, sembra artifi-
ciosa. Non c'è alcuna ragione per pensare
che il nucleo resti «acceso» per il milione
di anni tra due inversioni successive per
poi «spegnersi» per le poche migliaia di
anni durante i quali hanno luogo le inver-
sioni dei poli. Sembra più probabile che le
inversioni siano un aspetto naturale di
una dinamo che funziona in continuità
per generare campi magnetici, come ac-
cade per le dinamo a disco.
In periodi di tempo estremamente lun-
ghi il carattere delle inversioni polari è
cambiato. Durante il Cretaceo, per esem-
pio, che si estese da 135 a 65 milioni di
anni fa, non ci sono state inversioni per
più di 20 milioni di anni. Tale comporta-
mento a lungo termine è presumìbilmente
correlato a variazioni fondamentali nel
meccanismo di azionamento della dina-
mo o alla forma del confine tra U nucleo e
il mantello, ma anche in questo caso que-
ste possibilità sono state poco esaminate.
È giunto il momento di esaminare più a
fondo tutte le possibili fonti energetiche
per i moti del nucleo fluido. Qualsiasi for-
za di spìnta richiede una fonte di energia,
perché tali forze compiono lavoro contro
forze viscose e magnetiche. Nell'espe-
rienza di laboratorio con la sfera rotante
l'energia compare sotto forma di calore
fornito per mantenere i gradienti di tem-
peratura. Nel nucleo terrestre la situazio-
ne potrebbe non essere affatto così sem-
plice. Qui l'energia deve essere stata for-
nita a un ritmo più o meno costante per
miliardi di anni. L'energia può presentar-
si sotto varie forme (gravitazionale, chi-
mica termica) anche se alla fine sarà
trasformata in calore che si propaga all'e-
sterno del mantello. La sorgente di ener-
gia non può però essere talmente grande
da fondere il mantello o da inviare sulla
superficie terrestre più calore di quanto se
ne osserva in realtà. Tali limitazioni risul-
tano essere meno banali di quanto possa-
no sembrare a prima vista.
L energia termica necessaria per la spin-
' ta potrebbe derivare dalla radioatti-
vità se il nucleo fluido contenesse una
quantità sufficientemente grande di ele-
menti radioattivi. I principali elementi
che producono calore sono l'uranio, il to-
rio e il potassio. Alcune spiegazioni teori-
che della formazione del nucleo ipotizza-
no che l'uranio e il torio tendono a migra-
re verso il mantello e la crosta, lasciando
dietro di sé nel nucleo soltanto piccole
tracce. Alcuni ricercatori hanno suggerito
invece che il nucleo contenga potassio in
abbondanza e in tal caso esso conterrebbe
anche un'apprezzabile quantità dell'iso-
topo radioattivo potassio 40. L'idea che il
potassio abbondi nel nucleo non trova
70
però molti consensi perché si basa su ipo-
tesi incerte sulla chimica e sulla composi-
zione del nucleo. Un'ipotesi più promet-
tente è che la Terra si stia raffreddando e
quindi liberi calore aumentato dal calore
latente del nucleo liquido quando esso
solidifica per formare il nucleo interno
solido. La capacità termica del nucleo è
talmente elevata che una caduta di tem-
peratura costante di 1 00 kelvin negli ul-
timi tre miliardi di anni avrebbe potuto
fornire il calore sufficiente. Perché il calore
possa azionare la dinamo devono esistere
nel mantello correnti di convezione che
asportino il calore. Il raffreddamento pro-
voca anche una contrazione della Terra e
quindi unaperdita di energia gravitaziona-
le. Se ladiff erenza di densità tra il materia-
le del nucleo interno e quello del nucleo
esterno è grande come pensano i sismolo-
gi, potrebbe essere liberata energia gravi-
tazionale in notevole quantità. Tale ener-
gia deve alla fine abbandonare il nucleo
sotto forma di calore per essere trasporta-
ta sulla superfìcie con un meccanismo di
convezione attraverso il mantello.
Le misure sperimentali fissano un limi-
te superiore di circa 4 x IO' 5 watt alla
potenza termica media che attraversa la
superficie della Terra. È risaputo che la
Nel nucleo terrestre sono probabilmente presenti linee di campi ma-
gnetici toroidali. Un anello (linea colorala}, che è il più semplice tipo di
campo toroidale, è indicato nel disegno in alto a sinistra. Le correnti
elettriche (lìnee nere) che danno orìgine a questo campo devono essere
dirette radialmente, ma non possono attraversare il mantello terrestre
perché è un isolante, quindi nessun campo magnetico toroidale può
essere rivelato sulla superficie terrestre. Gli altri tre disegni raffigurano
come i moti fluidi che agiscono su un campo dipolare iniziale possano
72
generare grandi campi toroidali. In alto a destra un campo dipolare
(linee colorale) è sovrapposto a un fluido rotante (linee nere) la cui
velocità di rotazione varia da un punto all'altro del nucleo. In basso a
sinistra le linee del campo sono deformale dalla rotazione non uni-
forme del fluido. Il fluido fa assumere a ogni linea del campo una
forma toroidale. In basso a destra altri effetti sul moto del fluido danno
forma di anello alle linee. Questo campo essenzialmente toroidale
ha versi opposti nell'emisfero settentrionale e in quello meridionale.
maggior parte di questa potenza origina
dalla radioattività della crosta e soltanto
circa IO 13 watt originano nel nucleo. Se il
calore del nucleo derivasse dall'isotopo
radioattivo potassio 40, la concentrazione
di potassio nel nucleo dovrebbe essere di
circa 800 parti per milione. È più probabi-
le che il calore sia stato fornito dai raf-
freddamento del nucleo di 100 kelvin in
tre miliardi di anni. In tal caso il calore
potrebbe essere stato fornito dalle tre
fonti confrontabili che abbiamo elencato:
la caduta di temperatura, la liberazione di
calore latente quando il liquido solidifica
per formare il nucleo solido interno e la
liberazione sotto forma di calore di una
parte dell'energia gravitazionale liberata
nella contrazione dei nucleo, mentre il
punto cruciate è se 10' 'watt costituiscono
una potenza sufficiente per mantenere il
campo magnetico terrestre. Tale potenza
non è molta per un oggetto grande come il
nucleo terrestre; si pensi che si tratta al-
l'incirca soltanto del doppio della potenza
normalmente consumata dalle attività
umane nell'America Settentrionale.
Gli ingegneri si basano su considera-
zioni termodinamiche per valutare la
conversione energetica ideale in centrali
elettriche di potenza senza che sia neces-
sario conoscere le turbine o i generatori di
tali centrali; una valutazione del genere si
potrebbe fare per il nucleo senza conosce-
re certi aspetti del suo interno. Nel caso
del nucleo si è valutato che vengono dissi-
pati da 10* a IO 12 watt di potenza per le
correnti che producono il campo magne-
tico. A seconda di come viene azionata la
dinamo del nucleo potrebbe essere neces-
saria anche una quantità di calore supe-
riore per azionarla. Come per una centra-
le di potenza che trasforma calore in elet-
tricità, il rendimento della dinamo del
nucleo è il rapporto tra il calore di origine
elettrica e l'energia fornita. Esiste però
una differenza fondamentale tra i due si-
stemi: le correnti elettriche del nucleo
dissipano il loro calore nel nucleo stesso.
Una parte di tale calore potrebbe ancora
mettere in moto correnti di convezione
allo stesso modo in cui una centrale di
potenza potrebbe impiegare qualcuna
delle sue uscite per riscaldare le proprie
caldaie. D'altra parte una frazione del
calore potrebbe ostacolare la convezione
allo stesso modo in cui il rendimento dì
una centrale di potenza diminuisce se le
sue uscite vengono usate per riscaldare le
torri di raffreddamento.
Il rendimento termodinamico ideale di
una dinamo alimentata da calore è del
20 per cento, secondo i calcoli di George
E. Backus dell "Università della California
a San Diego. Egli ha scoperto che il ren-
dimento ideale si ottiene con una dinamo
a disco azionata da una macchina termica
ideale che opera tra due temperature fis-
sate, purché il calore dissipato nella bobi-
na della dinamo sia rimandato alla sor-
gente di calore della macchina. Però, di-
versamente da tale macchina, il nucleo
terrestre non è affatto ideale e quindi il
rendimento è minore del 20 per cento. In
effetti, il rendimento effettivo è proba-
bilmente soltanto del 5 per cento. La ra-
gione è che il calore può essere dissipato
nel nucleo non soltanto per convezione,
ma anche per conduzione. Quando il ca-
lore si propaga per conduzione, il fluido
non si muove e quindi il calore per condu -
zione non contribuisce al moto della di-
namo. Un rendimento del 5 per cento
significa che per ogni unità di calore pro-
dotta per mantenere le correnti elettri-
che, una quantità di calore 20 volte supe-
riore deve propagarsi dal nucleo al man-
tello. Il risultato è che le dinamo termoa-
limentate potrebbero nel migliore dei casi
generare un debole campo magnetico, ma
sicuramente non un grande campo toroi-
dale dei tipo di quelli richiesti dalla spie-
gazione di Hide e Braginsky delle varia-
zioni secolari.
L'insoddisfacente funzionamento delle
dinamo termiche indusse Braginsky e uno
di noi (Gubbins) a esaminare l'energia
gravitazionale come fonte di potenza al-
ternativa al calore. Una parte dell'energia
gravitazionale persa nella contrazione
della Terra appare come riscaldamento di
compressione, ma tale quantità di calore è
molto piccola. Dalle misure sismologiche
di T. G. Masters dell'Università di Cam •
bridge sono state ricavate delle stime del-
la differenza di densità tra il materiale
solido del nucleo interno e il liquido del
nucleo esterno. Pur essendo rozze, tali
stime non ammettono una differenza di
densità inferiore al 20 per cento; questo
significa che il nucleo solido interno con-
tiene rispetto al liquido del nucleo ester-
no, proporzionalmente più ferro e nichel.
Quando il liquido solidifica, il ferro
migra nel nucleo solido interno mentre i
materiali leggeri restano nel nucleo liqui-
do esterno e forniscono la spinta. Le cor-
renti di convezione mettono in agitazione
il fluido e in tal modo ridistribuiscono
uniformemente il materiale leggero. L'e-
nergia gravitazionale che si perde m que-
sta ridistribuzione può essere trasformata
in energia termica per riscaldamento elet-
trico, per riscaldamento viscoso e per dif-
fusione molecolare del materiale leggero
attraverso la massa principale del liquido.
Le proprietà del ferro liquido sono tali da
rendere il riscaldamento elettrico il più
cospicuo di tali effetti, dato che sia la vi-
scosità del ferro sia le velocità di diffusio-
ne dei materiali leggeri sono basse. Il
campo magnetico può essere considerato
come un mezzo per trasformare l'energia
gravitazionale in calore.
Ciò che sorprende in una dinamo ali-
mentata dalla forza gravitazionale è che
in certe condizioni il suo rendimento è
quasi del 100 per cento. La maggior par-
te della sua energia viene impiegata per
la produzione del campo magnetico. Un
siffatto modello è molto più soddisfacen-
te della dinamo alimentata dal calore,
dove si dissipa troppa energia. Una fon-
te di energia gravitazionale potrebbe ge-
nerare campi magnetici di centinaia di
gauss senza spingere troppo calore nel
mantello. Pare probabile che le dinamo
a energia gravitazionale possano avere
un ruolo significativo nei futuri modelli
del nucleo.
STABILIZZATORI
DI TENSIONE
A
FERRORISONANZA
SKH - SS PROFESSIONALE
- con tensione d'ingresso
e d'uscita sinusoidale.
SKH - RS con tensione d'ingresso
rettangolare, simmetrica o
asimmetrica, e tensione
d'uscita sinusoidale per
ondulatori.
SKH-SR con tensione d'ingresso
sinusoidale e tensione
d'uscita rettangolare per
ottenere, dopo raddriz-
zamento, una sorgente di
tensione continua stabi-
lizzata.
SKH - RR con tensione d'ingresso
rettangolare (proveniente
da un invertitore) e ten-
sione di uscita separata
galvanicamente da quella
d'ingresso destinata ad
essere raddrizzata per l'ot-
tenimento di una sorgente
con tensione contìnua
stabilizzata.
DA 1 A 25 KVA MONOFASE
DA 3 A 75 KVA TRIFASE
(Documentazione tecnica
disponibile su richiesta)
Ini
CAP 20040
BURAGO DI MOLGORA
MILANO - ITALY
Viale XXV APRILE, 1
tei. 039 - 667641 42
AGENTE PER L'ITALIA
DELLA
-. TRASFOR S.A.
PM 6981 Molinazzo di Monteggio
SWITZERLAND
73
La struttura dell'emoglobina
e il trasporto respiratorio
L'emoglobina trasporta ossigeno dai polmoni ai tessuti e collabora
al trasferimento di anidride carbonica dai tessuti ai polmoni Svolge
questa duplice funzione oscillando tra due strutture in alternativa
di M. F. Perutz
Perché l'erba sia verde o il sangue
rosso.
Sono misteri che ancora nessuno ha
svelato.
In questa misera condizione, povera
anima, che cosa vuoi fare?
— John Donne,
«Il cammino dell'anima» (1601)
s
partii ih:
piando ero studente, sognavo di
risolvere qualche grande pro-
blema di biochimica. Un giorno
partila Vienna, la mia città, per incon-
trare a Cambridge il «grande saggio». Da
lui appresi che l'enigma della vita eia na-
scosto nella struttura delle proteine e che
la cristallografia con i raggi X era l'unico
metodo in grado di risolverlo. Quel «sag-
gio» era John Desmond Bernal, che ave-
va appena scoperto, per le proteine cri-
stallizzate, le immagini di diffrazione dei
raggi X, così ricche di dettagli. Lo chia-
mavamo «saggio» perché davvero egli
sapeva tutto e io divenni suo discepolo.
Nel 1937, scelsi l'emoglobina come
proteina di cui risolvere la struttura, ma
questa mostrò di essere tanto più com-
plessa di qualunque altra struttura che
fosse stata risolta fino ad allora, al punto
che mi eluse per più di vent'anni. Le pro-
messe del saggio cominciarono a realiz-
zarsi nel 1959, quando Ann F. Cultis. Hi-
lary Muìrhead, Michael G. Rossmann.
Tony C. T. North e io stesso riuscimmo
per la prima volta a svelare, nelle linee
generali, l'architettura della molecola. Ci
sentivamo come esploratori che avessero
scoperto un nuovo continente, ma non
eravamo giunti alla fine delia nostra spe-
dizione, perché il nostro ammiratissìmo
modello non rivelava i suoi meccanismi
interni, cioè non dava alcuna indicazione
sul meccanismo molecolare che presen-
ziava al trasporto respiratorio. Perché? I
nostri benpensanti colleghi avanzarono
l'ipotesi che quella struttura, da noi iden-
tificata con tanta difficoltà, altro non fos-
se che un artefatto della cristallizzazione e
potesse essere diversa dalla struttura del-
l'emoglobina nel suo ambiente naturale,
che è il globulo rosso del sangue.
L'emoglobina è una proteina di vitale
importanza, che trasporta l'ossigeno dai
polmoni ai tessuti e facilita il ritorno del-
l'anidride carbonica dai tessuti ai polmo-
ni. Queste funzioni e la loro sottile inter-
connessione rendono anche l'emoglobina
una delle più interessanti proteine da stu-
diare. Come tutte le altre proteine, essa
consta di piccole molecole organiche,
chiamate amminoacidi, unite in una se-
quenza lineare, detta catena polipepiidi-
ca. Gli amminoacidi appartengono a venti
diversi tipi e la loro successione nella ca-
tena è determinata geneticamente. Una
molecola di emoglobina consta di quattro
catene polipepttdiche: due catene alfa di
141 residui amminoactdici e due catene
beta di 146 residui amminoacidìci. Le
catene alfa e beta presentano diverse se.-
quenze di aminoacidi, ma sì ripiegano
formando strutture tridimensionali simili.
Ogni catena dà inoltre ricetto a un eme, che
conferisce al sangue la colorazione rossa e
consiste di un anello di atomi di carbonio,
azoto e idrogeno, chiamato porfirina, con
un atomo di ferro incastonato al centro
come una pietra preziósa. Una singola ca-
tena polipeptidica combinata con il proprio
eme viene detta subunità dell'emoglobina.
o monomero. Nella molecola compieta le
quattro subunità sono strettamente con-
giunte, come in un puzzle tridimensionale, e
formano un tetramero.
La funzione dell'emoglobina
Nei muscoli rossi è presente un'altra
proteina, la mioglobina, che ha una costi-
tuzione e una struttura simili a una subu-
nità beta dell'emoglobina, cioè consta di
un'unica catena polipeptidica e di un solo
eme. Essa si combina con l'ossigeno libe-
rato dai globuli rossi, lo immagazzina e lo
trasporta agli organetti subccllulari, i mi-
tocondri, dove genera energia chimica
per combustione del glucosio, con produ-
zione di anidride carbonica e di acqua.
La mioglobina è stata la prima proteina
di cui si è determinata la struttura tridi-
mensionale, struttura che è stata risolta
dal mio collega John C. Kendrew e dai
suoi collaboratori. Essa è la più semplice
delle due molecole. Con i suoi 2500 atomi
di carbonio, azoto, ossigeno, idrogeno e
zolfo, ha il solo scopo di permettere all'u-
nico atomo di ferro di unirsi a una moleco-
la di ossigeno (O:) con un legame chimico
debole. Perché la naturava incontro a una
simile complicazione per realizzare un
compilo chiaramente così semplice?
Come la maggior parte dei composti del
ferro. Teme si combina con l'ossigeno in
maniera cosi stabile, che il legame, una
volta formato, difficilmente si rompe. Ciò
accade perché un atomo di ferro può esi-
stere in due diversi stati di valenza: come
ione, ferroso, che possiede due cariche
.positive, ad esempio nel solfato di ferro,
prescritto per via orale alle persone ane-
miche e come ione ferrico, che presenta
tre cariche positive, ad esempio nell'ossi-
do di ferro o ruggine. Di norma, l'etite
ferroso reagisce in maniera irreversibile
con l'ossigeno e dà Teme ferrico, ma
quando esso è incluso tra le pieghe della
catena globi nica rimane protetto e la rea-
zione con l'ossigeno diventa allora rever-
sibile. L'effetto della globina sulla chimi-
ca dell 'eme è stato spiegato solo di recen-
te grazie alla scoperta che l'ossidazione
irreversibile di quest'ultimo procede per
merito di un composto intermedio, in cui
una molecola di ossigeno forma un lega-
me tra gli atomi di ferro di due emì. Nella
mioglobina e nell'emoglobina le ripiega-
ture della catena polipeptidica impedi-
scono questa formazione, isolando ogni
eme in una sacca separata. Nella proteina,
inoltre, il ferro è legato a un atomo di
azoto dell'amminoacido istidina. il quale
cede una frazione di carica negativa, che
permette al ferro di formare un legame
debole con l'ossigeno.
Una soluzione dì mioglobina o di emo-
globina senza ossigeno ha un color porpo-
ra, come il sangue venoso; quando del-
l'ossigeno viene fatto gorgogliare in essa,
diventa scarlatta come il sangue arterioso.
Per fungere da trasportatore di ossigeni»,
l'emoglobina deve essere in grado di fis-
sarlo» livello dei polmoni, dove si trova in
abbondanza, e cederlo alla mioglobina a
livello dei capillari dei muscoli, dove è
meno abbondante. La mioglobina, a sua
volta, deve cedere l'ossigeno ai mitocon-
dri, dove questo gas è ancora più scarso.
Un semplice esperimento mostra che
mioglobina ed emoglobina possono effet-
tuare questo scambio perché esiste un equi-
librio tra ossigeno libero e ossìgeno legato
al ferro dell 'eme. Si supponga che una solu-
zione di mioglobina sia posta in un recipien-
te costruito in modo che un grande volume
di gas possa essere mescolato con essa e il
suo colore possa essere misurato anche con
uno spettroscopio. Senza ossigeno si osser-
va soltanto il color porpora della desossi-
mioglobina;sesi emette una piccola quanti-
tà di gas, esso si combina in parte con un
poco dì desossimioglobina e forma l'ossi-
mi oglobina, scarlatta. Lo spettroscopio
misura la percentuale di ossimioglobina in
soluzione. L'aggiunta di ossigeno e le mi-
sure spettroscopiche si ripetono fino a che
tutta la mioglobina diventa scarlatta. 1 ri-
ti gruppo eme è il centro attivo della molecola d ell'e mogi ob ina, il silo di
legame per l'ossigeno. (-". un anello piatlo, porfirinico, eoti un atomo di
ferro al centro: lo si vede qui. esteso orizzontalmente al centro della
figura, con un margine verso l'alto. Sono pure visibili tre dei sedici residui
amminoacidìci della globina in contatto con esso. In quest'immagine,
ogni atomo è rappresentato da una sfera in cui nessun altro alomo può
penetrare a meno che i due non siano uniti da tegami chimici, nel qual
caso le sfere si sovrappongono. Gli atomi di carbonio appaiono in verde
scuro, quelli di azoto in blu, quelli di ossigeno in rosso, quelli di
idrogeno in bianco e il grosso atomo di ferro seminaseoslo al eentro in
color ruggine. Il modello mostra l'eroe deossigenato; l'ossigeno si lega
al lato più basso dell'atomo di ferro. L'immagine è siala ottenuta da Et,
J. Feldmann e da T. K. Porter, dei Nalionul lnsiitutcs of Health, a
partire da coordinale atomiche determinale da Giulio Fermi del Medi-
cai Research Couneil Laboratori of Moleeular Biologa di Cambridge.
Una chiave per capire la struttura è data nella pagina successiva.
76
77
sulta ti sono riportati su un grafico, ponen-
do la pressione parziale dell'ossigeno sul-
l'ascissa e la percentuale di ossimioglobina
sull'ordinata. La curva che si ottiene ha la
forma di un'iperbole rettangolare: essa è
ripida all'inizio, quando tutte le molecole
di mioglobina sono libere, e si appiattisce
verso la fine, quando le molecole di mio-
globina libera sono diventate cosi scarse
che solo un'elevata pressione di ossigeno
può saturarle.
Per capire questo equilibrio, si deve
cercare di renderne chiara la dinamica.
Sotto l'influenza del calore, le molecole in
soluzione e nel gas sfrecciano qua e là
irregolarmente e si urtano in continua-
zione. Le molecole di ossigeno entrano ed
escono dalla soluzione, formando legami
con le molecole di mioglobina e staccan-
dosi da esse. II numero di legami tra ferro
e ossigeno che si rompono in un secondo è
proporzionale al numero di molecole di
ossimioglobina. Il numero di legami che si
formano in un secondo è proporzionale
alla frequenza delle collisioni tra mioglo-
bina e ossigeno, la quale è determinata, a
sua volta, dal prodotto delle loro concen-
trazioni. Quando altro ossigeno viene
aggiunto alla soluzione, più molecole di
esso si sciolgono, urtano con molecole di
mioglobina e si legano con esse. Questo fa
aumentare il numero di molecole di ossi-
mioglobina e quindi anche il numero di
legami tra ferro e ossigeno che si possono
rompere. Ciò avviene fino a quando il
numero di molecole di mioglobina che si
combinano con l'ossigeno in un secondo
diventa uguale al numero di molecole di
mioglobina che perdono il proprio ossi-
geno in un secondo. A questo punto si
stabilisce un equilibrio chimico.
Tale equilibrio viene illustrato in ma-
niera ottima da un grafico in cui il loga-
ritmo del rapporto tra molecole di ossi-
mioglobina (Y) e molecole di desossimio-
globina (1— Y) viene espresso in funzione
del logaritmo della pressione parziale di
ossigeno. L'iperbole diventa allora una
linea retta, inclinata di 45 gradi rispetto
agli assi. L'intercetta della linea con l'asse
orizzontale, tracciata a 17(1— Y) — 1, dà la
costante di equilibrio K. È questa la pres-
sione parziale di ossigeno, alla quale esat-
tamente la metà delle molecole di mio-
globina risultano legate con l'ossigeno.
Quanto più grande è l'affinità della pro-
teina per l'ossigeno, tanto più bassa è la
pressione necessaria per raggiungere la
GRUPPO EME
CHj
VALINA DISTALE
ISTID1NA DISTALE
La struttura chimica del gruppo cine e degli amminoacidi circostanti viene indicata da un'inte-
laiatura dì linee che conneliono i centri degli atomi costruita con il calcolatore da R. Diamond di
Cambridge. L'unico legame chimico tra Cerne e la proteina che lo ingloba È quello che esiste tra
l'atomo di ferro e l'amminoacido in altoj'istìdina prossimale; i due amminoacidi in basso tislidina
distale e valina disiale) toccano l'ente, ma non sono legati a esso. L'istidina prossimale è la
principale via di comunicazione tra Teme e il resto della molecola. Nello stato deossigenalo,
il ferro sporge sopra la porfirina e non può ritornare a una posizione centrale per la repulsio-
ne tra un angolo dell'islidtna prossimale e uno formalo dagli alomi di azoto della porfirina.
se mi sa tu razione e tanto più piccola è la
costante di equilibrio. L'inclinazione di
45 gradi rimane immutata, ma la minor
affinità per l'ossigeno fa spostare la linea
verso destra, mentre una maggiore affini-
tà la fa spostare verso sinistra.
Se lo stesso esperimento viene effettuato
con sangue o con una soluzione di emoglo-
bina, si ottiene un risultato totalmente di-
verso. All'inizio la curva sale dolcemente,
quindi si incUna di più e. alla fine, quando si
avvicina a quella della mioglobina, si ap-
piattisce. Questa strana forma sigmoide
significa che le molecole prive di ossigeno
(della desossiemoglobina) sono riluttanti
nell 'assumere la prima molecola di ossige-
no, mentre l'appetito per l'ossìgeno viene
loro mangiando. Per contro, la perdita di
ossigeno da parte di alcuni emi fadiminuire
negli altri l 'affinità per questo gas. La distri -
buzione dell'ossigeno tra le molecole di
emoglobina in soluzione segue quindi la
parabola biblica dei talenti: «...poiché a
chiunque ha sarà dato e quindi avrà con
sovrabbondanza; a chi invece non ha sarà
tolto anche ciò che ha». Questo fenomeno
fa pensare che vi sia una qualche comuni-
cazione tra gli emi in ogni molecola e i
fisiologi l'hanno pertanto chiamato «inte-
razione eme-eme».
Una migliore immagine del meccani-
smo che è alla base di questa interazione si
ricava da un grafico in scala logaritmica. In
questo caso, la curva di equilibrio comin-
cia con una linea retta, inclinata di 4 5 gradi
rispetto agli assi, perché le molecole di
ossigeno sono inizialmente così scarse che
solo un eme per molecola ha la probabilità
di riuscirne a catturare una; tutti gli emi
agiscono allora indipendentemente come
se si trattasse di mioglobina e non di emo-
globina. Quando fluisce più ossigeno, i
quattro emi di ogni molecola cominciano a
interagire e la curva diventa più ripida. La
tangente allasua massima pendenza ènota
come coefficiente di Hill (n), dal nome del
fisiologo inglese A. V. Hill, che per primo
ha tentato un'analisi matematica dell'e-
quilibrio per l'ossigeno. Il valore normale
del coefficiente di Hill è circa 3; senza
l'interazione eme-eme esso si riduce a 1.
La curva termina con un altro tratto che ha
una pendenza di 45 gradi rispetto agli assi:
l'ossigeno è infatti diventato ormai così
abbondante che solo l'ultimo eme di ogni
molecola ha la probabilità di rimanere
libero; tutti gli emi in soluzione reagiscono
di nuovo indipendentemente.
Gli effetti cooperativi
Il coefficiente di Hill e l'affinità dell'e-
moglobina per l 'ossigeno dipendono dalla
concentrazione di parecchi fattori chimici
nei globuli rossi del sangue: protoni
(atomi di idrogeno privi di elettroni, la cui
concentrazione può essere misurata come
pH ), anidride carbonica (CO2), cloroioni
(Cl~ ) e un composto dell'acido glicerico
con il fosfato, chiamato 2.3-difosfoglice-
rato (DPG). Aumentando la concentra-
zione di uno qualsiasi di questi fattori, la
curva di equilibrio per l'ossigeno si sposta
verso destra, verso livelli più bassi di affi-
nità per l'ossigeno; assume, inoltre, una
78
COOH
La subunilà dell'emoglobina iwjlltl di un gruppi) emc (in colore), inglobato in una catena pò-
lipcplidica. Questa è una sequenza lineare di resìdui amminoacidici, ognuno dei quali è rappresen-
tato nella figura da un pallini) il quale segna la posi/ione dell'atomo di carbonio principale (air» ).
I .1 catena ha inizio con un gruppo amminico (Nil.?> e termina con un gruppo carbossilìco (COOH ).
La maggior parte del polipeplidc si avvolge e forma segmenti a elica. O u esto diagramma di
una subunilà di emoglobina di cavallo è stalo ottenuto al calcolatore da l'eldmann e Porler.
forma più sigmoide. Anche un aumento
della temperatura la sposta verso destra,
ma in questo caso ha una forma meno
sigmoide. Fatto curioso, nessuno di questi
fattori, con l'eccezione della temperatura,
influisce sulla curva di equilìbrio per l'os-
sigeno della mioglobina. benché la sua
chimica e la sua struttura siano stretta-
niente connesse con quelle delle singole
catene dellemoglobina.
Qual e lo scopo di questi straordinari
effetti? Perché non basta che i globuli rossi
contengano un semplice trasportatore per
l'ossigeno come èia mioglobina? Un simile
trasportatore non permetterebbe a una suf-
ficiente quantità di ossigeno, presente nel
globulo rosso, di essere scari caia nei tessuti,
né permetterebbe a una sufficiente quanti-
ludi anidride carbonica di essere trasporta-
ta ai polmoni attraverso il plasma sangui-
gno. Nei polmoni, la pressione parziale del-
l'ossigeno è di circa 100 millimetri di mer-
curio, il che basta a saturare l'emoglobina
con l'ossigeno, se la curva di equilibrio è
sigmoide o iperbolica. Nel sangue venoso,
la pressione è dì circa 35 millimetri di mer-
curio; a questi valori.se la curva fosse iper-
bolica, meno del 1 per cento dell'ossigeno
trasportato sarebbe ceduto, per cui un
uomo asftssierebbe anche se respirasse
normalmente.
Quanto più pronunciata è la forma
sigmoide della curva di equilibrio, tanto
maggiore è la frazione di ossigeno che può
essere liberata. Parecchi fattori cospirano
in questo senso. L'ossidazione delle so-
stanze nutritizie da parte dei tessuti libera
acido lattico e acido carbonico, acidi che a
loro volta liberano protoni, i quali sposta-
no la curva a destra verso una minore
affinità per l'ossigeno e la rendono di
forma più sigmoide. Un altro importante
regolatore dell'affinità per l'ossigeno è il
DPG. Il numero di molecole di questo
composto, presenti nel globulo rosso, è
all'incircalo slesso del numero di moleco-
le dì emoglobina: 280 milioni. Probabil-
mente esso rimane costante durante la
circolazione. Invece, una carenza di ossi-
geno ne aumenta la produzione, il che
favorisce la liberazione di una maggior
quantità di questo gas. Con una tipica
curva sigmoide, quasi la metà dell'ossige-
no trasportato può essere ceduto ai tessu-
ti. Il feto umano ha un'emoglobina con le
stesse catene alfa dell'emoglobina dell'a-
dulto, ma diverse catene beta, ciò gli im-
partisce una minore affinità per l'ossigeno
e facilita il trasferimento di questo gas
dalla circolazione materna a quella fetale.
Il monossido di carbonio (CO) sì com-
bina con il ferro dell'ente nello stesso sito
dell'ossigeno, ma la sua affinità per esso è
1 50 volte più grande. Pertanto sposta
l'ossigeno, il che spiega perche è così tos-
sico. Nei fumatori accaniti, fino al 20 per
cento dei siti dì combinazione per l'ossi-
geno possono essere bloccati da questo
composto, per cui meno ossigeno viene
trasportato dal sangue. Il monossido di
carbonio ha, inoltre, un altro effetto più
sinistro: la combinazione con esso di uno
dei quattro ermi, in una molecola di emo-
globina qualsiasi, fa aumentare l'affinità
per l'ossigeno dei restanti tre e mi, grazie
all'interazione eme-eme. La curva di
equilibrio per l'ossigeno si sposta quindi
verso sinistra, il che fa diminuire la fra-
zione di ossigeno trasportato che può es-
sere ceduto ai tessuti.
Se i protoni fanno diminuire l'affinità
per l'ossigeno dell'emoglobina, per la
legge di azione e reazione l'ossigeno fa
abbassare l'affinità dell'emoglobina per i
protoni. L'ossìgeno liberato fa sì che l'e-
moglobina si combini con t protoni e vice-
versa. Di questi, due sono catturati per
ogni quattro molecole di ossigeno libera-
to e due sono liberati quando quattro
molecole di ossigeno vengono fissate.
Quest'azione reciproca è nota con il nome
di «effetto Bohr» ed è la chiave per com-
prendere il meccanismo dì trasporto del-
l'anidride carbonica. L'anidride carboni-
ca prodotta dai tessuti che respirano è
troppo poco solubile per essere trasporta-
ta come tale, ma può esserlo resa di più,
facendola combinare con l'acqua per dare
uno ione bicarbonato e un protone. Tale
reazione si rappresenta così:
CO: + H:0
HCOi + m
In assenza di emoglobina si arresterebbe
subilo per un eccesso di protoni prodotti,
come un fuoco che si estingue quando il
camino è bloccato. La desossiemoglobina
agisce da lampone, assorbendo i protoni e
spostando l'equilibrio verso la formazio-
ne di bicarbonato solubile. Nei polmoni il
processo si inverte: poiché in essi l'ossi-
geno si lega all'emoglobina, i protoni
sono eliminati. Ciò allontana allora l'ani-
dride carbonica dalla soluzione, così che
essa può venire espirata dai polmoni. La
reazione tra l'anidride carbonica e l'acqua
è catalizzala dall'anidrasi carbonica, un
enzima presente nei globuli rossi del san-
gue. Questo enzima accelera la reazione
fino a una velocità di circa 500 000 mo-
lecole al secondo: una delle più rapide
tra tutte le reazioni biologiche che ci
siano note.
C'è un secondo ma meno importante
meccanismo per il trasporto dell'anidride
carbonica. Questo gas si lega più facil-
mente alla desossiemoglobina che all'os-
sicmoglobina. per cui tende a essere fissa-
to quando l'ossigeno viene liberato e vi-
ceversa a essere liberalo quando l'ossige-
no viene fissato. I due meccanismi di tra-
sporto dell'anidride carbonica sono anta-
gonisti: per ogni molecola di anidride
carbonica legata alla desossiemoglobina,
vengono liberati uno o due protoni, che si
oppongono alla conversione delle altre
molecole di anidride carbonica in bicar-
bonato. Protoni dolali dì carica positiva,
entrando nel globulo rosso, portano con
toro i cloroioni, dotali di carica negativa;
anche questi ioni si legano più facilmente
alla desossiemoglobina che non all'os-
siemoglobina. I! DPG viene sintetizzato
nel globulo rosso e non riesce a passare
all'esterno attraverso la membrana. Si
lega fortemente alia desossiemoglobina e
solo debolmente al l'ossi emoglobina.
L'interazione eme-eme e l'azione reci-
proca tra l'ossigeno e gli altri quattro li-
gandi sono note collettivamente come
effetti cooperativi dell'emoglobina. La
loro scoperta, avvenuta grazie a tutta una
serie di abili fisiologi e biochimici, ha ri-
chiesto più di mezzo secolo e ha fatto
sorgere molte controversie. Nel 1938,
Felix Haurowitz dell'Università Karlova
di Praga compì un'altra osservazione di
vitale importanza: scopri che la desossie-
moglobina e l'ossìemoglobina formano
cristalli differenti, come se fossero so-
stanze chimiche diverse, il che sottintende
che l'emoglobina non sia un serbatoio di
ossigeno, bensì una specie di polmone
molecolare, in quanto cambia struttura
ogniqualvolta fissa l'ossigeno o lo libera.
La teoria dell' allosteria
La scoperta di un'interazione tra i quat-
tro emi rendeva ovvio i! fatto che essi si
toccassero, ma nella scienza ciò che 6 ov-
vio non è necessariamente vero. Quando,
alia line, la struttura dell'emoglobina fu
risolta si trovò infatti che gli emi erano
situati in sacche isolate, alla superficie
delle subunità. Senza essere in contatto
ira loro, come poteva uno di essi percepi-
re se davvero gli altri si erano combinati
con l'ossigeno? E come poteva un insieme
così eterogeneo di agenti chimici - proto-
ni, cloroioni, anidride carbonica e difo-
sfogiicerato - influenzare in modo simile
la curva di equilibrio per l'ossigeno? Non
sembrava plausibile che uno qualsiasi di
questi agenti potesse legarsi direttamente
agli emi e che tulli potessero legarsi a uno
qualsiasi degli altri siti comuni, ma ecco che
di nuovo risultò che eravamo in errore. Per
aumentare il mistero, nessuno di questi
agenti influiva sull'equilibrio per l'ossigeno
della mìoglobina o delle subunità isolate di
emoglobina. Sappiamo oggi che tutti gli
effetti cooperativi scompaiono se la mole-
cola dell 'emoglobina viene semplicemente
spaccata in due, ma questa indicazione di
capitale importanza venne allora trascura-
la. Come Agata Christic. la natura per
rendere il racconto più eccitante nonsvelòil
mistero fino all'ultimo.
Esistono due modi, nella scienza, per
uscire da un impasse: sperimentare o pen-
sare. Per temperamento, forse, io speri-
mentavo, mentre Jacques Monod pensava.
Alla fine, i nostri cammini si congiunsero.
La vita scientifica di Monod era stata
dedicata alia ricerca dei regolatori di cre-
scita dei batteri. La chiave per risolvere il
problema sembrava essere la regolazione
della sintesi e dell'attività catalizzatrice
degli enzimi. Monod e Francois Jacob
avevano scoperto che l'attività di certi
enzimi viene controllata iniziandone o
terminandone la sintesi mediante un in-
tervento a livello dei geni. Essi stessi e
altri ricercatori trovarono in seguito una
seconda modalità di regolazione, che
sembrava innescare o disinnescare diret-
tamente gli enzimi.
Nel I 965, Monod e Jean-Pierre Chan-
BETA,
ALFAi
ALFA.
BETA?
ALFA.
ALFAs
BETAi
La molecola completa dell'emoglobina consta di quattro subunilà. ognuna delle quali consiste di
una catena polipeptidica e di un emc. Esistono due tipi di subunilà, designate come alfa (in grigio
chiaro) e beta (in grigio scuro), ed esse hanno differenti sequenze di residui amminoacidici, ma
strutture tridimensionali simili. La catena beta ha anche una breve elica in più. Le quattro subunilà,
viste qui in due modi diversi, sono disposte ai vertici di un tetraedro attorno a un asse di simmetria
binaria. Ogni ente (in colore) è situato in una sacca separata sulla superfìcie della molecola.
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PRESSIONE PARZIALE DI OSSIGENO (MILLIMETRI DI MERCURIO)
Le curve di equilibrio misurano l'affinità per l 'ossigeno dell'emoglobina e della più semplice
molecola di mioglobina. La mioglobina, una proteina dei muscoli, ha un solo gruppo cme e una
catena pulipeptidica e assomiglia a una subunità dell'emoglobina. L'ordinata dà la quantità di
ossigeno legato a una di queste proteine, espressa come percentuale della quantità totale che può
legarsi. L'ascissa misura la pressione parziale di ossigeno in una miscela di gas, con cui la soluzione
raggiunge I equilibrio. Per la mioglobina (in nera), la curva di equilibrio è un'iperbole. Questa
proteina assorbe prontamente l'ossigeno, ma si satura a una bassa pressione. La curva per
l'emoglobina (in colore) è sigmoide: all'inizio, infatti, l'emoglobina è riluttante ad assumere
ossigeno, ma la sua affinità aumenta a mano a mano che si lega a esso. Alla pressione che
l'ossigeno ha nelle arterie, ambedue le molecole sono quasi sature, ma alla pressione che ha nelle
vene, la mioglobina cederebbe soltanto il 10 per cento circa del proprio ossigeno, mentre
l'emoglobina ne cede grosso mudo la metà. A qualsiasi pressione parziale, la mioglobina mostra
una maggiore affinità dell'emoglobina, la quale lascia quindi passare il gas dal sangue ai tessuti.
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01
La forma sigmoide della curva di equilibrio per l'ossigeno appare più pronunciata in un grafico in
scala logaritmica. In questo caso la curva per la mioglobina diventa una linea retta con un'inclina-
zione di 45 gradì rispetto agli assi. La curva per l'emoglobina inizia e termina con linee rette, dette
asintoti, aventi la stessa inclinazione. Le loro intercetle con la linea orizzontale, dove le concentra
zionì della desossiemoglobina e dell'ossiemoglobina sono uguali, danno le costanti di equilibrio per la
prima e per l'ultima molecola di ossigeno che si combina con l'emoglobina. Nell'interpretazione
allosterica della curva, sono queste rispettivamente le costanti di equilibrio della struttura 1 ih \v
della strutturar? [h .-, ). Qui le due costanti sono rispettivamente .vii e 0,3, indicando cosi che l'affi-
nità per l'ultimo ossigeno legato è 100 volte superiore a quella per il primo. Il suddetto rapporto
determina l'energia libera dell'interazione eme-eme, che e una misura della influenza esercitata
dalla combinazione cun l'ossigeno di uno qualsiasi dei quattro cmi sull'affinità per l'ossigeno
dei rimanenti emù Se l'inìzio e la fine della curva non possono essere misurati con accuratezza,
la massima pendenza, nota come coefficiente di Hill, indica il grado de II Interazione eme-eme.
geux dell'Istituto Pasteur di Parigi, assie-
me a Jeffries Wyman dell'Università di
Roma, riconobbero che questi ultimi en-
zimi hanno ce rie caratteristiche che li rial-
lacciano all'emoglobina. Sono tutti costi-
tuiti di parecchie subunità. per cui ogni
molecola include parecchi siti con la stes-
sa attività catalitica, proprio come l'emo-
globina include parecchi emi che legano
l'ossigeno e mostrano tutti degli effetti
cooperativi simili. Monod e i suoi colleghi
sapevano che la desossiemoglobina e l'os-
siemoglobina hanno strutture differenti,
il che ha fatto sospettare loro che anche
quegli enzimi esistessero in due (o perlo-
meno due) strutture. Essi postularono
che queste dovessero distinguersi per la
disposizione delle subunità e per il nume-
ro e la forza dei legami esistenti tra esse.
Se vi sono soltanto due strutture in al-
ternativa, quella con legami più scarsi e
più deboli tra le suhunità sarebbe libera di
sviluppare pienamente la sua attività cata-
litica (o affinità per l'ossigeno). Pertanto
ostata denominata R, cioè rilassala. Tale
attività sarebbe invece smorzata nella
struttura con legami più numerosi e più
forti e questa forma è detta 7 , cioè tesa. 1 n
una o nell'altra di queste strutture, l'atti-
vità catalitica (o affinità per l'ossigeno) di
tutte le subunità che costituiscono la mo-
lecola dovrebbe rimanere uguale. Questo
postulalo di simmetria ha fatto sì che le
proprietà degli enzimi allosterici potesse-
ro essere descritte con una chiara teoria
matematica, avente soltanto tre variabili
indipendenti: K T e K&. che nell'emoglo-
bina denotano le costanti di equilibrio per
l'ossigeno rispettivamente delle strutture
R e 7, e L. che corrisponde al numero di
molecole della struttura T diviso per il
numero di molecole nella struttura R,
essendo questo rapporto misuralo in as-
senza di ossigeno. 11 termine allosteria
(dalla radice greca àlias, altro, e Stéreos,
solido) venne conialo perché la molecola
del regolatore che innesca o disinnesca
l'attività dell'enzima ha una struttura di-
versa da quella della molecola, la cui tra-
sformazione chimica viene catalizzata
dall'enzima.
Questa ingegnosa teoria ha reso enor-
me me più semplice l'interpretazione de-
gli effetti cooperativi. 11 progressivo au-
mento dell'affinità per l'ossigeno, illustra-
ta dalla parabola dei talenti, non emerge,
dunque, da una qualsiasi interazione di-
retta tra gli emi. ma dalla commutazione
dalla struttura T, con bassa affinità, al-
la struttura H, con affinità elevata. Que-
sta irasform azione dovrebbe aver luogo
quando la seconda molecola di ossigeno si
lega, oppure quando si lega la terza. Gli
agenti chimici che non si legano agli emi
potrebbero abbassare l'affinità per I'osm-
geno. spostando l'equilibrio tra le due
strutture verso la forma T, il che farebbe
in modo che la transizione alla forma R
avvenisse, ad esempio, dopo che tre mo-
lecole di ossigeno, e non due soltanto, si
sono legate. In termini di teoria allosteri-
ca. questi agenti farebbero aumentare L.
la frazione di molecole della struttura T.
senza alterare le costanti di equilìbrio per
l'ossìgeno, K T e K K . delle due strutture.
MIOGLOBINA
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20 100
PRESSIONE PARZIALE DI OSSIGENO (MILLIMETRI DI MERCURIO)
30
L'interazione eme-eme facilita la liberazione dell'ossigeno da parte
dell'emoglobina, ma non si osserva nella mioglobina. In questa figura le
proteine sono rappresentate in grigio nello stato deossigenato e in
colore quando sono ossigenale; si hanno quattro volte più molecole di
mioglobina che di emoglobina, ma un numero uguale di siti di legame.
In mancanza di ossigeno (a), quasi tutti i siti di legame sono vacanti.
Con l'aumentare della pressione dell'ossigeno (b), la mioglobina assu-
me l'ossigeno più rapidamente, mentre quando la pressione raggiunge
quella esistente nei polmoni (è), ambedue i trasportatori si avvicinano
alta saturazione. La (list in /ione che si rivela tra le due molecole diventa
POLMONI
più evidente quando la pressione dell'ossigeno scende a un livello tipico
d el sistem a de i ca pilla ri ( d ) . L 'equìi ìbrio de II a m iog lo b in a p er l 'ossigeno
si modifica dì poco, mentre l'emoglobina perde circa il 45 per cento
dell'ossigeno che porta. Questa differenza può essere spiegata con
l'effetto amplificatore dell'interazione eme-eme. Poche molecole di
emoglobina portano uno o due atomi di ossigeno: se una molecola di
emoglobina ne prende uno solo, tende ad andare oltre e ad acqui-
sirne quattro; se una molecola satura ne perde uno, altri due o tre
atomi di ossigeno sono in genere eliminati. I dati relativi all'emoglobi-
na sono ricavali da curve calcolate da .fovee M. Baldv»in di Cambridge.
TESSUTO MUSCOLARE
Questo motore alternativo serve come modello esplicativo degli effetti
cooperativi dell'emoglobina, Il pistone è spinto verso sinistra dall'ener-
gia che si libera nella reazione dell'emoglobina con l'ossigeno (O: i e
verso destra dai protoni (II' ( e dall'anidride carbonica (CO), libe-
rati dai tessuti che respirano. II difosfogliccrato (DPG) e i cloroioni
(CI ) viaggiano in compagnia dei protoni e dell'anidride carbonica.
82
83
GRUPPO EME
OSSIGENO
SUBLIMITÀ
DI EMOGLOBINA
STRUTTURA T
STRUTTURA ft
La teoria allosterica spiega l'interazione e me -e me senza postulare alcuna comunicazione diretta
tra i vari gruppi ente. Si ammette che la molecola dell'emoglobina abbia due strutture in alternati-
va, designate con T, per lesa, e R, per rilassata. Nella struttura T, le subunità delia molecola sono
strette assieme e si oppongono alla pressione di molle: la ristrettezza delle loro sacche non
permette l'ingresso dell'ossigeno. Nella .struttura li. la mona si è allentata e le sacche per gli enti
sono ora sufficientemente ampie da permettere facilmente l'ingresso dell'ossigeni». L'assunzione
di questo da parte della struttura 7 sottoporrebbe le morse a una tensione fino a quando esse si
aprirebbero tutte e lascerebbero che la molecola si rilasci, assumendo la strutturale. La perdila dì
ossigeno restringerebbe di nuovo le sacche degli cmi e la molecola tornerebbe alla struttura T.
Le strutture atomiche
Anche le mie ricerche furono influenza-
te dalla scoperta di Haurowitz che l'ossie-
moglobina e la desossiemoglobina hanno
strutture diverse. A poco a poco mi resi
conto che non sarem mo mai riusciti a spie -
gare le intricate funzioni dell'emoglobina
senza risolvere le strutture di ambedue le
forme cristalline a un livello tanto elevato
da rivelare i dettagli atomici.
Nel 1970, trentatre anni dopoché ave-
vo ottenuto le prime immagini di diffra-
zione dei raggi X per l'emoglobina, tale
stadio fu finalmente raggiunto. Hilary
Muirhead. Joyce M. Baldwin. Gwynne
Goaman e io ottenemmo una buona
mappa di distribuzione atomica non per
l'ossienuiglobina. ma per una sostanza
molto affine, la me te mogi obi na di caval-
lo, in cui il ferro è trivalente e il posto
dell'ossigeno È occupato da una molecola
d'acqua. In seguito, William Ballon e io
stesso ottenemmo una mappa anche per
la desossiemoglobina di cavallo, mentre
Muirhead e Jonathan Greer l'ottennero
per la desossiemoglobina umana. Oueste
mappe servirono da guida per la costru-
zione di tre modelli atomici, ciascuno dei
quali era una vera giungla di bacchette di
ottone e di raccordi di acciaio: edifici di
una complessità labirintica, con un dia-
metro di quasi 1 ,2 metri, tenuti su da una
impalcatura di ottone. All'inizio era dav-
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STRUTTURA T
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STRUTTURA H
La transizione dalla struttura 7 alla struttura R è più probabile a mano a mano che ciascun eme
si lega con l'ossigeno. In questo modello, i legami salini, che uniscono le subunilà nella struttura
/ , si rompono progressivamente con l'aggiunla dell'ossigeno e quelli che non si sono ancora rotti
risultano indeboliti (tratti ondulati). La transizione da T a R non avviene piti dopo che un nu-
mero fisso di molecole di ossigeno si è legalo, mentre diventa più probabile a ogni successivo
atomo di ossigeno che si lega. La transizione Ira le dae frullare e influen/ala ila parecchi fal-
lori. Ira cui protoni, anidride carbonica, cloroioni. 2,3-diFosioglicerato. Quanto più elevala è
la loro concentrazione, tanto più ossigeno deve legarsi per innescare la transizione. Non so-
no rappresentate le molecole compi età mente sature nella struttura / e completamente deos-
sigenate nella struttura R perché sono troppo instabili per esistere in quantità significativa.
vero difficile scorgere i singoli alberi nella
foresta.
In termini allosterici, il nostro modello
della metemoglobina rappresentava la
struttura R e i nostri due modelli di desos-
siemoglobina la struttura 7. Li sondam-
mo accanitamente per trovare degli indizi
che chiarissero il meccanismo allosterico,
ma a tutta prima non ne potemmo scorge-
re nessuno perché la struttura generale
delle subunilà era simile in tutti e tre. Le
catene alfa includevano sette segmenti a
elica e le beta otto, interrotti da gomiti e
da segmenti non a elica. Ogni catena av-
volgeva il proprio eme in una profonda
sacca ed esso sporgeva solo con il bordo,
dove si trovavano due catene laterali di
acido propionico della porfirina. che si
immergevano nell'acqua circostante.
L'ente è in contatto con i 6 catene late-
rali di amminoacidi, appartenenti a sette
segmenti della catena. La maggior parte
sono idrocarburi; le due eccezioni sono
rappresentate dai residui di istidina legati
a II e me. situa ti su ognilaio di questo e con
una parte importante nel legare l'ossige-
no. La catena laterale dell'istidina termi-
na con un anello imidazolico, costituito da
tre atomi di carbonio, due di azoto e quat-
tro o cinque di idrogeno. Uno dei due
residui di istidina. detto istidina prossima-
le, forma un legame chimico con il ferro
dell'ente (si vedano le illustrazioni alle
pagine 77 e 78}. L'altro, detto istidina
distale , si trova sul lato opposto dcll'cme , in
contatto con esso e con l'ossigeno legato,
senza formare però un legame chimico co-
valente né con l'uno né con l'altro. A parte
queste due istidine. la maggior pane delle
catene laterali all'interno delle subunità, ad
esempio quelle vicino agli emi, sono -come
già detto - costituite da idrocarburi. L'e-
sterno della molecola di emoglobina è tap-
pezzato da catene laterali di tutti i tipi, ma
predominano quelle dotate dì carica elet-
trica e quelle dipolari. Pertanto, ogni subu-
nità ha un aspetto ceroso all'interno e sapo-
noso all'esterno, il che la rende solubile in
acqua, ma impermeabile a essa.
Le quattro subunità sono disposte ai
vertici di un tetraedro attorno a un asse dì
simmetria binaria. Dato che un tetraedro
ha sei spigoli, vi sono sei aree di contano
tra le subunità. La simmetria binaria ne
lascia quattro ben distinte, per circa un
quinto dell'intera superficie delle subuni-
tà. Il 60 per cento di questa è fatta dì
contatti alfai-beiiii e alfa; -bela;, ciascu-
no con circa 35 catene laterali di ammi-
noacidi, tenute rìgidamente unite da
17-19 legami a idrogeno.
Questi si stabiliscono Ira gli atomi di
azoto (N) e di ossigeno (O), attraverso un
atomo di idrogeno intermedio (H). per
esempio N-H...N. N-H...O. O-H...O. op-
pure O-H.-.N. L'idrogeno è unito da un
legame forte all'atomo alla sua sinistra e da
un legame debole a quello alla sua destra.
I numerosi legami a idrogeno ira le
subunità a [fai -beta 1 e a Ila: -beta: fanno
aderire cosi intensamente queste subuni-
là tra loro che il contatto viene alterato
diffìcilmente dalla reazione con l'ossige-
no. Le subunità si muovono come corpi
rigidi nella transizione dalla struttura T
84
ASSE DI SIMMETRIA
7.5 GRADI
La ridistribuzione delle subunilà durante la transizione dalla struttura / alla strutturai! consiste
principalmente in una rotazione di una coppia di subunilà nei riguardi dell'altra coppia. Ogni
catena alta sì lega fortemente a una catena beta e i dimeri formali si muovono come corpi rigi-
di. Se un dimero viene tenuto fisso, l'altro gira di 15 gradi attorno a un asse situato fuori centro
e si sposta leggermente lungo di esso. La simmetria binaria della molecola e conservata, ma Tas-
se di simmetria ruota di 7.5 «rudi. Lo schema è basato su un disegno di J. M. BaJdwin.
STRUTTURA T
STRUTTURA R
TIROSINA
Il contatto tra i due dimeri ha due conformazioni stabili, una per la struttura T e l'altra per la
struttura fi . Nella 'transizione tra queste due strutture, i dìmeri passano da una posizione all'altra.
Essi sono resi stabilì da serie in alternativa di legami a idrogeno, formati tra catene laterali di
amminoacidi, sulle Tacce dei dimeri che si trovano l'uno di fronte all'altro. I due legami che
compaiono qui sono stati i primi a essere scoperti dalla cristallografia a raggi X. Nel 1975. Lesile
Fung e Chica Ho dell'Università di Pittsburgh hanno dimostralo la toro presenza in soluzione. Ciò
prova che le due strutture trovate net cristalli sono le stesse presenti nei globuli rossi nel sangue.
alla struttura R. D'altra parte, il contatto
alfa i -he ta snella struttura R ha un aspetto
ben diverso da quello della struttura 7".
Esso include un numero di catene laterali
minore rispetto a alfa i -belai ed è proget-
tato in modo che agisca come un interrut-
tore a scatto, con due posizioni stabili in
alternativa, ciascuna connessa da una dif-
ferente serie di legami a idrogeno. All'ini-
zio ci chiedemmo se questi legami erano
più foni e più numerosi nella struttura 7"
dì quanto non lo fossero nella struttura R.
ma non sembrava che fosse così.
Dove erano allora quei legami sopran-
numerari tra subunità delta struttura T,
che la teoria allosterica postulava? Li
scoprimmo alle estremità delle catene
polipeptidichc. Nella struttura T, l'ultimo
residuo amminoacidico di ogni catena
forma legami salini con le subunità vicine,
(Un legame salino si stabilisce tra un ato-
mo di azoto, dotato di carica positiva, e un
atomo di ossigeno, dotato di carica nega-
tiva.) Nelle nostre mappe della struttura
fi, gli ultimi due residui di ogni catena
apparivano poco chiari. Dapprincipio
ebbi il sospetto che si trattasse di un erro-
re, ma mappe più belle, ottenute dai miei
colleghi Elizabeth Heidner e Robert
Ladner, ci convinsero invece che i residui
terminali sono meno visibili perché non
sono più legati e quindi sono liberi di on-
deggiare come canne al vento.
Dal punto di vista geometrico, la tran-
sizione tra le due strutture consiste in un
movimento dì rock-and-roli del dimero
alfa i -belai rispetto al dimero alfa:-betaj.
Baldwin ha dimostrato che, tenendo fisso
un dimero, il movimento dell'altro si può
rappresentare con una rotazione di circa
1 5 gradi attorno a u n asse opportunamen -
te orientato e con un piccolo spostamento
lungo questo stesso asse. Il movimento si
realizza grazie a piccoli cambiamenti nel-
la struttura interna della subunità, cam-
biamenti che accompagnano il legarsi e il
dissociarsi dell'ossigeno.
La finizione dei legami salmi
I legami salini alle estremità delle cate-
ne polipeptidichc sono chiaramente quei
legami soprannumerari tra subunità della
struttura T, che erano stati previsti da
Monod, Changeux e Wyman, Essi spie-
gano anche l'influenza sulla curva di equi-
librio per l'ossigeno di tutti i fattori chimi-
ci che ci aveva resi perplessi. Tutti gli
agenti che abbassano l'affinità per l'ossi-
geno lo fanno o rafforzando i già esistenti
legami salini nella struttura T o aggiun-
gendone di nuovi. Non tutti questi legami
soprannumerari, tuttavia-, si stabiliscono
tra le subunità; alcuni sono all'interno di
esse e si oppongono ai lievi cambiamenti
strutturali che le subunità subiscono
quando si combinano con l'ossigeno.
1 legami salini spiegano sia l'abbassa-
mento dell'affinità per l'ossigeno provo-
calo dai protoni sia l 'assunzione dì proto-
ni in seguito al distacco dell'ossigeno. 1
protoni fanno aumentare il numero dì
atomi di azoto che hanno una carica posi-
tiva. Per esempio, l'anello imidazolico
dell'amminoacido istidina può esistere in
due stati: senza carica, quando solo uno
dei suoi atomi di azoto porta un protone,
e con carica positiva, quando ambedue gli
atomi dì azoto portano un protone. In
soluzione neutra, ogni residuo di istidina
h;i una probabilità del 50 per cento di
avere carica positiva. Quanto più acida è
la soluzione, o in altre parole quanto più
alta è la concentrazione dei protoni, tanto
più elevata è la possibilità che un residuo
di istidina acquisisca una carica positiva e
formi un legame salino con un atomo di
ossigeno che ha carica negativa. Per con-
tro, la transizione dalla struttura fi alta
struttura T porta gli atomi di ossigeno,
dotati di carica negativa, in prossimità di
un atomo di azoto senza carica e diminui-
sce così il lavoro che deve essere compiu-
to per dare a quest'ultimo una carica posi-
tiva. Come risultato, un residuo di istidi-
na. che non ha più del 50 per cento di
probabilità di avere carica positiva nella
mi ottura fi, ha un "(> per cento di probabi-
lità di averla nella struitura 7, per cui più
protoni sono prelevati dalla soluzione
quando l'emoglobina ha la struttura T.
L'emoglobina include un'altra serie di
gruppi che si comportano allo stesso
mudo: sono i gruppi amminici all'inizio
delle catene polipeptidichc. ma i loro
atomi di azoto assumono protoni solo se
la concentrazione dell'anidride carbonica
e bassa: se è alta, essi perdono probabil-
mente i protoni e si combinano invece con
l'anidride carbonica formando un compo-
sto eàrboamminico. Nel 1934, i fisiologi
inglesi F, J. W. Roughton e J. K. W. Fer-
guson avevano avanzalo l'ipotesi che
questo meccanismo svolgesse una parte
nel trasporto dell'anidride carbonica, ma
la loro proposta venne accolta con scetti-
cismo fino a quando. 35 anni più tardi,
non fu confermata dal mio collega John
Ktlmartin, che lavorava con Luigi Rossi-
Bernardi all'Università di Milano. Fui lie-
to che Roughton, al quale andava in fon-
do addossata la paternità del loro esperi-
mento, fosse ancora vivo per vedere ven-
dicate le sue idee. Successivamente il mio
collega Arthur R. Arnonc, che oggi lavo-
ra alla Università dello Iowa. mostrò che,
nella struttura T, quei gruppi carbammi-
nici, dotati di carica negativa, formano
legami salini con i gruppi della globina,
dotati di carica positiva, e pertanto sono
più stabili di quanto lo stano nella struttu-
ra R. Questo risultato spiega perché la
dcsossiemoglobina abbia, per l'anidride
carbonica, un'affinità più elevata dell'os-
siemoglobina e viceversa perché l'anidri-
de carbonica faccia diminuire l'affinità
dell'emoglobina per l'ossigeno.
Le posizioni occupate nell'emoglobina
dai cloroioni sono ancora incerte. Arnone
ha localizzato nella struttura 7 dei siti in
cui si legano altri ioni negativi e che po-
trebbero anche essere i sili di legame per i
cloroioni. In questo caso anche i cloroioni
avvolgerebbero la struttura T formando
legami salini supplementari.
La differenza più manifesta tra le strut-
ture T e R è l'ampiezza dello spazio che
esiste tra le due catene beta. Nella struttu-
ra T le due catene sono separate da un
ampio spazio e questo è tappezzato da
ELICA F
OSSIGENO
Il meccanismo che fa scattare la transizione dalla struttura T alla K è un movimento del ferro
dcll'cme nel piano dell'anello porfirinico. Nella struttura T (linee in nero), il centro dell'atomo di
ferro è a circa 0,06 nanometri sopra il piano. Quando la molecola assume la struttura li (linee in
colore), il ferro si muove nel piano e tira con sé l 'istidina prossimale e l'elica /■'. Una volta che e
disceso net piano, può facilmente legarsi a una molecola di ossigeno. Nella transizione inversa (da
li a 7 ), esso è spinto fuori dal piano e l'ossigeno non può seguirlo perche urta contro gli atomi di
azoto della pnrfirina. Pertanto il legame tra ferro ed eme si indebolisce e, in genere, si rompe.
Questi movimenti vengono trasmessi ai contatti Ira le subunità e promuovono le transizioni Ira
strutture / eli. Lo schema si basa su un disegno di J, Cresswcll dell'University College di Londra.
catene laterali di amminoacidi, dotate di
carica positiva. Esso è fatto in modo da
dare ricetto alla molecola dei 2,3-difosfo-
glicerato e da compensare le cariche ne-
gative, per cui il legame con questo com-
posto aggiunge un'altra serie di legami
salini alla struttura T. Nella struttura R, Io
spazio si restringe e il DPG fuoriesce.
// meccanismo a scatto
Come può il fatto che gli atomi di ferro
dell 'e me si combinino con l'ossigeno far
scattare la transizione delle subunità dalla
struttura 7 alla struttura li? Confrontata
con !a molecola dell'emoglobina, una
molecola di ossigeno è simile a una pulce
che faccia saltare un elefante. Ci si può
anche chiedere, al contrario, come può la
struttura T impedire l'assunzione di ossi-
geno? Quale differenza esiste, a livello
dell'eme, tra le due strutture . per provo-
care un cambiamento di parecchie centi-
naia di volte nell'affinità per l'ossigeno?
Neirossiemoglobina ii ferro dell'eme è
legato a sei atomi; quattro atomi di azoto
della porfirina, che neutralizzano le due
cariche positive del ferro bivalente, un
atomo di azoto dell'istidina prossimale,
che lega l'ente a uno dei segmenti a elìca
della catena polipeptidica (elica F), e
uno dei due atomi della molecola dell'os-
sigeno. Nella desossiemoglobina la posi-
zione dell'ossigeno rimane vacante, per
cui il ferro sì lega solo a cinque atomi.
Mi sono chiesto se le sacche contenenti
emi potessero essere più strette nella
struttura T rispetto alla struttura R, per
cui. per lasciare entrare l'ossigeno, esse
avrebbero dovuto allargarsi. Questo al-
largamento potrebbe realizzarsi in modo
da provocare la rottura dei legami salini,
con un meccanismo puerile abbastanza
simile a quello che è illustrato nella figura
in alto a pagina 84. Quando ottenemmo il
modello atomico della desossiemoglobi-
na di cavallo. Bolton e io intravedemmo
qualche verità in quest'idea, perché nella
subunità beta una catena laterale del-
l'amminoacido valina. vicino ali'istìdina
disiale, bloccava il sito che l'ossigeno
avrebbe dovuto occupare. Le subunità
alfa, invece, non mostravano un simile
impedimento. Notammo, quindi, le stra-
ne posizioni degli atomi dì ferro: nella
metemoglohina, che ha la struttura R,
questi atomi erano stali spostali mollo
lievemente, rispetto a! punk) della porfi-
rina. verso l'istidina prossimale, mentre
nella desossiemoglobina (con struttura
7), lo spostamento appariva come una
delle caraneristiche più manifeste delle
nostre mappe. In ogni subunità, l'atomo
di ferro aveva portalo con sé l'istidina
86
87
prossimale e l'elica F, per cui anche que-
ste erano spostale dal piano della porfiri-
na. Mi venne improvvisamente in mente
che proprio questo potesse essere il mec-
canismo a scatto da lungo tempo cercato.
Di recente, Arnone e il mio collega
Lynn Ten Eyck hanno ottenuto un'eccel-
lente mappa della desossicmoglobina
umana, alla quale Giulio Fermi ha adatta-
to un modello atomico dell cine, ricavato
con metodi basati sull 'uso del calcolatore.
1 calcoli di Fermi mostrano che ogni ato-
mo di ferro è spostato di 0.06 (i 0.0 1 )
nanometri dal piano medio della porfirina
(un nanometro è uguale a 10" metri).
L'atomo di azoto dell'isiidina prossimale,
a cut è legato l'atomo di ferro, si trova a
una distanza di 0.27 (± 0,01 ) nanometri
dallo stesso piano. Non disponiamo fino-
ra di alcuna misura diretta di spostamenti
corrispondenti neH'ossiemoglobìna. per-
che questa proteina, sotto l'effetto di un
fascio di raggi X, si ossida a metemoglo-
DESOSSIEMOGLOBINA
STRUTTURA T
bina. In essa, gli atomi dì ferrosi spostano
di 0,01 nanometri dal piano della porfiri-
na nelle subunità alfa e di 0.02 nanometri
nelle subunità beta; i corrispondenti spo-
stamenti degli atomi di azoto dell'istìdina
sono di 11,22 e 0.24 nanometri. A giudica-
re dalle strutture dei modelli, lo sposta-
mento dell'azoto deli'istidina nell'ossie-
moglobina dovrebbe essere di 0,21 na-
nometri. il che significa che l'azoto do-
vrebbe essere qui più vicino di 0.06 na-
nometri al piano della porfirina di quanto
non lo sia nella desossicmoglobina. Que-
sto spostamento farebbe scattare la tran-
sizione della struttura F alla struttura fi.
In quale modo un simile movimento vie-
ne trasmesso ai contatti tra le subunità e ai
legami salini? O si potrebbe chiedere, allo
stesso modo, vedendo due immagini, una
con un gatto su un muro e l'altra con lo
stesso gatto a terra, come fa quel gatto a
saltare dall'alto del muro. I nostri modelli
statici della desossicmoglobina e della me-
TIROSINA
(HC 2)
LISINA
(ALFA C5)
AA/
PORFIRINA
ISTIOINA
(HC3)
ACIDO ASPARTICO
(FG1)
OSSIEMOGLOBINA
STRUTTURA R
LI SI MA
(ALFA C5)
AA/
TIROSINA
(HC2)
OSSIGENO
PORFIRINA
Legami supplementari sono formati, nella desossiemogtobina, dai due ultimi residui delta catena
beta. Nell'ossiemoglobina, l'atomo di ferro giace nel piano della porfirina. il gruppo solfidrilko
(SH) dell'amminoacido cisterna nella sacca tra le eliche F e H, mentre la lirosina HC 2, l'istiduia
HC 3 e la lisina C 5 sono libere. Nella desossicmoglobina, il ferro viene spostato dal piano della
porfirina verso l'elica F e la tirosina allontana il gruppo SH dalla sacca Ira /' e H. dando orìgine
alla formazione di un legame a idrogeno con la valina FG 5. Infine. l'istidina terminale dà luogo
a legami con l'acido aspartico FG 1 della slessa catena e con la lisina C 5 della catena alfa. La
formazione di tali legami fa si che llslidina assuma un protone e di conseguenza una carica positiva.
temoglobina non mostrano, infatti, che
cosa succede nella transizione dalla struttu-
ra F alta struttura R. Ho avanzato allora
un'ipotesi audace, li secondo residuo am-
minoacidicoa partire dall'estremità di ogni
catena è una lirosina. la cui catena laterale
porta un gruppo fenolico. cioè un anello
benzenico con attaccato un ossidrile
(OH ).Nellastruttura F. la lirosina presen-
te in ogni subunità si incunea in una sacca
tra le eliche Fc H e il suo gruppo ossidrilico
è bloccato, da un legame a idrogeno, a un
atomo di ossigeno presente nel segmento
FG della catena polipeptidica principale.
Nella carbossiemoglobina. che è la più
affincall'ossicmoglobinaeha una struttu-
ra R, i residui di lirosina sono liberi. Per-
tanto deve esserci qualche meccanismo
che allenta i residui di lirosina. quando
l'ossigeno si lega.
Mentre cercavo di immaginare quale
poteva essere questo meccanismo, vidi
che il movimento deli'istidina prossimale
verso il piano della porfirina. che accom-
pagna il legame con l'ossigeno, tira l'elica
F in una direzione che restringe la sacca in
cui la tirosina deve adattarsi. Se la lirosina
venisse spinta fuori dalla sua sede natura-
le, staccherebbe l'ultimo residuo ammi-
noacidico della catena dal suo partner, al
quale è unito da un legame salino. In que-
sto modo, per ogni cme combinatosi con
l'ossigeno nella struttura F, potrebbe
rompersi un legame salino e quando di
questi ne fossero stati rolli a sufficienza.
la struttura T diverrebbe instabile e si tra-
sformerebbe nella struttura fi.
Se il movimento deli'istidina prossima-
le e del ferro verso la porfirina mette in
moto una serie di «leve», che liberano i
residui della lirosina e rompono i legami
salini, la formazione dei legami e la fissa-
zione dei residui di tirosina nelle loro sac-
che deve far procedere in senso inverso la
stessa serie di leve e deve far'allontanare
l'istidina e il ferro dalla porfirina. D'altra
parte, la molecola di ossigeno non può
andar loro dietro, perché andrebbe a ur-
tare contro i quattro atomi di azoto della
porfirina. In questo modo, il legame tra
ferro e ossigeno si tende fino a quando sì
spezza definitivamente.
Sembrava un sogno quello di poter es-
sere guidati dai modelli atomici verso il
meccanismo molecolare del trasporto
respiratorio. Ma era proprio vero? Que-
sto meccanismo avrebbe resistito al fred-
doscrutinio della sperimentazione? È sta-
io detto che gli scienziati non inseguono la
verità, ma la verità insegue loro.
Le prove sui lega/ni satini
In base alla teoria allosterica, non do-
vrebbe esservi interazione eme-eme sen-
za una transizione tra strutture F e fi.
Questa affermazione è stata messa alla
prova da Kilmartin, che ha staccato il re-
siduo amminoacidico terminale dalle
estremità di tutte e quattro le catene poli-
pepti diche, in modo che non vi fossero
legami salini a rendere stabile la struttura
F. Questa emoglobina modificata conser-
vava la struttura R anche in assenza di
ossigeno e mostrava una curva di equili-
brio per l'ossigeno a forma di iperbole con
un'elevata affinità per l'ossigeno. Kilmar-
tin ha quindi selezionalo un'emoglobina
umana anomala, a cui si può far mantene-
re la struttura F anche quando essa è satu-
ra di ossigeno. La curva era ancora un'i-
perbole, ma spostata verso una minore
affinità per l'ossigeno, per cui la tesi fon-
damentale dell'allosteria era comprovata.
La questione successiva riguardava il
ruolo esatto dei legami salini. A un estre-
mo, la tensione generata dalla combina-
zione di un eme qualsiasi con l'ossigeno
poteva essere distribuita uniformemente
su tutta la molecola, per cui non si sarebbe
verificato nessun cambiamento nell'affi-
nità per l'ossigeno fino a quando, nel pas-
saggio dalla struttura F alla struttura fi,
tutti i legami salini non si fossero rotti
all'unisono. Questo fatto sarebbe stato
conforme alia teoria allosterica pura, se-
condo la quale i legami salini non dovreb-
bero fare altro che far aumentare L, cioè
la frazione di molecole presenti nella
siruttura T, D'altra parte, secondo il mec-
canismo da me sostenuto, un legame sali-
no dovrebbe rompersi ogni volta che un
atomo di ossigeno si combina con la strut-
tura F. Se questo fosse vero, i legami sali-
ni dovrebbero fare aumentare, oltre a JL,
anche la costante K T . vale a dire dovreb-
bero anche abbassare l'affinità per l'ossi-
geno della struttura T. Al lettore generico
tutto questo può sembrare un sottile di-
stinguo, ma i ricercatori in questo campo
credettero davvero di essere giunti, in
questo modo, alle radici del meccanismo
e ciò diede origine ad appassionale con-
troversie che sono vive ancora oggi.
Parecchi risultali sperimentali depon-
gono in favore della mia versione. Nel
1965, Eraldo Antonini. Todd M. Schu-
ster, Maurizio Brunori e Jcffrìes Wyman
dell'Università di Roma e, nel 1970. R.
D. Gray della Cornell University hanno
mostrato che il legame con l'ossigeno e la
liberazione dei protoni di Bohr procedo-
no, mano nella mano, fin dall'inizio men-
tre l'emoglobina si trova ancora nella
struttura 7". Successivamente. Kilmartin
ha chiarito che la maggior parte dei pro-
toni di Bohr provengono dalla rottura di
legami salini. Presi insieme, i due risultati
dimostrano che i legami salini si rompono
quando l'ossigeno si lega alla struttura F, il
che implica che abbassano la sua affinità per
l'ossigeno. Per provare se veramente è così,
abbiamo dovuto eseguire un accurato con-
fronto tra le curve di equilibrio per l'ossige-
no dell'emoglobina normale e di un'emo-
globina priva di uno dei legami salini. Kiyo-
hirolmaie Hideki MorimotodeiPUniversi-
tà di Osaka avevano da poco elaborato un
metodo ingegnoso, che permette di misura-
re con precisione e rapidità una curva di
equilibrio per l'ossigeno con solo 0,1 millili-
tri di soluzione di emoglobina. Imai venne a
Cambridge per costruire una delle sue nuo-
ve macchine e con Kilmartin misurò le
curve di equilibrio di emoglobine prive di
legami salini specifici, trovando che l'as-
senza di uno qualsiasi dei legami lasciava
immodificata la costante K R mentre abbas-
sava sia L sia K T . in conformità al meccani-
smo da me indicato.
1000
100 -
LJ
W
o
CO
UJ
Q
E
0,
D
ir
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5
UJ
co
co
O
E
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e
O
<
10
O 0.1
or
O
a.
a.
<
et
0,01
0.001
EMOGLOBINA TRATTATA
CON IDRAZINA
/ EMOGLOBINA
/ NORMALE
0.01
0,1
1000
PRESSIONE PARZIALE DI OSSIGENO
EMOGLOBINA
REINTEGRATA
CON TRIPSINA
Il blocco dei legami salini nella posizione aperta sposta la curva di equilìbrio per l'ossigeno
verso sinistra, in direzione di una più alta affinità per questo gas. La curva di equilibrio iniziale
relativa all'emoglobina appare in colore. L'emoglobina è stata poi trattata con ìdraziua (NHi-
NH;), che impedisce all'estremità carbossilica di ogni catena alfa di formare un legame salino con
un residuo di lisina presente sulla vicina catena alfa. Quando tale legame non si può formare, la
stabilità della struttura T diminuisce. La curva di equilibrici che ne risulta appare in nero: quando
l'emoglobina ha la struttura T, l'affinità per l'ossigeno a basse pressioni di ossìgeno aumenta di
un fattore pari circa a 5 e la transizione alla strutturai? avviene prima. (SiaiVj siaL sono ridotti.)
Non vi è, invece, alcun effetto a pressioni di ossigeno elevate, in cui le molecole sia normali sia
trattate si trovano nella struttura fi. L'equilibrio normale è stato reintegrato (linea ironeggiala)
trattando la proteina alterata con tripsina, che rimuove l'idrazina. L'esperimento è slato realiz-
zato da J, Kilmartin e J. Fogg di Cambridge e da A. K. Amone della Università dello lowa.
Paradossalmente un'altra serie di os-
servazioni ha smentito questi risultati. I
miei colleghi Leigh Anderson e Kilmar-
tin. assieme a Seiji Ogawa dei Bell Labo-
ratories, hanno dimostralo che i legami
salini si rompono solo se la molecola del-
l'emoglobina è libera di passare alla strut-
tura R, ma non se questa transizione viene
bloccata. Ciò accade in certe emoglobine
umane anomale e nelle emoglobine dei
pesci in soluzione acida, in cui la struttura
F è instili tamente stabile. Sembra che
questa struttura debba essere libera di
piegarsi e di tendersi per scuotersi di dos-
so ciò che la comprìme; se fosse tenuta
troppo stretta, non riuscirebbe a reagire.
Ho suggerito che la transizione dalla
struttura Falla struttura fi sia fatta scatta-
re principalmente dal movimento del fer-
ro dell 'eme verso l'anello porfirinico. Che
cosa fa muovere il ferro? Vi sono due
motivi; uno sierico e l'altro elettronico.
Se il ferro è legato con atomi su ambedue i
lati dell'ente, allora l'attrazione di questi
atomi da pane del ferro e la loro repulsio-
ne da parte dell'azoto della porfirina ten-
dono a mantenere il ferro in equilibrio al
centro dell'anello. D'altra parte, se il fer-
ro è legato soltanto all'istidina prossimale
mentre il suo sito per l'ossigeno rimane
vacante, la repulsione tra gli atomi di azo-
to della porfirina e l'istidina non risulta
bilanciata dalla repulsione tra questi stes-
si atomi di azoto e l'ossigeno, per cui l'i-
stidina viene allontanata dalla porfirina e
trascina con sé il ferro.
La storia con gli elettroni è più com-
plessa. L'atomo di ferro bivalente ha sei
elettroni nello strato più esterno. Nell'os-
siemoglobma questi formano tre coppie,
che stmo localizzate a metà strada sui le-
gami che uniscono il ferro ai sei atomi che
90
91
STRUTTURA R
o-
W\
ò
i-
BETA
BETA
L^L/m
u
-o
STRUTTURA T
La tensione nella struttura / esista ilntin-.tr. ii.i da una transizione forzuta da R a T. L'effetto e
stato scoperto quando l'autore ha voluto saziare l'effetto della transt/jone su lutti i derivali noti
dell 'emoglobina. La transizione è slata ottenuta aggiungendo esufosfal» di inositolo (IHI'l. che
sostituisce il 2.3-difosfogliceralo (DPG i. ma forma più legami salini con le catene bela. L'ossigeno
è stato sostituito dall'ossido d'azoto (NOI, che si lega al ferro molto saldamente e indebolisce il
legante tra ferro e ìslidina. In alt», lutti gli atomi di ferro degli emi sono legati all'ossido d'a/olo, le
molecole si trovano nella struttura R e non vi sono legami salini tra le subunità. In basso. l'IHP
ha trasformato la molecola nella slrultura T e le subunità sono tenute strette da legami salini. La
tensione che ne risulta ha rotto i tegami tra atomi di Ferro e istidine prossimali delle suhunità
alfa, che sono di gran lunga più lontani dal sito di legame per l'IHP dì quelli delle subunilà
beta, mostrando cosi che le proteine possono trasmettere a grande distanza effetti meccanici.
lo circondano. La repulsione tra elettroni
del ferro ed elettroni degli atomi circo-
stanti è così ridotta al minimo. D'altra
parte, nella emoglobina, quattro dei sei
elettroni risultano spaiati e due di essi
sono situati nella direzione dei legami,
dove respingono gli atomi circostanti del-
l'anello porfirinìco. Questa repulsione
tende a spingere il ferro ancor più lontano
dal piano della porfirina di quanto fareb-
be la repulsione che si instaura tra l'tstidi-
na prossimale e gli atomi di azoto della
porfirina.
Le prove sul meccanismo a scatto
Si supponga che il ferro si avvicini e si
allontani rispetto al piano della porfirina
ogni qualvolta sì combina con una mole-
cola di ossigeno o si dissocia da essa.
Come potevamo vedere se era veramente
questo movimento che faceva scattare la
transizione allosterica tra te due struttu-
re? Non riuscivo a immaginare nessun
esperimento che desse una risposta diret-
ta a questa domanda, ma pensai che, se la
mia proposizione era vera, allora per la
legge di azione e reazione, una transizio-
ne forzata dalla forma R alla forma T
doveva mettere in moto gli ingranaggi in
senso inverso e allontanare il ferro e l'isti-
dina dall'anello porfirinico. In questo
caso, la struttura 7 avrebbe dovuto eserci-
tare una tensione sull'emc, che si sarebbe
quindi potuto rivelare con metodi fisici. Il
mio maestro David Kcilin mi diceva sem-
pre di lavorare con proteine colorate,
perché i loro aspetti di assorbimento pos-
sono rivelare molle cose. L'emoglobina è
doppiamente benedetta in questo senso
perché se ne può sentire il polso sia attra-
verso lo spettro di assorbimento sia attra-
verso le proprietà magnetiche dei suoi
atomi di ferro.
Prima di poter sfruttare queste proprie-
tà, dovevamo però trovare un modo per
far scattare la trasformazione dalla strut-
tura R alla T. che fosse diverso dal solito
metodo di rimozione dell'ossigeno. San-
ford R. Simon, della State University di
New York a Stony Brook e io stesso tro-
vammo che si poteva raggiungere questo
scopo con un analogo dei DPG. una so-
stanza chiamata esafosfato di inositolo
(IHP). dotato di sei gruppi fosfato al po-
sto dei due del DPG e quindi più solida-
mente legata alla struttura 7".
Oliando l'IHP veniva aggiunto all'os-
siemoglobìna provocava l'espulsione di
una parte dell'ossigeno, come era da
aspettarsi. Sostituii allora l'ossigeno, con
ossido di azoto (NO), dato che questo gas
si lega così saldamente al ferro che il le-
game, una volta formato, non può più
rompersi. Quando aggiunsi dell'I HP a
della NO-emoglobina, la struttura di que-
sta passò dalla forma R alla forma 7" e lo
spettro si modificò in maniera drastica.
L'analisi di questi e di altri cambiamenti
spettrali ci chiari che cosa era successo:
dato che il forte legame con l'ossido di
azoto aveva tenuto l'atomo di ferro attac-
cato al piano della porfirina. la tensione
esercitata dalla struttura 7" aveva finito
per infrangere il legame più debole tra il
92
ferro e l'istidina prossimale. Cosa ancor
più notevole, questo era successo in pri-
mo luogo nelle subunità alfa, i cui emi
disiano 3,5 nanometri dal sito di legame
per il fosfato, e non nelle subunità beta, a
cui l'IHP si era attaccato. Questo esperi-
mento venne effettuato da Kyoshi Nagai.
Aitila Szabo e da me stesso a Cambridge
assieme a John C. Maxwell e a Winslow S.
Caughev della Colorado State University
di Fort Collins, Robert Cassoly dell'Insti-
tut de Biologie physico-chimique di Pari-
gi scopri contemporaneamente a me i
cambiamenti spettrali
Il nostro esperimento provò che esiste
una tensione, ma non ci disse quanto essa
era grande. Per misurarla, decisi di sfrut-
tare certi composti dell'emoglobina in cui
gli atomi di ferro erano in equilibrio tra
uno stato paramagnetico debole e uno
stato paramagnetico forte. (Una sostanza
paramagnetica non può essere magnetiz-
zata in permanenza, come lo può il ferro
metallico, ma solo quando viene posta in
un campo magnetico.) A bassa tempera-
tura tutti gli atomi di ferro hanno un pa-
ramagnetismo debole ed esso diminuisce
quando la temperatura aumenta; al di
sopra di certi valori, gli atomi di ferro
cominciano a oscillare tra i due stati ma-
gnetici, il che fa aumentare, con la tempe-
ratura, il paramagnetismo totale. Oggi è
noto che i legami tra il ferro e gli atomi
che lo circondano sono leggermente più
lunghi nello stato paramagnetico forte
che non in quello paramagnetico debole;
pertanto, se la tensione nella struttura T
tende i legami con il ferro, essa dovrebbe
rendere anche la percentuale degli atomi
di ferro nello stato paramagnetico forte
più alta nella struttura T che non nella R
e, quindi, dovrebbe far aumentare il pa-
ramagnetismo totale della soluzione.
Alla fine, dopo parecchie false parten-
ze, una fortunata coincidenza portò a feli-
ce compimento questo esperimento.
10 000 -
o
< 8000
s
o
[E
z 6000
z
<
* 4000
<
a.
■<
t
>
2C0C
STRUTTURA R
J_
J-
300
200 150 125
TEMPERATURA (KELVIN)
100
I i- umiliamenti magni-tìti si osservami racend» passare la N:-metemnglobina di carpa dalla
.struttura R alla struttura T . l.a suscettività paramagnetica viene posta in grafico sull'ordinata e la
temperatura assoluta sull'ascissa. Il paramagnetismo degli atomi di ferro è più elevai» nella
.struttura / che nella struttura R e questo a tutte te temperature. Nella struttura R, a bassa
temperatura, lutti gli atomi di ferro sono in un» slato paramagnetico debole e ta suscettività
scende con l'aumentare della temperatura. A circa 200 kelvin, essi cominciano a oscillare tra uno
sialo paramagnetico forte e uno debole, per cui ta suscettività cresce con l'aumento della tempera-
tura. Nella struttura / , a bassa temperatura, un miscuglio casuale di atomi di ferro, nello stato
paramagnetico forte e nello stato paramagnetico debole, viene bloccato cosi. A circa 2 50 kelvin, la
frazione degli atomi che si trova nello stato paramagnetico forte comincia ad aumentare rapida-
mente, per diminuire poi di nuovo a temperature più elevate, per ragioni che non sono ancora
completamente chiare. L'equivalente in energia libera della tensione presenle nella struttura / si
calcola dalla differenza in altezza delle due curve. La suscettività magnetica misura la forza
esercitata su un grammo equivalente di ferro (55,8 grammi) da un campo magnetico di un gauss.
Robert W. Noble fece la sua comparsa a
Cambridge, proveniente dalla Slate Uni-
versity di New York a Buffalo con le ta-
sche piene di emoglobina di carpa e mi
mostrò quanto facilmente la struttura di
uno qualsiasi dei derivati di questa emo-
globina poteva essere fatta passare dalla
forma R alla T, aggiungendo solo un poco
di acido e dell'IHP. Assieme partimmo
per Roma dove Massimo Cerdonio e Ca-
logero Messana avevano appena finito di
costruire, presso il laboratorio della
SNAM Progetti, un magnetometro su-
perconduttore molto sensibile, ma nel
cambiare vettura alla stazione della me-
tropolitana di Londra lasciai il termos con
i nostri preziosi campioni sul marciapiede
e non lo vidi mai più. Fortunatamente
avevamo un poco di emoglobina di carpa
nel nostro congelatore a Cambridge e con
esso ci accingemmo di nuovo a partire per
Roma.
Il derivato più utile dell'emoglobina di
carpa era una forma ferrica in cui il posto
dell'ossigeno era occupalo da uno ione
azoturo (N.i~). Abbiamo misurato il suo
paramagnetismo tra i-180 e i +30 gradi
centigradi sia nella struttura R sia nella
struttura T. I risultati ci eccitarono moltis-
simo; a tutte le temperature, la Nj-mete-
moglobina di carpa aveva un paramagne-
tismo di gran lunga maggiore nella strut-
tura T che n»n nella struttura R, il che
dimostrava che quella struttura favoriva
lo stato in cui Teme ha tegami più lunghi
tra ferro e azoto. La tensione a livello
dcll'cme può essere misurata dalla diffe-
renza di energia tra i due equilibri magne-
tici. Il mìo collega Fermi e mio figlio Ro-
bin, che lavora all'Università di Oxford.
hanno stabilito che tale differenza am-
monta a circa 1000 calorie, un terzo del-
l'energia libera dell'interazione eme-
-eme. Non siamo sicuri da dove vengono i
rimanenti due terzi di questa energia, ma
sospettiamo che la transizione da fi a 7"
produca un cambiamento di tensione più
piccolo nella Nj-metemoglobina di quan-
to non facciano l'assunzione e la perdita
dell'ossigeno.
Nel frattempo Arieh Warshel della
Università della Southern California.
Bruce W. Gelin e Martin Karplus della
Harvard University, Joyce Baldwin e
Cyrus Chothia dello University College di
Londra hanno provato a districarsi nella
serie di leve atomiche che generano la
tensione nella struttura 7" e la tolgono nel
passaggio alla struttura R. Essi hanno
demolito alcune delle mie idee e ne hanno
costruito altre.
Tutti concordano che la struttura T
esercita una scarsa tensione, o addirittura
nessuna, sull'eme deossigenalo e che que-
sto aumenta solo quando il ferro cerca di
spostarsi verso il piano della porfirina in
combinazione con l'ossigeno. È una si-
tuazione analoga a quella della molla di
una porta scorrevole, che è rilasciata
quando la porta è ripiegata ed esercita
una tensione crescente quando la porta è
distesa. James P. Collman della Stanford
University ha quindi suggerito che si do-
vrebbe parlare di costrizione piuttosto
che di tensione. La costrizione può essere
yen e rat li da un orientamento asimmetri-
co dell'istidina prossimale rispetto alla
porfirina, il che porta uno dei suoi atomi
di carbonio vicino a uno degli atomi di
azoto della porfirina. La repulsione tra
questi due atomi limiterebbe i movimenti
dell'istidina in direzione dell'anello porfi-
rinico. Nella transizione alla struttura R
uno spostamento e una rotazione dell'e-
me in rapporto all'elica F f a raddrizzare
l'istidina. per cui essa, con l'atomo di fer-
ro, si può muovere senza limitazióni verso
la porfirina.
Nelle subunità beta può avere maggio-
re importanza un movimento dcll'eme
rispetto all'elica E, che porta la valina
distale e l'istidina distale. Nella struttura
7 , Iìi valina blocca il sito di combinazione
per l'ossigeno, che. però, dopo la transi-
zione alla struttura R, rimane scoperto.
Non sappiamo ancora quale sia il contri-
buto di questo serrare e aprire all'energia
libera dell'interazione eme-cme.
Tutti questi meccanismi concordano
con le mie idee, mentre la mia ipotesi che
il movimento dell'istidina prossimale sia
trasmesso ai legami salini spremendo Ino-
ri il penultimo residuo di tirosina dal suo
anfratto era troppo semplicistica. Invece
può essere tirato il tegame a idrogeno che
tiene a posto la tirosina. ma questa opera-
zione non può essere sufficiente a infran-
gere i legami salini. Essi possono anche
essere allentati da piccole perturbazioni a
livello dei legami tra le subunità, che però
finora hanno eluso ogni analisi.
Una delle caratteristiche più strane di
ambedue le strutture 7" e fi è l'assenza di
qualsiasi entrata alla sacca contenente
l'è me, sufficientemente ampi a da permet-
tere a una molecola di ossigeno di passa-
re. O l'istidina distale o qualche altro
gruppo devono spasta rsi per far posto, ma
non sappiamo come questo avvenga per-
ché le nostre analisi con i raggi X ritrag-
gono soltanto strutture statiche, che ci
permettono di avanzare esclusivamente
ipotesi sulla dinamica della molecola.
John J. Hopfieid della Princeton Uni-
versity disse una volta che l'emoglobina
svolge lo stesso ruolo in biochimica dei-
l'atomo di idrogeno in fisica, in quanto
serve come pietra di paragone per nuove
teorie e tecniche sperimentali. L'emo-
globina è il prototipo di molecole protei-
che che cambiano struttura in risposta a
stimoli chimici; gli scienziati continue-
ranno dunque a esplorarne il comporta-
mento a più sfaccettature. Il meccanismo
che ho delineato qui richiede ulteriori
messe a punto, prima di poter spiegare
tutte le osservazioni degli scienziati, ma
sono contento che le sue principali carat-
teristiche abbiano retto alle prove speri-
mentali e che esso spieghi abbastanza
bene le proprietà fisiologiche dell'emo-
globina. Non ho ricordato che esso spie-
ga anche i sintomi di pazienti che hanno
ereditato emoglobine anomale, perché
questa è un'altra storia. Spero che la
comprensione della sua struttura e del
suo meccanismo d'azione riusciranno ad
alleviare quei sintomi e aiuteranno a in-
terpretare il comportamento di sistemi
biologici più complessi.
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E LA GOLA - consulenza di Eugenio Mira ■ 1
BRONCHI E I POLMONI • consulenza di
Giulio Ghiringhclli • LO STOMACO E t 'IN-
TESTINO • 2 volami - consulenza di Gaetano
Ideo e Alberto Ti lobe I lo • 1 1. SANGUE- consu-
lenza di Edoardo Storti e Salvatore Carlo Rizzo
• L'APPARATO! ROGENTTALE-convulcn-
za di Edoardo Lasio e Claudio Ponticelli *
L'OCCHIO - consulenza di Fernando Tnmar-
chi • LA BOCCA E l DENTI - consulenza di
Alberto Riolo • IL SISTEMA NERVOSO - 2
vola m i - co nsulenza di Pict ro To na li * L" APP A*
RATO LOCOMOTORE - 2 volumi -eonsulen-
za di Pier Luigi Guenioni • LA PELLE -consu-
lenza di Fulvio Allegra > IL SISTEMA ENDO-
CRINO - consulenza di Livio Robba • GLI
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ogni 15 giorni in edicola un volume L 2.000
* FABBRI EDITORI
94
Geni che violano
le leggi di Mendel
mi di laboratorio e avevano quindi occhi
bianchi. Poiché normalmente nelle droso-
file maschio non avviene crossing-over,
ogni cromosoma trasmesso portava o en-
trambi i geni mutanti o nessuno, così che,
secondo l'ereditarietà mendeliana, metà
della progenie avrebbe dovuto avere oc-
chi bianchi e l'altra metà occhi rosso scu-
ro. Hiraizumi osservò la distribuzione
attesa 50:50 nella progenie di circa 200
incroci (tranne qualche deviazione mino-
re causata dai geni mutanti che riducono
la vitalità che erano l'oggetto iniziale del-
la ricerca). Tuttavia sei degli incroci pro-
dussero risultati molto strani: la quasi to-
talità della progenie aveva gli occhi rossi,
mentre solo la metà avrebbe dovuto pre-
sentare questo carattere. La proporzione
di drosofile con occhi rossi variava dal 95
al 1 00 per cento ed era del 99 per cento o
più nella maggior parte dei casi.
Nella riproduzione sessuale i geni parentali sono continuamente rimescolati
e quindi esposti in uguale misura al collaudo severo della selezione naturale.
Alcuni geni, però, «barano» riuscendo a favorire la propria sopravvivenza
Perché la riproduzione sessuale è
così ubiquitaria nel mondo viven-
te? Un metodo di procreazione
complicato, che richiede l'apporto di due
genitori, certamente non È molto efficien-
te . Richiede che due Cacciano il lavoro di
uno mentre esistono numerosi processi
riproduttivi asessuati, come la formazio-
ne di spore nei funghì, che sono molto più
economici in termini di tempo ed energia.
Se la quantità fosse l'unico criterio di effi-
cienza riproduttiva, la sessualità sarebbe
stata abbandonata un miliardo di anni fa o
addirittura non si sarebbe mai evoluta.
Il grande ruolo della riproduzione ses-
suale è di tipo evolutivo: rimescola i geni
dei due genitori per formare il corredo
genetico della loro progenie ed espone
così al collaudo severo della selezione
naturale la più ampia gamma di caratteri e
potenzialità presenti in una specie. Per-
ché il sistema funzioni bene, perché il col-
laudo sia imparziale, il rimescolamento
deve essere onesto. Tuttavìa non lo è
sempre. Ci sono geni che «barano» e per-
petuano se stessi nella popolazione ma-
nomettendo a proprio favore il processo
riproduttivo.
Essi barano nello stadio della riprodu-
zione sessuale chiamato meiosi, la «divi-
sione riduzionale» in cui una cellula ger-
minale maschile (un processo analogo
avviene durante la formazione dell'uovo
nella femmina) si divìde e forma quattro
cellule spermatiche, ognuna delle quali
possiede mela del corredo normale di
cromosomi. La meiosi è seguita dalla fe-
condazione che ristabilisce il numero ini-
ziale di cromosomi e l'insieme dei due
processi costituisce la base fisica dell 'ere-
ditarietà mendeliana.
I cromosomi sono sempre accoppiati
così come i geni, segmenti della lunga
catena di DNA che è il costituente fon-
damentale del cromosoma. In ogni singo-
la cellula del corpo e in ogni cellula ger-
minale dell'individuo un membro di ogni
coppia di cromosomi omologhi deriva da
dì James F, Crnw
uno dei due genitori. Nella meiosi i mem-
bri di ogni coppia segregano: l'uno o l'al-
tro di essi, scelto a caso, è trasmesso a una
cellula uovo o a una cellula spermatica e
quindi a ognuno dei discendenti. Le varie
coppie di cromosomi segregano indipen-
dentemente così che i geni su coppie di
cromosomi diverse sono completamente
ridistribuiti a ogni processo meiotico.
Inoltre avviene normalmente un proces-
so, chiamato crossing-over, in cui i due
membri di una coppia si allineano fianco a
fianco, si rompono in punti corrisponden-
ti e si scambiano dei segmenti di cromo-
somi. Di conseguenza anche geni sul
medesimo cromosoma non sono obbligati
a rimanere insieme, ma possono parteci-
pare al rimescolamento meiotico.
Il vantaggio evolutivo di questo rime-
scolamento è che esso permette ai geni
provenienti da individui differenti dì tro-
varsi insieme e ai geni che erano insieme
di separarsi. Ridistribuendo i geni in ogni
generazione sessuale l'ereditarietà men-
deliana mette alla prova tutti i geni in
molte combinazioni diverse. I geni che
aumentano la capacità di sopravvivere, la
fertilità e la vitalità della progenie vengo-
no conservati dal setaccio della selezione
naturale; i geni meno efficienti vengono
perduti. L'evoluzione comporta il collau-
do e ricollaudo continuo di combinazioni
di geni e il mantenimento di quelle com-
binazioni che aumentano il successo ri-
produttivo, con il risultato che la specie
diventa meglio adattata.
La meiosi assicura il collaudo scrupolo-
so di ogni combinazione di geni conce-
dendo a ogni gene la stessa probabilità di
ogni altro gene di essere trasmesso alla
generazione successiva. I geni che barano
nella meiosi manomettono il sistema ri-
ducendone in genere l'imparzialità. Più
direttamente, tali geni di solito influenza-
no processi diversi dalla meiosi e. come la
maggioranza dei nuovi geni mutanti, sono
quasi sempre dannosi; per esempio, uno
di questi geni che si trova in alcune popo-
lazioni di topi provoca anomalie nella
coda ìn aggiunta ai disturbi della meiosi.
Altri geni che barano sono stati scoperti
nel mais, nei gigli, nel tabacco, nel trillìo.
nella segale, nella zanzara, nella cavallet-
ta e nella specie prediletta dai genetisti: il
moscerino della frutta Drosophila mela-
nogaster. Questo artìcolo tratta di un
gruppo particolarmente ben compreso di
geni che barano, quelli che producono il
carattere segregano» disioner (distorsore
della segregazione), oSD, nelle drosofile.
La storia comincia nel 1956, quando il
fenomeno fu scoperto da Yuichiro Hirai-
zumi, che allora era studente presso l'U-
niversità del Wisconsin e ora lavora al-
l'Università del Texas. Hiraizumi stava
studiando detcrminati geni sul cromoso-
ma n. 2 di popolazioni naturali di Dro-
sophila. i quali controllano la vitalità. Per
i suoi incroci utilizzava maschi in cui un
membro delia coppia di cromosomi era di
tipo selvatico e l'altro proveniva da un
ceppo di laboratorio; egli seguiva l'eredi-
ta rieià dei cromosomi, notando la distri-
buzione di particolari geni marcatori che
controllano il pigmento degli occhi. L'oc-
chio normale di drosofila ha due pigmen-
ti, uno cinabro (scarlatto vivace, come il
minerale di mercurio da cui prende
nome) e l'altro bruno. Insieme conferi-
scono all'occhio il suo colore normale ros-
si' scuro. In una forma mutante non viene
prodotto il pigmento bruno: l'occhio è
perciò cinabro e la mutazione viene chia-
mata cn. In un'altra mutazione, bw, il
pigmento cinabro è assente e l'occhio è
marrone. Quando entrambe le mutazioni
sono presenti, come nel ceppo di labora-
torio di Hiraizumi, l'occhio è senza pig-
mento e appare bianco. Entrambi i mu-
tanti sono recessivi, il che significa che
essi manifestano il proprio effetto solo
quando il gene normale è assente.
Hiraizumi incrociò maschi ibridi con
occhi rossi (con un cromosoma
normale e un cromosoma di laboratorio
contenente entrambe le mutazioni) con
femmine che possedevano due cromoso-
L'effetto del cromosoma SD, che sovverte il processo della meiosi nel
moscerino della frutta Drositphila meiaiwgasler, è di impedire il cor-
retto sviluppo di metà delle teste degli spermatozoi. Normalmente i
nuclei di un gruppo di 64 cellule spermatiche immature condensano a
formare le teste di 64 spermatozoi, come si vede nella fotografìa al
microscopio elettronico (a sinistra) eseguila da Robert W. llardv
dell'Università della California a San Diego. Nei moscerini della frutta
portatori di un cromosoma SD solo 32 nuclei mostrano la condensazio-
ne normale, come si vede nella fotografia (a destra) scattala da Kiyote-
ru T. Toliuyasu a San Diego ; gli altri non si sviluppano normalmente. In
entrambe le microfotografìe la sezione che passa attraversi» la regione
della testa del fascio di spermatozoi è ingrandita circa 17 IMO volle.
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ln mela delle cellule spermatiche immature di un moscerino portante il
cromosoma SD anche le code degli spermatozoi non si sviluppano
correttamente, come mostrano le fotografie scattate da Tokuyasu. Le
sezioni attraverso la regione delle code in sviluppo sono ingrandite
IO IMO volte. In un moscerino normale (a sinistra) in ogni cellula
spermatica che si sta separando dalle altre si sviluppa min libra della
coda (la struttura simile a una mola); in un moscerinoSD (a destra) me-
tà delle cellule spermatiche non riescono, invece, a separarsi. Sono gli
spermatozoi che non portano il cromosoma SD. Esso «bara» indo cen-
ili il suo cromosoma omologo » causare disfunzioni nello spermatozoo.
98
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Che cosa aveva provocato questo inso-
lito comportamento di sei cromosomi,
ognuno dei quali derivava da un maschio
diverso nella popolazione selvatica? La
possibilità che ci fosse stata una morte
selettiva della progenie con occhi bianchi
nello sviluppo embrionale precoce fu e-
sclusa rapidamente: troppe delle uova
deposte si sviluppavano in moscerini
adulti perché una simile spiegazione fosse
possibile, Hiraizumi determinò inoltre
che qualsiasi fosse la causa dell'alterazio-
ne del rapporto del colore degli occhi,
essa agiva durante la formazione delle cel-
lule spermatiche, non delle uova: quando
egli scambiò i sessi nell'incrocio, così che
le femmine invece dei maschi fossero le
portatrici del cromosoma insolito, tutti
gli incroci produssero il rapporto stan-
dard 50 : 50,
I moscerini selvatici che erano portato-
ri del cromosoma insolito erano stati cat-
turati in autunno su un gruppo di alberi
vicino all'aeroporto di Madison; gli strani
risultati apparvero in inverno. Eravamo
ansiosi di catturare altri moscerini nello
stesso posto l'estate successiva e fummo
costernati quando constatammo che gli
alberi erano stati tagliati e non c'erano più
drosofile. Fortunatamente altri moscerini
catturati in luoghi diversi (compreso il
mio pezzetto di orto) si dimostrarono por-
uovo FECONDATO
Schema ipotetico della meiosi, la «divisione riduzionale » in cui una cellula germinale (in questo
esempio si tratta di una cellula maschile, ma un processo analogo avviene nella cellula femminile )
Torma quattro spermatozoi, partendo da una ipotetica cellula germinale maschile (1) dotata di un
unico paio di cromosomi omologhi, uno derivante dal geniture maschile (in colore) e uno dal
genitore femminile Un nero). I cromosomi si replicano <2) e poi, durante la prima divisione, si
separano e si trasferiscono in una delle due nuove cellule germinali (3). Nella seconda divisione le
due catene del cromosoma replicato si separano e vanno in spermatidi diversi (4); ognuno degli
spermatozoi risultanti (S) possiede uno dei cromosomi che formavano la coppia originale. In una
cellula germinale reale contenente molli cromosomi (quattro paia in Drusophtla , 23 nell'uomo)
ogni coppia «segrega» indipendentemente; lo spermatozoo riceve un assortimento casuale di
cromosomi dì origine patema e materna. Quando lo spermatozoo e l'uovo si fondono (6), l'uovo
fecondato viene a possedere una combinazione casuale di cromosomi provenienti dai due genitori.
latori dello stesso particolare cromoso-
ma; in effetti, in quasi ogni popolazione
naturale di Drosophila che sia stata stu-
diata, in varie parti del mondo, dall'I al 5
per cento dei cromosomi n. 2 portano il
carattere SD. Questi cromosomi hanno
un'altra particolarità degna di menzione:
potenzialmente tutti i casi portano alme-
no unainversione.edi solito piùdi una. Le
inversioni (regioni in cui i geni sono di-
sposti in ordine inverso rispetto al norma-
le) non sono infrequenti in Drosophila,
ma è raro trovarne due o più su un unico
cromosoma. Ci deve essere una ragione
per l'associazione del carattere SD e le
inversioni multiple.
Se le popolazioni naturali di Drosophi-
la presentano questo strano cromosoma,
perché non era stato scoperto già da tem-
po? La ragione principale, io penso, è
semplicemente che di solito esso non pro-
voca un effetto visibile; il solo modo che
consente di osservare il fenomeno è la
scoperta di rapporti di ereditarietà insoliti
quando si eseguono incroci con cromo-
somi marcati con geni mutanti facilmente
individuabili. Forse esso era stato osser-
valo di tanto in tanto da ricercatori che
avevano attribuito i risultali bizzarri a
qualche errore sperimentale.
Parecchi anni prima dell'esperimento
di Hiraizumi, comunque, Laurence M.
Sandlcr e Edward Novitski dell'Oak Rid-
ge National Laboratory avevano suggeri-
to sulla base di certe indicazioni speri-
mentali che le leggi della meiosi potessero
talvolta venir violate; essi chiamarono
questo processo «meiotic drive» e consi-
derarono alcune sue possibilità teoriche.
Per una coincidenza fortunata, Sandler
era venuto a lavorare come ricercatore
laureato a Wisconsin. Con nostra soddi-
sfazione la scoperta di Hiraizumi costitui-
va un esempio perfetto del fenomeno che
Sandler e Novitski avevano discusso dal
punto di vista teorico. Questo fu l'inizio di
una stretta collaborazione fra Hiraizumi e
Sandler, che ebbero il merito di aver spie-
gato in gran parte il fenomeno e dì aver
coniato il termine distorsore della segre-
gaEione (SD),
Ora il sistema SD è stato studiato in un
certo numero di laboratori negli Stati
Uniti, in Giappone, in Australia e in Ita-
lia. Come ho già detto, non esiste un effet-
to visibile del cromosoma SD sul mosce-
rino che lo porta; il solo effetto rilevabile
è una distorsione nel rapporto di tipi nella
progenie. Nei complessi esperimenti ri-
chiesti per analizzare il sistema, i cromo-
somi sono perciò sempre marcati con geni
mutanti facilmemi riconoscibili come i
geni per il colore degli occhi che ho de-
scritto, in modo di poter seguire i cromo-
somi attraverso una complicata serie di
incroci. Ometterò i dettagli di marcatura
dei cromosomi nei vari esperimenti e mi
limiterò a riportare i risultati.
Ciò che rende diffìcile capire come il
cromosoma SD dia origine a un tale
cambiamento fondamentale nel compor-
tamento meiotico è il fatto che il cromo-
soma deve in qualche modo inattivare
proprio quelle cellule spermatiche che
100
Il crossing-over moltiplica il processo di rimescolamento dei geni come dimostra questo diagram-
ma della stessa ipotetica meiosi rappresentala nell'illustrazione a pagina 100. Nel corso della re-
plicazione i due membri di una coppia omologa possono rompersi in punti corrispondenti. I seg-
menti omologhi si scambiano, così che alcuni geni paterni (in calate) vanno a finire sul cromosoma
materno (in nero) e viceversa (2); in questo modo i singoli geni divengono unità indipendenti.
non lo contengono. Come può accadere
una cosa simile?
Sandler e Hìraizumi proposero quasi
immediatamente una possibilità: mentre i
cromosomi sono ancora appaiati durante
la meiosi, il cromosoma SD potrebbe fare
«qualcosa» al suo partner {e rivale) e que-
sto, successivamente, causerebbe una di-
sfunzione dello spermatozoo che riceve il
cromosoma normale. Dapprima essi sug-
gerirono che SD potesse fisicamente
spezzare l'altro cromosoma. Tuttavia W.
J. Peacock della Commonwealth Sci enti -
fic and Industriai Research Organization
in Australia, lavorando all'Università del-
l'Oregon con uno studente diplomato.
John Erickson, non fu in grado di confer-
mare i'ipotesi di rottura del cromosoma.
L'osservazione microscopica mostrò che
negli eterozigoti SD (cellule con un cro-
mosoma SD e un cromosoma normale) i
cromosomi attraversavano la meiosi in-
tatti, così che qualunque danno provocato
da SD avrebbe dovuto essere più raffina-
lo della pura e semplice rottura. Peacock
ed Erickson proposero una alternativa
ingegnosa. Qualche tempo prima, a Oak
Ridge, Novitski e Iris Sandler avevano
suggerito sulla base di prove circostanzia-
te che solo due delle cellule spermatiche
prodotte in una singola meiosi sono fun-
zionali, anche in maschi normali. Peacock
ed Erickson pensarono che il cromosoma
SD potesse sfruttare questo fatto riu-
scendo in qualche modo a farsi includere
nelle cellule spermatiche destinate a esse-
re funzionali.
Sembrerebbe semplice poter discrimi-
nare tra le due ipotesi, disfunzione sper-
matica indotta e inclusione preferenziale.
Se SD causa la disfunzione di metà delle
cellule spermatiche, allora i maschi con
un cromosoma SD dovrebbero produrre
solo la metà delle cellule spermatiche
funzionali prodotte da maschi normali e
la ridotta produzione di spermatozoi po-
trebbe venir riflessa in una ridotta fertili-
tà. Il problema è che, normalmente, il
numero di cellule spermatiche prodotte
da un moscerino maschio è molto mag-
giore del numero richiesto per fecondare
tutte le uova di una femmina; quindi la
fertilità non verrebbe ridotta anche se le
cellule spermatiche funzionanti fossero
ridotte della metà. Daniel L. Hartl. che
allora era studente a Wisconsin, Hìraizu-
mi e io scoprimmo un modo per aggirare il
problema. Eseguendo incroci con maschi
molto giovani (che producano meno cel-
lule spermatiche dei maschi adulti) o in-
crociando un maschio con molte femmine
per molti giorni (così da esaurire la riserva
di sperma del maschio) rendemmo la
produzione di sperma il fattore limitante
che determina la dimensione della proge-
nie. Del tutto indipendentemente e quasi
contemporaneamente Benedetto Nico-
lelti e Gianni Trippa dell'Università di
Roma fecero esperimenti simili. I due
gruppi raggiunsero le stesse conclusioni. I
maschi portatori dì un cromosoma
SD producono effettivamente una proge-
nte meno numerosa e diversa da come
dovrebbe risultare se il meccanismo di
inclusione preferenziale fosse quello cor-
retto. Inoltre la dimensione delta proge-
nie era ridotta proprio nella proporzione
attesa nel caso che il cromosona SD causi
una disfunzione delle cellule sperma-
tiche che ricevono il cromosona normale
non-SD.
La prova definitiva dì una disfunzione
causata da SD venne dallo studio al mi-
croscopio elettronico della maturazione
degli spermatozoi. Nicoletti riscontrò che
circa metà delle cellule spermatiche in
maschi SD avevano code di aspetto
anormale. In seguito Peacock, Kiyotcru
T. Tokuyasu e Robert W. Hardy dell'U-
niversità della California a San Diego
confermarono la scoperta dì Nicoletti e
aggiunsero ulteriori dettagli. Essi dimo-
strarono che mentre normalmente ogni
nucleo di un raggruppamento di 64 cellu-
le spermatiche immature (derivato attra-
verso due divisioni meioliehe da 1 6 cellu-
le germinali) diventa piccolo e denso e
forma una testa di spermatozoo, in mo-
scerini portatori di un cromosoma SD e
di un cromosoma normale solo metà dei
nuclei si condensavano normalmente.
L'effetto era ancora più evidente nella
regione della coda delle cellule spermati-
che, che dapprima sono tenute insieme in
una massa singola di protoplasma e poi si
separano e formano 64 code individuali.
In maschi SD solo metà delle code degli
spermatozoi si separano singolarmente
dalla massa, le altre restano unite tra loro.
Le cellule spermatiche difettose erano
chiaramente quelle che non contenevano
il cromosona SD. Questo fu dimostrato
organizzando un esperimento in cui il
cromosoma non-SD dei maschi era resi-
stente all'azione dell WD. In tali maschi
tutte le 64 cellule spermatiche si sviluppa-
rono normalmente.
Da questi risultati si potrebbe ovvia-
mente concludere che SD in qual-
che modo danneggia il suo partner
non-.S'D e lo rende incapace di funzionare
regolarmente. Tuttavia ciò non può esse-
re vero; l'incapacità a svilupparsi non può
essere semplicemente il risultali) dell'in-
capacità a svolgere una funzione normale
richiesta per la maturazione perché è nolo
da molto tempo che il funzionamento di
una cellula spermatica non dipende dal
suo contenuto cromosomico. Già nei
1927 H. J. Muller aveva dimostrato che
una cellula spermatica può funzionare
normalmente anche se molti dei suoi geni
mancano. Egli produsse ceppi di drosofila
in cui alcune delle cellule spermatiche
102
mancavano di parte del materiale cromo-
somico mentre parte delle cellule uovo ne
avevano invece un eccesso; quando questi
spermatozoi e questa uova venivano
combinati, i due errori si compensavano.
e nasceva un moscerino normale.
Più recentemente Dan L. Lindsley di
San Diego ed Ellsworth H. Grell di Oak
Ridge sono siali in grado di produrre cel-
lule spermatiche contenenti il solo cro-
mosoma puntiforme n. 4; ma una tale
cellula spermatica, quando veniva com-
binata con una cellula uovo contenente i
cromosomi complementari in soprannu-
mero, dava origine a un moscerino nor-
male. Dato che era già noto che il quarto
cromosoma non è necessario per il fun-
zionamento della cellula spermatica, re-
sperimento indicava che il funzionamento
dello spermatozoo non richiede alcuno
dei cromosomi spermatici. L'effetto del
cromosoma .SD sul suo omologo allora
non può consistere semplicemente nel-
l'inattivazione di qualche funzione, poi-
ché nessuna funzione è richiesta. SD
deve in qualche modo indurre il suo part-
ner a commettere un deliberato alto di
sabotaggio.
Altre prove vennero da un'analisi di
Laurence Sandler e Adelaide Carpenter
dell'Università di Washington. Essi ana-
lizzarono le conseguenze di un raro errore
nella produzione di spermatozoi da parte
di maschi con un cromosoma SD e uno
normale, da cui risultava che alcune eellu-
MASCHIO
CROMOSOMA
N. 2
COLORE
DEGLI OCCHI
le spermatiche portavano entrambi i cro-
mosomi e alire nessuno. Le cellule sper-
matiche senza cromosomi erano funzio-
nali ma quelle con SD più il cromosoma
normale non lo erano, dal che si deduce
che SD agisce sul suo omologo spingendo-
la a causare, a sua volta, la disfunzione
nello spermatozoo.
Come questo partner normale sia in-
dotto da SD a provocare la disfunzione
non è noto, né è nota la natura della di-
sfunzione. Tuttavia si ha già qualche dato
su ciò che impedisce il funzionamento del-
la cellula spermatica aberrante. Durante
la maturazione delle cellule spermatiche
avviene normalmente un cambiamento
chimico nel nucleo della cellula: la lisina,
uno degli amminoacidi, è sostituita dal
l'arginina. Nei moscerini SD questo pro-
cesso non avviene, almeno parzialmente.
La strada è ormai aperta per uno studio
biochimico che potrebbe fornire i par-
ticolari del fenomeno. A questo stadio
una conclusione emerge chiaramente:
l'effetto di SD è complesso e richiede
un certo numero di processi aitivi; non
basta a spiegarlo il mancato funziona-
mento di qualche processo normale degli
spermatozoi.
Per inciso, è un bene ( dal punto di vista
dell'organismo) che il funzionamento dei-
In spermatozoo non richieda geni funzio-
nali. Se fossero richiesti geni funzionali,
l'insorgenza di un sistema simile a SD
sarebbe facilitata, perché allora tutti i
FEMMINA
MUTANTI
bw
ROSSO
CINABRO
BRUNO
BIANCO
Il moscerino della TiuUaDnisophila melanogasler ha quattro paia di cromosomi. Il cromosoma n,
2 è sede delle mutazioni nel colore degli occhi chiamate rn, da cinnabar ossia cinabro (in colore),
e b%\ da brown ossìa bruno (segmento in nero); il segmento tratteggiato corrispondente rappre-
senta il gene normale (+ i per il colore degù occhi. Gli effetti delle mutazioni sono mostrati in
basso. Due geni normali producono occhi normali rosso scuro. La mutazione cinnabar produce
occhi color cinabro, la mutazione bro h'ji occhi bruni; entrambe le muta/inni insieme producono
occhi bianchi. La femmina di cui sono disegnati i cromosomi ha occhi bianchi. Dato die i geni
normali sono dominanti, i geni mutanti recessivi vengono mascherati e il maschio ha occhi rossi.
cromosomi sabotatori non dovrebbero
far altro che danneggiare il loro partner
abbastanza per prevenirne il funziona-
mento. Nel nostro caso SD deve fare di
più: deve indurre il proprio partner a di-
venire attivamente dannoso per il funzio-
namento della cellula spermatica. È sem-
pre più facile impedire qualcosa che pro-
durre qualcosa di nuovo. Inoltre, se esi-
stessero geni che controllano il funziona-
mento delle cellule spermatiche, ci sareb-
be competizione tra le cellule spermati-
che e un gene che migliorasse la capacità
di fecondare potrebbe diffondersi nella
popolazione. Se per caso un tale gene
provocasse oltre a ciò. per esempio, una
disfunzione del fegato, tanto peggio: il
gene si diffonderebbe comunque, dato
che la selezione a favore di una buona
salute è molto meno efficace della sele-
zione competitiva tra le cellule spermati-
che. Qualunque sia la ragione evolutiva
per il non funzionamento dei geni nelle
cellule spermatiche, ciò rende più difficile
l'insorgenza di sistemi dannosi simili a SD
e inoltre impedisce la dannosa,© per lo
meno inutile, competizione tra cellule
spermatiche portatrici di geni diversi.
T 'analisi genetica del cromosoma SD per
*■* ' localizzare i geni interessati e capire
come essi interagiscono è stata lunga e
difficile. Come ho detto, non c'è alcun
modo per riconoscere un moscerino SD
dal suo aspetto; l'effetto di SD è sui rap-
porti nella progenie e rapporti distorti
possono essere riconosciuti solo quando il
cromosoma è marcato con geni mutanti.
Inoltre, esperimenti con vari ceppi hanno
fornito a volte risultati variabili. Per fini-
re, la mappatura del gene attraverso i tra-
dizionali metodi di crossing-over è stata
complicala dalle sequenze invertite che
ho menzionato precedentemente, che
tendono a sopprimere il crossing-over.
Ciononostante alcuni esperimenti nel mio
laboratorio e in altri hanno stabilito che
l'effetto principale di distorsione della
segregrazìone è causato da due geni che
sono molto vicini l'uno all'altro ma situati
in parti opposte rispetto al centromero, il
punto dove sono attaccate le fibre che
separano i cromosomi durante la divisio-
ne cellulare. Qui chiamerò i geni S, da
segregation distorter (distorsore della se-
gregazione), e R, da responder (corri-
spondente). Se si usa un esponente più
per indicare i geni normali corrisponden-
ti, ci sono quattro tipi dì cromosomi: S-R.
S-R*. S*-R e S*-R*. 11 primo è il cromo-
somaSD, con i suoi due componenti, l'ul-
timo è il cromosoma normale.
I risultati ottenuti incrociando maschi
che possiedono determinate combinazio-
ni di questi cromosomi sono particolar-
mente illuminati (si veda la figura a pagi-
na 108). La prima riga della tabella mo-
stra ancora una volta l'alto grado di di-
storsione della segregazione causato dal
cromosoma SD. La seconda e la terza riga
mostrano che nessuno dei due componen-
ti ha effetto da solo; S e R sono richiesti
insieme. La quarta riga è sorprendente:
quando R è sul cromosoma partner, S
diventa un gene suicida, La quinta riga
MASCHIO CON OCCHI ROSSI
FEMMINA CON OCCHI BIANCHI
PROGENIE
CON OCCHI ROSSI
PROGENIE
CON OCCHI BIANCHI
PROGENIE DELLA MAGGIOR
PARTE DEGLI INCROCI
CIRCA 50 PER CENTO
CIRCA SO PER CENTO
CIRCA 99 PER CENTO
PROGENIE
DI SEI INCROCI
Il cromosoma SD Tu scoperto quando maschi con occhi rossi che porta-
vano un cromosoma n. 2 derivante da un popolazione naturale e uno
derivante da un ceppo di laboratorio con occhi bianchi vennero incro-
ciati con femmine portanti due cromosomi di laboratorio. Sono indicate
MASCHIO CON OCCHI ROSSI
CIRCA 1 PER CENTO
le possibili combinazioni di spermatozoi e cellule uovo. Secondo le leggi
dell'ereditarietà mende liana, metà delta progenie dovrebbe avere occhi
bianchi e metà rossi. La progenie di ognuno dei 200 incroci mostrò il
rapporto atlcso 51) : 50, ma sei incroci produssero solo occhi rossi.
FEMMINA CON OCCHI BIANCHI
cn bw
cn bw
PROGENIE CON OCCHI ROSSI
Questa è l'interpretazione degli strani risultati dei sei incroci. Il rappor-
to nel colore degli occhi (quasi 100 per cento di occhi rossi ) mostra che
il cromosoma n. 2 proveniente dalla popolazione naturale, che porta i
geni normali per il colore degli occhi, è funzionale: si combina con il
cromosoma portante le mutazioni contenuto nell'uovo e produce la
progenie attesa con occhi rossi. Il cromosoma omologo maschile, d'al-
PROGENIE CON OCCHI BIANCHI
tra parte, apparentemente non si combina con successo con un cromo-
soma .simile contenuto nell'uovo e non produce la progenie con occhi
bianchi. Il cromosoma proveniente dalla popolazione naturale distor-
ce il risultato della segregazione: è un cosiddetto «disi orso re della se-
gregazione» (SD) che favorisce la propria sopravvivenza inattivan-
do le cellule spermatiche che contengono il cromosona suo omologo.
104
105
mostra che il cromosoma 5*-/? non risen-
te dell'effetto di distorsione di S-R. Il
gene S deve dirìgere la sintesi di qualche
prodotto che influenza il gene R* sul
cromosoma omologo (o. nel caso del sui-
cidio, sullo stesso cromosoma) per im-
pedire la maturazione regolare della cel-
lula spermatica che contiene quel cro-
mosoma. Come ho sottolineato, l'effetto
deve essere un'azione attiva da parte del
gene R + .
Barry S. Ganetzky, uno studente che
lavorava con Laurence Sandler a Wa-
shington, aggiunse alcuni particolari si-
gnificativi. Egli preparò cromosomi in cui
piccoli pezzi erano stati eliminati per de-
lezione con i raggi X. Ouando veniva eli-
minato il gene S, l'effetto di distorsione
veniva perduto; il cromosoma si compor-
tava come se fosse presente il gene nor-
male. Così il gene 5 sembra fare qualcosa
che non viene fatto da alcun gene sul cro-
mosoma normale; il gene S* è inattivo (o
non esiste). Quando veniva eliminato il
gene R o R*. il cromosoma si compor-
tava come se portasse un gene R ; in altre
parole, il gene R è inattivo. Per ricapi-
tolare: il gene S produce qualcosa che
agisce direttamente sul gene R* norma-
le; quando R* muta o va perduto per de-
lezione, non viene più influenzalo da S.
Ouando ha luogo questo effetto di S su
R*l L'ultima fase in cui i cromosomi
omologhi si trovano nello stesso nucleo e
possono interagire facilmente è durante
la fase precoce delle meiosi. Questo signi-
fica 8 o 9 giorni prima della maturazione
dello spermatozoo, quando il danno effet-
tivo compare. Le prove che confermano
questo periodo di tempo vennero da un
altro esperimento. Se i maschi SD vengo-
no fatti crescere alla temperatura di 1 9 "C
invece che ai normali 25"C, le dimensioni
della distorsione vengono drasticamente
ridotte. Questa sensibilità allatemperatu-
FEMMINA
2 3
MASCHIO
12 3 4
I due errori genetici possono compensarsi quando una cellula uovo (o
una cellula spermatica) anormale contenente materiale cromosomico
in eccesso si combina con uno spermatozoo (o un uovo) con una
deficienza corrispondente. Dal momento che le cellule spermatiche
possono funzionare senza un cromosoma, il distorsore della segrega-
zione (SD) non può agire semplicemente inattivando il suo omologo.
FEMMINA
MASCHIO
SD
CELLULA UOVO ANORMALE
CELLULA SPERMATICA ANORMALE
PROGENIE
Qualsiasi combinazione dì un uovo e di uno spermatozoo anormali con-
tenenti una deficienza e un eccesso del cromosoma n. 2 dovrebbe gene-
rare progenie, come mostra la figura in allo in questa pagina. Questo
non succede quando i due cromosomi nel maschio sono il cromosoma
SD e un cromosoma n. 2 normale. Sebbene le cellule spermatiche che
non portano ne il cromosomaSD né quello normale producano progenie,
quelle che portano sia il cromosoma SD che quello normale non sono
vitali. Evidentemente, quindi, SD ha qualche effetto attivo che induce il
suo omologo a produrre disfunzioni nella cellula spermatica, indipen-
denlementc dal fatto che esso sia o non sia presente nello spermatozoo.
106
CROMOSOMA SD
i T
SEGREGATION RESPONDER
DISTORTER
COMPOSIZIONE GENETICA
DI UN MOSCERINO MASCHIO
s- fl-
S- R
S R
PERCENTUALE DELLA PROGENIE
CHE RICEVE IL CROMOSOMA
99 PER CENTO
SO PER CENTO
50 PER CENTO
1 PER CENTO
SO PER CENTO
l>iif geni mutanti, designati segregation dhtorfer o distorsorc della segregandone (Si e respon-
der ocorrispotidenle{#;, vino principalmente responsabili dell'elTeMo del cromosnma.Vf). Inailo
sono mostrale li- iiuallm possibili eonliinii/inni dei geni mutanti fin cnlnre) e normali (+>. La
tabella dà i risultati degli incroci con cromosomi che portano queste combinazioni. I geni \ e R
insieme esercitami il pieno efTetlii.S'O (1 ), ma nessuno dei due ha efTctto da solo (2. J). Quandi) A è
siilo sul cromosoma omologo, S diventa un gene suicida fJj. Il cromosoma S*-R èrefratlario aii/)
<5), Invece il gene.S agisce sul gene R e lo induce a causare disfunzioni nello spermatozoo.
ra forni un appiglio sperimentale a E lai ne
Munge, allora studentessa a Wisconsin.
Ella abbassò la temperatura di crescita dì
alcuni moscerini da 25 "C a 19 "C per un
breve periodo e accoppiò i maschi dopo la
riduzione di temperatura. Risultò che la
progenie dei maschi incrociati tra 8 e 9
giorni dopo l'intervallo a bassa tempera-
tura mostrava rapporti meno distorti.
Questi esperimenti furono ripetuti atten-
tamente da Yukiko K. Hihara della To-
kyo Metropolitan University, che ottenne
gli stessi risultati. Sembra dunque che il
gene S comunichi con (o comunque in-
fluenzi ) il gene R* sul cromosoma omolo-
go mentre i partner sono appaiati nella
fase precoce della meiosi.
Ganetzky scoprì anche un terzo gene
vicino al centromero chiamato En da
enhancer (potenziatore) in quanto inten-
sifica l'effetto di distorsione. L'efficacia
completa di un cromosoma SD (un rap-
porto nella progenie del 99 per cento o
più) richiede la presenza di tutti e tre i
geni. Un sistema formato da più compo-
nenti come questo deve essersi evoluto
per gradi in un periodo molto lungo. Po-
trebbe avere un effetto disastroso sulla
popolazione, ma sembra che le cose non
stiano cosi. Abbiamo potuto comprende-
re piuttosto a fondo il suo effetto su una
popolazione e possiamo avanzare delle
congetture plausibili sulla sua evoluzione.
Dato che un cromosoma SD viene tra-
smesso a quasi tutta la progenie in-
vece che a metà di essa, dovrebbe diffon-
dersi con la velocità del fulmine in una
popolazione e rimpiazzare rapidamente il
suo omologo. Il motivo per cui il cromo-
soma SD non raggiunge in realtà il 100
per cento è sufficientemente chiaro: un
maschio omozigote per SD (che ha cioè
due cromosomi SD), è quasi sterile; in
alcuni ceppi questi moscerini non soprav-
vivono neppure. In una popolazione di
drosofile la tendenza all'aumento dell'e-
terozigote SD a causa della distorsione
della segregazione è controbilanciata dal-
la tendenza dell'omozigote SD a essere
sterile o a morire. Si può facilmente calco-
lare quale dovrebbe essere la frequenza
dei cromosomi 50 in un sistema di questo
tipo. I calcoli prevedono una frequenza
molto alta, superiore al 50 per cento. E
tuttavia noi troviamo una frequenza, in
natura, inferiore al 5 per cento: deve es-
serci qualcosa dunque che contribuisce a
mantenere bassa la frequenza.
Un freno a SD è costituito dalla presen-
za di vari «geni modifica tori» che abbas-
sano il grado di distorsione; questi geni
sono disseminati lungo tutti i quattro
cromosomi di drosofila e si trovano in
quasi tutte le popolazioni naturali di mo-
scerini. Il freno più importante, tuttavia, è
stato identificato dalla recente scoperta di
Marti che circa metà dei cromosomi
«normali» in una popolazione naturale
non sono S*-R*; sono piuttosto S*'R, e
tali cromosomi sono immuni alla distor-
sione da parte di SD. Non sono ancora
state fatte analisi esaurienti di altre popo-
lazioni, ma probabilmente anch'esse con-
tengono un'alta proporzione di cromo-
somi S+-R,
Penso che possiamo ricostruire ciò che
accadde nel corso dell'evoluzione. In
qualche modo, molto tempo fa, insorse il
cromosoma S-R. Dapprima aumentò ra-
pidamente. L'aumento fu smorzato,
comunque, da un aumento dei cromoso-
mi normali che sono resistenti, aventi
composizione S*-R. Si stabili una compe-
tizione a tre: la tendenza all'aumento del
cromosoma S-R era tenuta sotto controllo
dal cromosoma S" -R. che vanificava il suo
vantaggio metotico. E naturalmente il
cromosoma i'*-/J aveva un vantaggio su
quello normale 5* -R". che non viene tra-
smesso quasi mai quando si trova in cop-
pia con S-R.
Sono state fatte molte analisi matema-
tiche di questo sistema e di altri simili, le
più recenti da parte di Hartl e Brian Char-
lesworth dell'Università del Susscx. I ri-
sultati delle mie simulazioni al calcolatore
sono presentati nel diagramma di pagina
1 10. Ci sono tre tipi di cromosomi che ci
interessano: S-R.S*-R* eS + -R. (Il quar-
to, S-R*. è raro e lo ho ignorato. Non ha
vantaggi selettivi; in effetti, si suicida
quaodo è combinato con S*'R.) La fre-
quenza di ognuno dei tre cromosomi ogni
10 generazioni è riportata in coordinate
triangolari. La proporzione di cromosomi
S-R è indicata dalla distanza dalla base del
triangolo equilatero la cui altezza è I . la
proporzione di cromosomi S'-R* dalla
distanza perpendicolare dal lato destro
del triangolo e la proporzione di cromo-
somi S*-R dalla distanza perpendicolare
dal lato sinistro.
La popolazione naturale deve essere sia-
■* ta S*-R'. Poi insorsero i cromosomi
S-R, presumibilmente in due tempi. An-
che alcuni cromosomi S+-R (e S-R*) do-
vevano essere presenti con bassa fre-
quenza; potevano derivare per crossing-
-over tra i cromosomi S*-R*e S-R. Ho
presunto che i due tipi rari S-R e S*-R
cominciarono con una frequenza di circa
l'I percento, come è indicato dal punto di
inizio vicino all'angolo in basso a sinistra.
Dopo di che ho stimato alcuni valori plau-
sibili per il grado di distorsione e per la
sopravvivenza e fertilità relative delle va-
rie combinazioni di cromosomi. Questi
valori non sono noti esattamente, in
quanto i dati di laboratorio possono non
riflettere i veri valori in natura; il dia-
gramma riflette un insieme di valori plau-
sibili che conduce alla fine a un punto di
equilibrio mollo vicino a quello effettiva-
mente riscontrato in una popolazione na-
turale. Dapprima il cromosoma S-R cre-
sce rapidamente; dopo circa 45 genera-
zioni più di metà dei cromosomi sono di
questo tipo. A causa della sua resistenza
alla distorsione causata da S-R, il cromo-
soma5 + -R comincia al (ora ad aumentare a
spese sia di ,S-fichedi.S*-#\ela traietto-
ria si muove verso l'angolo in basso a
destra del diagramma. Quando il tipoS-ft
diventa raro, non c'è più alcun vantaggio
per S^-R, e poiché esso ha un fertilità
lievemente ridotta, diminuisce in frequen-
za e la traiettoria si muove verso sinistra at-
108
traverso il fondo del diagramma. Quan-
do S*-R diventa raro, S-R aumenta di
nuovo a eausa del suo vantaggio meioti-
co su S*-R*. Dopo circa 325 generazio-
ni si completa un ciclo e il processo è
ripetuto attraverso un ciclo di ampiezza
minore. Il ciclo continua indefinitamen-
te, convergendo a spirale verso il centro.
Solo le prime 1000 generazioni circa
sono disegnate nel diagramma. Alla fine
la popolazione raggiunge l'equilibrio nel
punto indicato dal triangolo al centro
della spirale, con circa metà dei cromo-
somi S-R e il resto diviso più o meno a
metà tra S*-R e S*-R*. Il diagramma
deve rappresentare a grandi linee la sto-
ria della competizione dei tre cromoso-
mi per il vantaggio meiotico. Calcoli e-
satti sono complicati dai molti geni modi-
ficatoti sugli altri cromosomi, che sposta-
no l'equilibrio da una parte o dall'altra.
Nel corso di questo tiro alla fune a tre il
cromosoma S-R «cerca» di associarsi a tut-
ti quei geni modificatoli che potenziano il
suo effetto. En è uno di questi e ci sono
molti altri geni modificatoti minori sul
cromosoma. A questo punto la funzione
delle inversioni multiple sul cromosoma
SD diviene evidente. Impedendo il cros-
sing-over esse mantengono legati i geni
potenziatoli al complesso S-R; senza le
inversioni essi si separerebbero e presto si
troverebbero con la stessa frequenza sui
cromosomi normali e sui cromosomi SD,
Il risultato di questa complessa intera-
zione è che il cromosoma SD sembra esse-
re efficacemente tenuto sotto controllo
dalla presenza del cromosoma S'~R e dai
geni modificatoli, così che la frequenza di
SD nella popolazione non è sufficiente a
provocare molto danno. Il sistema SD e
gli altri sistemi di meiotk drive che si tro-
vano in natura sono quelli a cui la popola-
zione si è adattata in vari modi. Le po-
polazioni in cui un tale adattamento non si
è sviluppato possono semplicemente es-
sersi estinte.
Cosa succederebbe se un sistema come
SD insorgesse in uno dei cromosomi che
determinano il sesso? Per esempio, un
maschio normale produce un ugual nu-
mero di cellule spermatiche portanti il
cromosoma X e il cromosoma Y, cosi che,
quando le cellule spermatiche fecondano
le cellule uovo portatrici di X, vengono
prodotte in ugual numero femmine XX e
maschi XY. Se un complesso SD fosse
localizzato sul cromosoma Y, circa il 1 00
percento della progenie sarebbe costitui-
ta da maschi. Non si conosce nessun cro-
La cuna a spirale mostra la reciproca influenza dei tre cromosomi in
una popolazione di moscerini. Essa è il risultalo di una simulazione al
calcolatore eseguita dall'autore. La proporzione nella popolazione di
cromosomi S-R, S*~R~ e S*-R è rappresentata nel diagrammma in
coordinate triangolari ogni 1 Q generazioni (punti); la frequenza di ogni
cromosoma nella popolazione è misurala lungo una differente altezza
del triangolo equilatero. All'inizio (in basso a sinistra) la popolazione
è per il 98 per cento S+-R+. L'effetto di distorsione di5-#f è controbi-
lanciato dalla resistenza di S* -R, che. a sua volta, ha una fertilità ridotta
in confranto a 5 -li . 1 calcoli basati su valori plausibili di distorsione,
fertilità e sopravvivenza indicano che la popolazione attraversa una
serie di cidi che alla fine la portano a un ponto di equilibrio (triango-
lino in nero) in cui circa il 4 per cento dei cromosomi sono S-R e
perii resto si dividono approssimativamente a meta lraA~*-JJ + eS*-R.
mosoma di questo tipo in Drosophila, ma
quando era studente a Wisconsin Terren-
ce W, Lyttle, ora all'Università di Hawaii,
contribuì a produrne uno. Usando le ra-
diazioni egli provocò uno scambio di
segmenti cromosomici che associò il ca-
rattere SD al cromosoma Y. La distorsio-
ni.- causata da .SD provoca nei maschi por-
tatori di questa traslocazione una sovrap-
produzione di cellule spermatiche conte-
nenti il cromosoma Y, così che tutta la
progenie è costituita da maschi. Una po-
polazione affetta da un simile sistema si
estinguerebbe in poche generazioni per
mancanza di femmine.
Lyttle dimostrò questo effetto con una
popolazione artificiale in condizioni di
laboratorio. Le drosofile venivano fatte
crescere per parecchie generazioni in pic-
cole gabbie, ognuna contenente qualche
migliaio di moscerini. Come atteso, la
popolazione presto non contenne più
femmine e si estinse. Poi Lyttle esegui un
esperimento in cui partiva da una popola-
zione normale in cui introduceva alcuni
maschi pò nato ri della traslocazione. I
cromosomi di questi maschi soppianta-
rono gradualmente i cromosomi Y nor-
mali, e quando furono diventati suffi-
cientemente numerosi, la proporzione
di femmine cominciò a calare. Dopo al-
cune generazioni anche questa popola-
zione si estinse.
Evidentemente un sistema di meialic
drivi', che è già piuttosto dannoso
per uno dei cromosomi non sessuali, può
essere disastroso se è sul cromosoma Y.
W. D. Hamilton della Michigan Slate
University ha suggerito che una ragione
per cui il cromosoma Y è in gran parte
privo di geni in molte specie è che la man-
canza di geni impedisce ai mutanti sopra
ricordati di insorgere e spazzare via la
popolazione.
Un cromosoma Y che causa distorsione
potrebbe rappresentare un controllo bio-
logico ideale per una popolazione di in-
setti. Un esempio di gene a meiotk drive è
già stato scoperto, da George B. Craig
dell'Università di Notre Dame, vicino al
gene che determina il sesso maschile in
Aèdes aegypti, la zanzara della febbre
gialla. Sfortunatamente ai fini di control-
lo, i geni modificatoti nella popolazione
di Aedes aegypti sono così numerosi che il
gene che causa distorsione è piuttosto
inefficace fuori dal laboratorio. Se si vo-
gliono utilizzare i sistemi qui esposti per
controllare le popolazioni di insetti, si
dovranno trovare in laboratorio nuovi
geni distorsori mutanti contro cui la popo-
lazione non possieda una riserva di modi-
ficatoti che riducono la distorsione. Sarà
probabilmente difficile sviluppare mutan-
ti veramente nuovi che non siano già in-
sorti nella popolazione. Potrebbe tuttavia
essere possibile e, in questo caso, si po-
trebbe individuare una nuova tecnica per
la lotta biologica alle specie dannose.
Tra gli altri esempi di geni che barano il
più noto è quello che causa un certo nu-
mero di anomalie della coda in varie po-
polazioni di topi domestici. Questi mu-
tanti sono spesso altamente dannosi o
persino letali in topi omozigoti ed è chiaro
che essi sono troppo frequenti dal punto
di vista dell'interesse della popolazione;
essi dovrebbero venire eliminati dalla se-
lezione naturale. Invece si perpetuano a
causa di frequenze distorte di spermato-
zoi simili a quelle del cromosoma SD. I
topi non sono altrettanto adatti all'analisi
genetica come i moscerini e cosi i dettagli
di questo sistema sono meno noti; super-
ficialmente tuttavia i due sistemi sembra-
no essere molto simili.
Nelle piante si conoscono un certo
numero di casi in cui cromosomi sopran-
numerari che sono dannosi per la popola-
zione vengono conservati a causa dì qual-
che tipo di comportamento in-egolarc.
Uno di questi cromosomi viene trasmesso
in quantità superiore al dovuto riuscendo
a farsi includere preferenzialmente nel
nucleo del tubo pollinico che feconda
l'uovo. Altri cromosomi sfruttano il fatto
che nelle femmine solo uno dei quattro
prodotti della meiosi viene fecondato,
mentre gli altri diventano corpi polari non
funzionali; un cromosoma può barare
cercando di penetrare più spesso degli al-
tri nel nucleo dell'uovo che è destinato a
essere fecondato. In aggiunta a questi e
altri esempi noti in natura, un certo nu-
mero di geni che barano sono insorti in
laboratorio, a volte per caso e a volte
durante appositi esperimenti.
È possibile che i geni che provocano la
melode drive siano più frequenti in natura
di quanto è stato supposto? Gli esempi
finora studiati sono quelli estremi, come
SD. Se SD producesse un rapporto negli
spermatozoi non del quasi 100 per cento
ma, per esempio, del 55 percento, proba-
bilmente non sarebbe mai stato scoperto.
In effetti, è stato suggerito che l'incidenza
di alcune malattie genetiche umane, più
comuni di quanto dovrebbero essere, po-
trebbe essere spiegata attraverso i geni
che causano distorsione, ma ci sono altre
spiegazioni altrettanto plausibili.
I 'eriditarietà mendeliana è un dispositi-
-1— ' vo meraviglioso per rendere l'evolu-
zione causata dalla selezione naturale un
processo efficiente. Sembrerebbe il mi-
glior sistema escogitabile (compatibil-
mente con i limiti imposti dal fatto che i
geni sono fisicamente associati nei cro-
mosomi) per collaudare a fondo ogni
gene in combinazione con molti altri geni,
II sistema mendeliano funziona con effi-
cienza massima solo se è scrupolosamente
imparziale con tutti ì geni, È in costante
pericolo, tuttavia, di essere scardinato da
geni che sovvertono il processo meiotico
per il proprio vantaggio. Se questi geni
hanno un effetto dannoso (come nel caso
della sterilità o della letalità indotta dal-
l'omozigosi SD ), la popolazione è indebo-
lita in modo diretto. Anche quando i geni
che barano non sono dannosi di per sé,
essi inibiscono il processo evolutivo dimi-
nuendone l'efficienza. Ci sono molti per-
fezionamenti nella meiosi e nella forma-
zione degli spermatozoi il cui scopo è ve-
rosimilmente di rendere difficile il gioco
scorretto. E nonostante ciò alcuni geni
sono riusciti a sconfiggere il sistema.
Un metodo
nuovo per
il controllo
delle nascite
Anche nelle farmacie italiane vi è og-
gi il Progestasert un contraccettivo
diverso, e più avanzato, rispetto ad
ogni altro Già impiegato con succes-
so all'estero, è stato ora approvato an-
che dal nostro Ministero della Sanità.
Guardandone la fotografia, si potreb-
be scambiare il Progestasert per uno
dei vari Intra-Uterine-Devices o I.U.D.,
ad effetto puramente meccanico. In
realtà it Progestasert. è un minuscolo
strumento di precisione m materiale
biologicamente "compatibile* che li-
bera nell'utero l'ormone naturale fem-
minile, ti progesterone, secondo un
programma ottimale e prestabilito;
65 millesimi di mg al giorno per un
anno. Attua cosi una contraccezione
"ormonica", ma solo locale, senza
coinvolgere l'intero organismo come
inevitabilmente fanno gli ormoni som-
ministrati per bocca. Il Progestasert
previene la fecondazione rendendo
r "ambiente" sfavorevole al passaggio
e alla sopravvivenza degli spermato-
zoi, e in seconda istanza rende l'utero
"inaccessibile" all'uovo fecondato.
Realizzato dalla Alza di Palo Alto
(Calif.. U.S. A.), i cui "Sistemi" per la
somministrazione controllata e pro-
grammata dai farmaci costituiscono
un'autentica rivoluzione terapeutica,
il Progestasert è distribuito in Italia
dalla Recordati di Milano.
Ben tollerato ed efficace in una altis-
sima percentuale di casi, il Progesta-
sert è una valida alternativa alle "pil-
lole" nelle donne che vogliono evitare
gli effetti generali degli ormoni o che
preferiscono un contraccettivo che le
liberi da obblighi quotidiani o dal timo-
re di "dimenticanze".
110
111
Le micorrize
In campo agrìcolo e forestale si potrebbero trarre notevoli vantaggi
dall' utilizzazione di un fenomeno esistente in natura: l'associazione
simbiotica tra la radice di una pianta e particolari funghi del terreno
di Paola Bonfante Fasolo
11 1 micorrize (dal greco mycos fungo e
ryzon radice) sono associazioni
.J stabili formate da funghi del ter-
reno e radici di piante superiori. Le mi-
corrize assumono spesso il carattere di
vere e proprie simbiosi mutualistiche da
cui entrambi i partner - uno autotrofo per
il carbonio, la pianta, e l'altro elcrotrofo,
il fungo - traggono ampi benefici che si
concretano macroscopicamente in un più
rigoglioso sviluppo della pianta nel suo
complesso. Inoltre la valenza ecologica
dei due simbionti risulta di gran Junga
aumentata, soprattutto nei terreni poveri
di clementi minerali. Questa importante
caratteristica può portare in prospettiva a
notevoli vantaggi in termini applicativi.
La razionale utilizzazione della micorrizìa
CORPO FRUTTIFERO
FORMAZIONE 01 UNA
ECTOMICORRIZA FUSIONE DI DUE
MICELI PRIMARI
Nrl lutigli simbionte la miciirrizazinnc è una lappa fondamentale per il completamento del ciclo
i itale. In un fungo basidi ornicele, te spore, originale dal corpo fruttifero, germinano e formano
miceli primari, monti nuclea li, I miceli primari compatibili si fondono tra loro due a due. produ-
cendo un micelio secondario, carutlerizzato da due nuclei appaiali (dicarion). Sotlo l'influenza di
diversi fatlori ambientali il micelio secondario dicariale si associa alla radice opportuna, formando
l'ccl orni corri M. Solo in seguilo allo stabilizzarsi (Iella simbiosi il bingo (hi origine al corpo frut-
tifero. Il processo può essere mollo lungo:! pochi (lati rimira a disposi/ione suggeriscimi] che possa
intercorrere almeno una stagione vegetativa completa Ira le due tappe. Nell'imcnio d c | corpo
fruttifero (zona di differenziamento delle slrulture riproduttive) avvengono i protessi tipici della
riproduzione sessuata cioè la cariogamia e la meiosi con la successila formazione di spore mono-
nu dente. Le spore germinando chiudono il cielo. Alcune ricerche compiute sul tartufo naitifTuber
melanosparum) suggeriscono che questa sequenza di eventi sia valida anche per gli ascomiceli.
può permettere infatti una diminuzione
dell'uso dei fertilizzanti negli impianti
agronomici e determinare un notevolis-
simo risparmio, salvaguardando contem-
poraneamente l'equilibrio ecologico del-
l'ambiente.
Certo, nessuno si sarebbe aspettato
implicazioni di questo genere, quando le
micorrize furono scoperte circa 100 anni
fa prima dal botanico G. Gibelli e poi dal
filopatologo tedesco A. B. Frank. Que-
st'ultimo osservò nell'apparato radicale
di alcune eupulifere (o fagacee) la presen-
za di strutture davate, rigonfie, prive di
peli radicali che. all'osservazione micro-
scopica, rivelavano essere costituite da
una radice avvolta da un intreccio di ifc
fungine. Ben presto si scoprì che la micor-
rizia non rappresentava un aspetto pato-
logico nel ciclo vitale di alcune piante -
come si era ipotizzato in un primo le mpo-
ma che era ampiamente diffusa nel regno
vegetale e presente sulle radici di quasi
tutte le piante. Oltre alle micorrize rico-
nosciute da Frank - tipiche delle piante
ad alto fusto e dette cctomicorrize - nu-
merosi altri tipi vennero descritti e classi-
ficati in base alle caratteristiche morfolo-
giche dell'associazione e alla posizione
sistematica del fungo e della pianta.
La classificazione più accettata è basa-
ta su criteri morfofunzionali e compren-
de diverse categorie. Sono tipiche delle
piante ad alto fusto (pini e abeti tra le
gimnosperme; betulle, salici, pioppi,
noccioli, carpini, castagni, querce e faggi
tra le angiosperme) le cosiddette ecto-
mieorrize. In questo tipo di mieorriza. i
funghì formano un mantello di ife attor-
no alla radice (micoelena), scendono tra
le cellule corticali, ma non penetrano
mai all'interno delle cellule. I funghi
hanno per lo più un micelio settato,
appartengono alla classe degli ascomice-
li (per esempio al genere Tuber) ma più
frequente me nie a quella dei basidiomi-
celi (per esempio ai generi Amanita. Bo-
letus. Hebeloma. Laauritts ecc.). Essi
completano il loro ciclo vitale solo se as-
sociali alle radici di piante opportune,
dando cosi origine a cospicui corpi frutti-
feri, ricchi di spore che germinando pro-
ducono di nuovo il micelio simbionte.
Molti dei funghi mangerecci e velenosi
comuni nei nostri boschi rappresentano
così l'ultimo stadio del ciclo vitale dei
funghi simbionti. Sovente le associazioni
tra pianta e fungo non sono strettamente
specifiche, per cui è possibile trovare un
porcino sotto un castagno o sotto un abete
e un tartufo bianco sotto un pioppo o una
quercia. In altri casi invece le relazioni
sono più strette: per esempio. BoUtttS
elegans si trova solo in associazione con
il larice.
Le e ndo micorrize rappresentano, inve-
ce, una categoria molto eterogenea, il cui
fattore unificante è dato dalla costante
presenza di un micelio simbionte all'in-
terno della cellula. Le endomicorrize ve-
scicolo-arbuscolari sono diffusissime in
tutto il regno vegetale, nelle briofite, nelle
felci, nelle gimnosperme, nelle angio-
sperme (quasi tutte le piante erbacee, le
graminacee, il tabacco e anche gli alberi
da frutto e la vite). Sono sostenute da un
micelio asetlato, appartenente al gruppo
dei Scorniceli, più precisamente alla fa-
miglia delle Endogonaceae. Tra i più
comuni si possono ricordare i generi
Clomus, Acaulaspora e Sclerocystis. Tra
questi funghi e le piante ospiti non esisto-
no quasi rapporti di specificità. Le endo-
micorrize delle Ericales si trovano in tutti
gli appartenenti a questo ordine a livello
delle radici più sottili (le cosiddette hair
mais), sono sostenute da miceli settati,
recentemente identificati come ascomice-
li. Le endomicorrize delle orchidee si tro-
vano nelle radici di tutte le piante della
famiglia in condizioni naturali e presen-
tano un micelio settato, appartenente ai
hasidiomiceti. Questo tipo di mieorriza
per la concomitante presenza di un fungo
simile, dal punto di vista fisiologico, più a
un saprofita che a un simbionte e di un
ospite che, almeno in una fase, non è foto-
sintetico, si differenzia profondamente
dalle altre micorrize.
Le e ctoen do micorrize sono associazio-
ni tipiche delle pinacee con caratteri in-
termedi tra i due grandi gruppi prima
elencati. I funghi simbionti, non identifi-
cati, formano un lasso intreccio sulla radi-
ce e penetrano ampiamente nelle cellule
corticali.
Da questa pur non completa classifica-
zione è già evidente come la micor-
rizia rappresenti un mondo estremamen-
te eterogeneo, comprendendo complessi
problemi sistematici ed ecologici, anato-
mici e fisiologici sia botanici sia micologi-
ci. Dato l'estremo interesse applicativo in
campo forestale e agronomico sollevato
dalle cctomicorrize e dalle micorrize ve-
scicole -a rbu scola ri, solo questi due grup-
pi verranno trattati. Inoltre, poiché le
conoscenze attuali non sono ancora tali
da permettere un'analisi esauriente degli
aspetti più strettamente legati all'ecologia
del fungo simbionte e all'interazione e
competizione dei due organismi (capacità
di produrre sostanze ormonali e antibioti-
ci che regolano gli equilibri pianta, fungo
micorrizico, microrganismi del suolo),
solo uno schema ancora grezzo degli
Ecco come appare allo stereomicroscopio. a basso ingrandimento, una ceto mieorriza di nnc-
ciolo e tartufo nero (Tuber meianosporum). È una struttura etavata e rigonfia, facilmente distin-
guibile dalle altre radici. Dalla sua superfìcie si diparte un lasso intreccio di ife. Sono proprio
queste ultime ad avere una notevole importanza nell'assorbimento del fosforo dal terreno.
aspetti ana tomo-funzionali dei due orga-
nismi può essere tentato con qualche pos-
sibilità di successo.
Le ectomicorrize sono le micorrize più
tipiche, in quanto il complesso fungo-ra-
dice raggiunge una sua identità morfolo-
gica e funzionale diversa dai due compo-
nenti di origine, in modo non dissimile da
quanto accade per le alghe e i funghi
quando si associano a dare i licheni. Ma-
croscopicamente le radici secondarie in-
fettate dal micelio micorrizico si differen-
ziano dalle altre radici per l'aspetto dava-
te, rigonfio e l'assenza di peli radicali. Al
microscopio ottico in una ectomicorriza si
distinguono all'esterno la micoelena e al-
l'interno il reticolo di Hartig,
La micoelena o mantello fungine è co-
stituita da ife fungine intrecciate tra dì
loro a formare uno pseudotessuto, di
spessore variabile tra i 30 e i 500 micro-
metri. Talvolta essa risulta ornata di seto-
le o spinuìe che possono essere utilizzate
insieme con il colore del mantello per ri-
conoscere i diversi tipi di micorrize. Sono
talora presenti veri e propri fasci di ife
(cordoni miceiiari) che uniscono la mieor-
riza al corpo fruttifero. Lo strato più pro-
fondo della micoelena (che rappresenta il
30-40 per cento del volume totale della
Al microscopio ottico in una sezione trasversale di ectomicorriza sono facilmente distinguibili due
zone: la micoelena e il reticolo di Hartig. In questa ectomicorriza di nocciolo e di Tuber brumale,
la micoelena È costituita da 5-6 strati di ife fittamente addossate. Dalle ife verso l'esterno si
dipartono sottili setole, che rappresentano un carattere distintivo proprio delle micorrize di
tartufo. Al contrario, dallo strato più interno della micoelena si dipartono ife che penetrano
Ira le cellule dell'epidermide, le circondano e formano il reticolo di Hartig. La fotografia a
sinistra ha un ingrandimento di 180 volte, mentre quella a destra ha ingrandimento doppio.
112
113
Ini» (.'lime appari* al microscopio 'litici» una sezione longitudinale completa di una radice micorrìza-
ta di vile. All'esterni! fin alto e in hawn) l 'esoderma siilieriiìcalo non risulta infetlatii, menlre lo è in
tnniiii massiccio lutto il parenchima corticale. In me/m è evidente il cilindro centrale coti gli ctemen-
li vascolari spiralati. Con la colorazione usata (soluzione di Lugol e blu lattico) il fango si colora in
blu violetto: esso riempie lultc le cellule corticali comprese ira l'esoderma e il cilindro centrale.
radice) è in contatto con l'epidermide del-
la radice. Spesso in questa zona sono evi-
denti cellule di color scuro della pianta
ospite, ricche di materiale interpretalo
come tannino. Per molto tempo questi
depositi vennero spiegati come una rea-
zione dell'ospite all'infezione fungina;
recenti ricerche hanno tuttavia dimostra-
to che essi possono essere presenti anche
nelle piante non micorrìzatc.
Le cellule dell'epidermide e quelle dei
primi si rati del parenchima corticale sono
avvolte da ife fungine che costituiscono il
cosiddetto reticolo di Hartig. É questo un
carattere distintivo, tipico delle ectomi-
corrìze: può essere più o meno sviluppato
e può estendersi fino all'endodermide.
senza però mai superarla.
Il processo di infezione che inizia in
genere nella zona sottostante l'apice e
richiede fino a 3-4 mesi di tempo per
compiersi perfettamente, determina una
serie di cospicui cambiamenti anatomici,
primo fra tutti la scomparsa della cuffia
che viene probabilmente decomposta e
incorporata nel mantello fungino. Gli
importanti studi di F, A. L. Clowes verso
il 1950 hanno dimostrato che. parallela-
mente alla forma diversa dell'apice che
risulta tondo mentre quello non micorri-
zico è allungato, il parenchima corticale si
vacuolizza più precocemente, l'endoder-
mide più in fretta si impregna di tannini e
il protoxilema più velocemente lignifica.
Lo studio al microscopio elettronico si
è rivelaio molto utile soprattutto per chia-
rire i rapporti che si stabiliscono tra ospite
e lungo. NeH'ectomicorriza è risultato
evidente che nel reticolo di Hartig la pian-
ta e il fungo sono a diretto contatto tra di
loro: la zona di contatto che prende il
nome di interfaccia (termine preso a pre-
stito dai patologi vegetali) è costituita dal-
le due pareti giustapposte. Questo avvie-
ne perche le ife fungine scorrono tra le
cellule della pianta ospite, passando at-
traverso la lamella mediana, costituita
fondamentalmente da pectina. In effetti
in alcuni funghi ectomicorrizici, che si
possono ottenere in coltura pura con rela-
tiva facilità, è stala dimostrata la capacità
di utilizzare la pectina come unica sorgen-
te glieidica.
Decisamente più complesse da un pun-
to dì vista morfologico - anche se
non riconoscibili macroscopicamente -
risultano le radici con mieorrize vescico-
lo-arbuscolari. Infatti il fungo, spostan-
dosi dall'ambiente esterno dove soprav-
vive sotto forma di grosse spore (di 40-
1 50 micrometri di diametro) disperse net
suolo, penetra con un micelio glrossolano
(6-8 micrometri di diametro) di color gial-
lo chiaro nelle radici secondarie. Le sue
modalità di penetrazione sono diverse:
passa attraverso peli radicali svuotali
oppure forma appressori (strutture slar-
gate con la forma di una coppa rovesciata)
che originano ife intercellulari. Queste
ultime penetrano all'interno delle cellule
degli strati più esterni, formando avvol-
gimenti detti gomitoli. Le ife fuoriescono,
all'ondano nella radice, entrano nuova-
mente nelle cellule e lì si dividono in tanti
rami sottili, non più apprezzabili nelle
loro terminazioni più fini al microscopio
ottico, fino a dare una struttura estrema-
mente complessa delta arbuscolo. Esso
riempie, secondo recenti calcoli effettuati
dalla scuola inglese di P. B. Tinkere col-
laboratori a Leeds fino al 10 per cento
dell'area cellulare. In breve tempo (calco-
lalo tra i 5 e i 9 giorni) l'arhuscolo degene-
ra, collassa, rimanendo nella cellula solo
sotto forma di masse di pareti fungine
amorfe. 11 fungo può anche formare delle
grosse strutture ipertrofiche: le vescicole.
Queste sono corpi di 40-80 micrometri di
diametro, hanno parete spessa e sono ric-
che di grassi; sì possono trovare indif-
ferentemente dentro o fuori le cellule,
negli strati più interni e in quelli più ester-
ni. Tutto il processo d'infezione si compie
in tempi relativamente brevi (40-50 gior-
ni al massimo): recenti lavori hanno infat-
ti dimostrato che in molte piante (zucche,
pomodori, patate) si possono distinguere
tre fasi: una /ag - fase (dì quiescenza) nei
primi 20-30 giorni, una fase di massimo
sviluppo della mìcorriza nei successivi
35-50 giorni e infine una fase costante, in
cui l'intensità della mici mi/a/ ione non
subisce variazioni.
L'analisi ultrastrulturalc delle cndomi-
corrize vcscicolo-arbuscolari ha portato
notevoli contributi a causa della moltepli-
cità degli aspetti assunti dal fungo all'in-
terno della radice durante il suo ciclo vita-
le. Tuttavia i dati più interessanti sono
derivati dall'osservazione del fungo intra-
cellulare: esso infatti appare sempre se-
parato dal citoplasma della cellula ospite
a opera di un'unità di membrana identifi-
cata con il plasmalemma dell'ospite. Il
plasmalcmma si invagina profondamente
al momento della penetrazione del fungo,
fino a seguirlo in tutte le sue ramificazio-
ni. In questo modo il plasmalemma au-
menta fino a 3 volle la sua lunghezza ri-
spetto al valore originario, considerato
pari al perimetro della cellula. Inoltre,
dati su diversi tipi di mieorrize vescicolo-
-arbuscolart (nella cipolla, in Orniihago-
lum umbellatum, nel tabacco) mostrano
chiaramente che è sempre presente un
materiale variamente strutturato interpo-
sto tra la parete del fungo e il plasmalem-
ma dell'ospite. Recenti ricerche, svolte
nel nostro laboratorio, mostrano che que-
sto materiale è sicuramente elaborato dal-
la pianta ospite e che è mollo affine -
almeno vicino al punto di penetrazione - a
una parete primaria costituita da pectina,
da piccole quantità di cellulosa e anche da
una componente proteica. Questa situa-
zione non è tuttavia anomala nel mondo
vegetale; tutti i patogeni fungini cono-
sciuti determinano infatti una sorta di
reazione nella pianta ospite che consiste,
come nel caso delle mieorrize vescicolo-
-arbuscolari, nella deposizione di mate-
riale tra la parete del fungo e il plasma-
lemma invaginato. Tuttavia, nel caso dei
funghi patogeni, il materiale spesso iden-
tificato come callosio può essere deposto
in modo cosi massiccio da bloccare nelle
piante resistenti l'avanzata del fungo. È
quindi evidente che nel caso delle endo-
micorrize - ammesso che si possa parlare
di reazione dell'ospite all'infungamento -
questa reazione è decisamente attenuata.
Il microscopio elettronico ha inoltre
chiarito le modalità di formazione del-
l'arbuscolo fungino e della sua degenera-
zione. L'ifa fungina intracellulare di circa
2 micrometri di diametro entra all'interno
della cellula ospite, provocando, come si è
già detto, una distensione della parete e
un'invaginazione del plasmalemma, se-
condo un'interpretazione basata esclusi-
vamente su dati morfologici. L'impossibi-
lità di coltivare il fungo simbionte in col-
tura pura impedisce infatti di saggiarne le
possibili attività enzimatiche. Una volta
penetrato all'interno della cellula, il fun-
go si divide ripetutamente dando rami
sempre più piccoli, fino a 0,5 micrometri
di diametro. In queste aree terminali il
protoplasma fungino mostra un'abbon-
dantissima vacuolizzazione e chiari segni
di degenerazione: gli organetti non sono
più riconoscìbili, tutto il protoplasma re-
siduo si coagula in una sorta di massa
scura amorfa. Intanto, un setto di neo-
formazione separa l'area più basale anco-
ra viva da quella apicale ormai degenera-
ta. Alla fine del processo le due pareti
dell'ila ormai svuotala collassano, dando
origine a tipiche virgole scure che si riuni-
scono in masse o più o meno estese a
seconda dell'età dell'arbuscolo. Poiché il
processo è continuo, in una foto al micro-
scopio elettronico si possono osservare
tutti gii stadi: dai rami più basali, ai rami
più sottili ancora integri fino alle masse
ormai del tutto Usate.
Contemporaneamente, nella cellula o-
spitesi osserva lui notevole aumento della
quantità di protoplasma: P. B. Tinker e i
suoi collaboratori hanno calcolalo le su-
perfici occupate dal protoplasma fungino
e da quello ospite su microfotografie elet-
troniche seriale, integrando poi le singole
aree con l'aiuto di un calcolatore e rica-
vando i valori dei volumi del protoplasma
cellula per cellula. L'incremento è deci-
samente notevole: il protoplasma delle
cellule non infungate è 1 /23 di quello del-
le cellule micorizzate. Una conferma indi-
retta di una così notevole stimolazione
della sintesi proteica è data dalla costante
presenza di un abbondante reticolo en-
doplasmico ruvido.
In termini anatomici, il rapporto ospi-
te-simbionte non è dissimile da un rap-
porto ospite-parassita eppure il rapporto
fisiologico È sicuramente una simbiosi
mutualistica, come si è detto fin dall'ini-
zio. In effetti fin dalle prime esperienze
a ^^
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f
T^& *
i
Jgj
1 , ■
Nel disegno a sinistra è veli e mal izza In il comportamento del fungo en-
dosimbionlc all'inlemo della radice. Il micelio, penetrato dall'ambien-
te esterno mediarne si mi Iure delle appressori (ai. Torma degli avvolgi-
menti o gomìtoli (b) negli virali cellulari più superficiali, diffonde l'infe-
zione per mezzo di lunghe ife intercellulari (e), penetra dentro le cellule
corticali e li si divide ripetutamente a dare l'arbuscolo che. dopo un cer-
lo tempo, degenera (d) in masse amorfe, come mostra la sequenza a
pagina 116. Sono pure presenti numerose vescicole (e) . Gli stessi quadri
sono documentati nelle mitro fotografie eseguile su sezioni longitudi-
nali di radici di Ornithogalum iimMlatum micorizzate con Glomitssp.
Nella microfotografi a nella pagina a fronte è ripresa a piccolo ingran-
dimento (175 volle) un'infezione, massiccia soprattutto nella fascia
centrale della radice, sotto forma di arbuscoli. Il fango si adagia sulle
cellule esteme della radice formando una struttura delta appressorio
Ileo visibile nella niicrofolug ralla in questa pagina a sinistra, ingrandita
350 volte. (Jui sopra al centro è fotografato, con un ingrandimento di 700
volle, un gomitolo formalo da ile che si avvolgono all'interno di una
cellula corticale. Infine all'estrema destra si possono osservare una
grossa vescicola dalla spessa parete e le ire interne distributrici dell'infe-
zione. Anche nell'ultima microfotografia l'ingrandimento è di 350 volte.
114
115
L'arbuscoto è uno dei punti fondamentali deh
l'eli do mie orrida veseìeolo-arbuseolare. sia da
un punto morfologico che funzionale. In que-
sta fase infuni il fungo ramificandosi aumenta
la sua superficie e quindi l'area di scambio
con la cellula ospite- Nel disegno si possono
vedere le tappe della sua formazione. L'ira
fungina intercellulare penetra dentro la cellu-
la producendo una distensione della parete
dell'ospite e una invaginazione profonda del
plasmalemma. Il fungo si divide ripetutamen-
te Uno a dare l'arbuscolo. Tutti i rami fun-
gini risultano avvolti dal plasmale mina uspile
con l'interposizione di un materiale spesso
simile alla parete primaria dell'ospite. Nei
rami più sottili un setto separa la zona apicale
svuotata da quella basale integra. Nella par-
te apicale le pareti collassano e rimangono
come masse amorfe all'interno della cellula.
compiute sulle micorrize si osservò come
le piante micorrizate avessero l'apparato
radicale, i fusti, la chioma più sviluppati
delle piante non micorrizate. in identiche
condizioni ambientali. È questo il cosid-
detto effetto di stimolazione della cresci-
ta, valido per quasi tutti i funghi ectomi-
corrizicì ed endomicorrizid.
Data l'estrema importanza di questo
effetto crescita in termini applicativi, può
essere significativo cercare di capire come
esso si realizza. Per far questo si devono
considerare alcuni aspetti fisiologici della
pianta micorrizata, riguardanti fonda-
mentalmente la nutrizione glicidica e
quella minerale con particolare riguardo
al fosforo e all'azoto.
Tutta l'associazione micorrizica può
essere vista come un sistema di
scambio tra un'organismo autotrofo perii
carbonio (la pianta) e un organismo ete-
rotrofo (il fungo). Infatti in una pianta
micorrìzata si realizza un «cono circuito»
del materiale organizzato che. fotosinte-
tizzato dall'ospite, passa direttamente al
fungo dove viene immagazzinato. Questo
dato è quaniitativamente rilevante (da
recenti calcoli di J. L. Harley viene valuta-
to intorno al 1 per cento del materiale to-
tale prodotto dall'ospite al netto della re-
spirazione, cioè circa 500 chilogrammi per
ettaro in un anno in una foresta dei climi
temperati). Fin dalle classiche esperienze
della scuola svedese di E. Melin verso la
metà degli anni cinquanta, questo flusso
di carboidrati dall'ospite al fungo è stato
inequivocabilmente dimostrato nelle ec-
tomicorrize con l'uso di anidride carboni-
ca marcata con carbonio 14. Il carbonio
radioaltivo è stato ben presto ritrovato
nel mantello fungino in elevata quantità,
evidenziando cosi un meccan ismo tipico di
molte altre associazioni tra autotroft ed
eterotrofi come per esempio i licheni.
Con queste ricerche si suggerì anche una
diretta relazione tra fotosintesi e micorri-
zia: zuccheri solubili in parte presenti nel-
la radice in parte riversati all'esterno
come essudati radicali rappresentano lo
stimolo necessario per attrarre il micelio
simbionte e quindi per stabilizzare suc-
cessivamente l'infezione. In questo modo
venne messa in evidenza una diretta rela-
zione tra i fattori che influenzano la foto-
sintesi (luce, temperatura, fotoperiodo) e
intensità di micorrizazione.
Le modalità con cui il fungo cctosim-
bionte riceve e accumula gli zuccheri pro-
venienti dalla pianta furono chiarite solo
successivamente, attraverso una serie di
eleganti ricerche sul faggio, svolte tra il
1965 e il 1970 a Oxford da parte di J. L.
Harley e collaboratori. Somministrando
zuccheri e poi controllandone il flusso,
essi chiarirono che il saccarosio compare
dopo 24 ore nei tessuti dell'ospite e che
dalle cellule dell'ospite lo zucchero viene
traslocato al fungo per circa il 70 per cen-
to nel mantello e per il 30 per cento nel
reticolo di Hartig. È probabile che il sac-
carosio venga dapprima sottoposto all'a-
zione di una invertasi, che lo scinde in
glucosio e fruttosto . In realtà i funghi ec-
tomicorrizici in genere non crescono bene
su saccarosio. Nel complesso il fenomeno
di assunzione in vitro di zuccheri esogeni
da parte di una radice micorrizata è tre vol-
te più veloce rispetto a quello della radice
non infungata. Infine il glucosio porta al-
la sintesi di glicogeno e di trealosio, men-
tre il fruttosto porta alla sintesi di manni-
tolo (sì veda lo schema della possibile via
metabolica nella figura in alto a pagi-
na 121). Poiché il glicogeno è insolubile,
mentre il trealosio e il maunitoio sono
solubili, ma praticamente non utilizzabili
dall'ospite che non possiede gli enzimi
necessari, ne deriva che gli zuccheri ac-
cumulati, per lo più nel mantello fungino.
non sono più disponibili per la pianta e
che il flusso di carboidrati nella cctomi-
corriza è quindi a senso unico. Comunque
nel fungo micorrizico gli zuccheri ottenuti
vengono immediatamente utilizzati per il
metabolismo (per esempio nella respira-
zione), permettendo così di mantenere un
gradiente di concentrazione tale da assi-
curare un continuo flusso di zuccheri dal-
l'ospite al fungo.
Anche per le micorrize vescicolo-arbu-
scolari è stato possibile dimostrare il pas-
saggio di materiale fotosìntetizzato dal-
l'ospite al fungo, ma, a differenza delle
ectomicorrize. nessun ricercatore è mai
riuscito a dimostrare in quale forma esso
venga traslocato e se poi successivamente
venga accumulato nelle ife. Infatti né il
trealosio né il mannitolo sono mai stati
messi in evidenza, fatto tra l'altro abba-
stanza sorprendente poiché il trealosio è
un disaccaride comune in molti fieomice-
ti. Bisogna però ricordare che nell'endo-
micorriza il rapporto tra la massa del fun-
go e la massa dell'ospite è molto basso e
che il fungo non è coltivabile «in vitro»
per cui i dati biochimici risultano più diffi-
cili da ottenersi di quanto non avvenga
nelle ectomicorrize. In questo caso è la
morfologia a suggerire una spiegazione:
nel fungo delle micorrize vescicolo-ar-
huscolari sono sempre presenti notevoli
quantità di lìpidi: per di più, con tecniche
auto radiografi che si è visto che, già 27 ore
dopo la somministrazione di anidride
carbonica marcata con carbonio radioat-
tivo, una notevole attività viene segnalata
nelle ife e nelle vescicole ricche di lipidi.
Si può allora pensare che almeno una par-
te dei carboidrati che arrivano al fungo
dall'ospite subiscano una trasformazione
in lipidi. È chiaro però che nell'endomi-
corriza non esiste nulla di simile a quel
vero e proprio organo di accumulo e ri-
serva che è la micoclena nelle ectomicor-
rize: non è forse troppo fantasioso asso-
ciare la presenza della micoclena a funghi
che. da una parte, sono in simbiosi con
piante a lunga vita e che quindi nell'arco
dell'anno alternano periodi di attività a
periodi di stasi vegetativa e, dall'altra,
producono organi duraturi (le ectomi-
corrize e i corpi fruttiferi) che richiedono
un notevole dispendio energetico per la
loro formazione. Ben diversa è quindi la
situazione dei funghì endomicorrizici che
si trovano fondamentalmente associati a
piante con ciclo annuale e presentano essi
stessi una vita molto più breve (si può
ricordare che un arbuscolo dura 9 giorni
Al microscopio elettronico le informazioni più interessanti si ottengono
dall'analisi dell'interfaccia tra pianta e fungo. Nell'endomicorrìza si
possono osservare due tipi fondamentali di interfaccia: una relativa al
fungo intercellulare in cui il fungo occupa uno spazio schizogeno dilatan-
dolo, per cui le sue pareti sono a diretto contatto con le pareti delle cellule
ospiti (microfotografia a sin istra con un irigrandimen lo dì 12 000 vti ite)
e una relativa al fungo in tt»Qe\lvABie(microf olografia a destra con un in-
grandimento di 35 000 volle). Il fungo è separato dal citoplasma dell'o-
spite dal plasmalemma invaginato mediante l'interposizione di una ma-
trice che, in questo caso, appare morfologicamente molto simile alla
parete primaria dell'ospite. Nella cellula della pianta ospite sono eviden-
ti plastidi con globuli densi, mitocondri e reticolo endoplasmico ruvido.
mentre la micoclena e il reticolo di Hartig
durano anche più stagioni).
Prima di concludere il discorso sul flus-
so dei carboidrati, bisognerà ricordare
che oltre alla via «biotrofica» fin qui de-
scritta, alcuni autori ipotizzano una via
necrotrofica per cui il materiale fungino
collassato verrebbe utilizzato direttamen-
te dalla pianta. Si tratta della teoria della
«digestione» che, proposta per le micor-
rize di orchidee da H. Burgeff, fu poi este-
sa alle micorrize vescicolo-arbuscolari ed
è stata sostenuta su basi morfologiche dal-
la scuola russa: finora però non dispo-
niamo di alcun dato fisiologico a favore di
questa interpretazione.
Il fosforo è un elemento fondamentale
nei più importanti processi biologici,
data la sua duplice funzione strutturale ed
energetica. Il fosforo è presente nel suolo
Ecco come appare al microscopio elettronico a scansione, con un in-
grandimento di 2400 volte, l'arbuscolo, la cui formazione è schematica-
mente illustrata nella figura della pagina a fronte. Le microfotografie ri-
prodotte in questa pagina sono state eseguite dall'autrice dell'articolo.
116
117
sotto forma minerale insolubile, salificato
con calcio, o sotto forma di complessi
organici o ancora fortemente adsorbito
alla frazione argillosa del terreno come
fosfato tricalcico. Solo in minima parte è
solubile sotto forma di H.iPOj (acido fo-
sforico) presente in concentrazioni relati-
vamente basse (da 0,01 a 0.2 micromoli).
Questa concentrazione può essere ulte-
riormente abbassata dai cationi ferrosi
che salificano il fosforo e lo fanno precipi-
tare, sottraendolo cosi alle piante. Per
questo il fosforo rappresenta un fattore
critico di primaria importanza per molti
vegetali, il cui sviluppo viene limitato
proprio dalla sua ridotta disponibilità.
Fin dall'inizio degli studi sulle micorri-
ze è risultalo evidente che in terreni pove-
ri le piante mieorrizate. oltre ad avere un
maggior sviluppo ponderale rispetto a
quelle non mieorrizate, contenevano una
maggior quantità di fosforo in peso secco.
Inoltre, somministrando fosforo in op-
portune quamità alle piante non mieorri-
zate si poteva ottenere una crescita pari a
quella delle piantine mieorrizate. È quin-
di evidente che c'è una capacità propria
dell'associazione micorrizica di legare fo-
sforo o direttamente dal suolo o da solu-
zioni nutritizie, a seconda se l'esperienza
venga effettuata io condizioni naturali o
in laboratorio. Il meccanismo di assorbi-
mento valido per le ectomicorrize e per le
micorrize vescicolo-arbuscolari, è stato
verificato da una cospicua mole di espe-
rienze, di cui sarà sufficiente riassumere
solo alcuni capisaldi.
Il fosforo radioattivo ( } -P). sommi-
nistrato sotto forma di ortofosfato.
' KH;P04 o CaHPCU, in concentrazioni
simili a quelle naturali viene assunto in
tempi molto brevi (3-6 ore) da ectomicor-
rize di faggio o di pino in quantità da 3 a 9
volte superiori a quelle delle piante non
infettale. Si è pure osservato che c'è una
sirena relazione ira struttura della radice
micorrizata e assunzione: l'efficienza del
sistema aumenta man mano che si passa
da radici non infunga te, a micorrize con
mantello sottile fino ad arrivare a un mas-
simo nelle micorrize con mantello spesso
e abbondanti cordoni miceliari. Infatti
dopo 7 ore dalla somministrazione di fo-
sforo il 93 percento dell'elemento si trova
nel mantello fungine che in linea genera-
le assume da 5 a 8 volle più fosforo del
complesso «radice più reticolo di Hartig» .
Per le endomicorrize la capacità di as-
sumere fosforo è ancora più evidente: i
valori possono variare moltissimo, poiché
il fosforo è presente nelle piante mieorri-
zate in quantità da 3-4 volte fino a 50-80
volte in più rispetto alle piante non mi-
eorrizate.
A differenza di quanto si potrebbe ipo-
tizzare da una cosi efficiente capacità di
assumere lo ione fosfato, i funghi sim-
bionti non sono in grado di utilizzare fonti
di fosforo diverse da quelle che normal-
mente utilizza la pianta. Nonostante l'esi-
stenza di fosfatasi superficiali che potreb-
bero permettere l'utilizzazione di fosforo
organico presente in nucleolidi e in filati
di calcio, ferro e sodio, non sì è mai regi-
strata nessuna differenza significativa tra
piante mieorrizate (sia ecto sia endomi-
corriziche) e piante non mieorrizate: la
maggiore efficienza delle prime nell'as-
sunzione degli ioni va allora legala a fat-
tori diversi. Bisogna in primo luogo ricor-
dare che nel suolo il movimento degli ioni
verso la radice per diffusione e convezio-
ne nell'acqua è altamente influenzato dal
grado in cui gli ioni sono dispersi e diffusi
e dalle loro interazioni reciproche, dalla
struttura del suolo e, ovviamente, dalla
forma della radice: quanto maggiore sarà
PIANTA NON MICORRIZATA
PIANTA MICORRIZATA
UTILIZZAZIONE
DEGLI ZUCCHERI
DA PARTE DEI
MICRORGANISM'
DEL SUOLO
LIBERAZIONE DEGLI ZUCCHERI
ATTRAVERSO GLI ESSUDATI RADICALI
PASSAGGIO DIRETTO
E ACCUMULO NEL FUNGO SIMBIONTE
L
Nella simbiosi mienrrì/ica si realizza un «cortocircuito» dei composti
carho idratici, tori notevoli conseguenze sull'ecosistema circostante.
Infiliti i! partner eierotrofo (il fungo) anziché derivare le sue fonti di
carbonio dall'humus o da tessuti morti, utilizza direttamente il ma-
teriale fotosintetizzato dal partner autotrofo (la pianta ). Dal disegno si
può vedere che nella pianta non micorrizata lo zucchero traslocato
lungo il fiocina, giunge alle radici, dove in parie si accumula come
amido. Circa il 10-20 per cento del materiale fotosintetizzato totale
(alcun! dati sono però di gran lunga inferiori, aggirandosi sullo ti. 5 per
cento) viene liberato sotto forma dì essudati radicali, dalla complessa
composizione (zuccheri, amminoacidi, acidi organici): sono proprio
questi a essere utilizzali dai microrganismi del suolo, sia funghì, sia
batteri. Nella pianta micorrizata si osserva invece una drastica riduzio-
ne dell'amido accumulato e dei polisaccaridi extracellulari: il fungo
simbionte utilizza lo zucchero arrivalo alla radice, mediante la traslo-
cazione lloematica. sottraendolo cosi in parte alla cellula radicale.
Nessuno dei due era in vista. Un simpa-
tico giovanotto con dei lunghi capelli rossi
e una barba rossiccia si presentò come un
«futurologo» già collaboratore dello
Stanford Research Instilute. Parlò in
termini molto eruditi dei progressi nel
campo delia comunicazione in linguaggio
naturale con i calcolatori e poi dei gran-
diosi passi avanti compiuti dagli scienziati
della American Superior Mind Operating
Foundation. Spiegò che le loro scoperte,
rese possibili dalla nuova memoria a bol-
le, erano ancora per lo più coperte da
segreto. Accennò oscuramente al fatto
che la CIA cercava di impedire la produ-
zione di versioni ridotte di ASMOF. Ci
assicurò che il robot, al contrario degli
esseri umani, dei galli e degli scarafaggi.
non era dotato di- poteri paranormali.
ASMOF, quindi, non rispondeva a do-
mande sul futuro o a domande che richie-
dessero una qualche forma di percezione
extrasensoriale. La fondazione stava in-
tensamente lavorando con parecchi fisici
per trovare il modo di aggiungere ESP e
precognizione ai circuiti di ASMOF. ma
ci sarebbe voluta forse un'altra decina di
anni per arrivare a simili progressi.
Fu uno strano e divertente spettacolo.
La maggior parte delle persone ponevano
domande banali, come per quanti anni
Millard Fillmore fu il tredicesimo presi-
dente degli Siali Uniti o chi aveva vinto il
campionato di baseball in una certa sta-
gione - fatti che potevano essere facil-
mente immagazzinati nella memoria di un
calcolatore. Alcune domande, invece,
erano più difficili. Presi nota di quelle che
implicavano quel tipo di impegno mate-
matico e dei giochi di parole che pensavo
avrebbero maggiormente interessalo i
lettori di questa rubrica.
Una ragazza, per esempio, chiese qual
è la parola più lunga appartenerne alla
lingua inglese. Dopo aver scrutato la ra-
gazza col suo occhio color rubino ed es-
sersi complimentato con lei per il suo sor-
riso, ASMOF chiese: «La parola può es-
sere composta?» La ragazza rispose di si.
«In tal caso - disse ASMOF - non esiste
una parola più lunga. Possiamo parlare di
una great-mother, di una greai-great-moh
Iter, di una great-greal-greai-moiher e così
via. Avanti il prossimo, prego.»
Ecco qualche altra insolila domanda di
tipo linguistico. Una donna chiese di un
monosillabo di 10 lettere. ASMOF rispo-
se «scratiriclwd». Un giovane interrogò
ASMOF a proposilo di una parola inglese
contenente la successione dì lettere adia-
centi «nkst». Dopo aver chiacchierato un
po' dello slogan sulla maglietta del giova-
ne, ASMOF diede una risposta accettabi-
le. Seguì poi il fratello della persona pre-
cedente, il quale fece una domanda ana-
loga a proposito della successione
«nksh». Il lettore saprebbe trovare una
parola del vocabolario inglese contenente
entrambe le successioni, prima che riveli
il mese prossimo le risposte di ASMOF?
Ai bambini piaceva mettere alla prova
il robot con divertenti indovinelli. A volte
ASMOF dava risposte corrette. Quando
sbagliava, chiedeva sempre di conoscere
la risposta per inserirla nella sua memoria
e a volte elogiava il bambino per essere
riuscito a imbarazzarlo.
La domanda più difficile, ira quelle di
tipo linguistico, gli fu posta da una studio-
sa di Shakespeare. C"è un verso in un'o-
pera di Shakespeare, disse, che incomin-
cia con «My», Leggendo verso l'alto, le
prime lettere dei quattro versi precedenti
formano la parola WANT. Leggendo ver-
so il basso, le prime lettere dei quattro
versi successivi formano la parola BABY,
dando così WANT MY BABY. In quale
opera appare questo acrostico?
La domanda doveva essere difficile,
perché ASMOF parlò per vari minuti del-
l'intenzionalità o meno di questo acrosti-
co shakespcriano. Infine il robot identifi-
cò il verso. È il 14" verso a partire dalla
fine della prima scena del primo atto di
Tlw Comedy o/Errors: «My soul should
sue as advocate for thee». È possibile,
chiese ASMOF, che Shakespeare stesse
inviando in codice a una donna la richie-
sta di vedersi restituito un figlio illeggit-
limo?
Alcune domande richiedevano cono-
scenze di logica formale. Un tizio del New
Jersey, di nome Ken Knowlton. cercò dì
far entrare i circuiti del robot in un circolo
vizioso dì sì e no. sottoponendogli il famo-
so paradosso di Russell sul barbiere che
rade tutti e soli gli uomini della sua città
che non si radono da soli. «Il barbiere si
rade da solo?» chiese. ASMOF rispose:
«Dati insufficienti. Può darsi.»
Qual è l'unico modo, volle sapere un
matematico di Princeton, per dividere
tutti gli interi positivi in due insiemi di-
sgiunti così che nessuna coppia di numeri
appartenenti all'uno o all'altro dei due
insiemi abbia per somma un numero pri-
mo? Darò la semplice risposta il mese
prossimo. Per inciso, il robot non seppe
risolvere il problema.
Thomas Szirtes, di Montreal, chiese ad
ASMOF se era possibile che lui (Szirtes)
fosse per un terzo scozzese, per un terzo
cinese e per un terzo ungherese. ASMOF
rispose di no. Un uomo, spiegò, ha V
genitori, 2- nonni, 2 1 bisnonni e così via.
La domanda, quindi, equivale a chiedere
se 2" può essere uguale a 3jc. Ora, 2 " è
uguale a 2 x 2 x 2 x 2... con 2 ripetuto h
volte. Dato che 2 è un numero primo,
sappiamo, per il teorema fondamentale
dell'aritmetica, che questa è l'unica
scomposizione in fattori primi di 2" , cioè
che 2" non ha altri fattori primi che 2.
Quindi 3 non può essere un divisore di 2" ,
e l'ipotesi iniziale deve essere falsa.
Jaime Poniachik. di Buenos Ayres, di-
rettore di una pregevole rivista enigmisti-
ca intitolala «The Snark». si trovava a
visitare la Chautauqua Institution proprio
nei giorni della dimostrazione di
ASMOF. Quando venne il suo turno di
porre una domanda, disse di avere negli
Stali Urtiti un amico con un curioso nu-
mero di assicurazione: le sue nove cifre
comprendono tutte le cifre da 1 a 9 e
formano un numero le due prime cifre del
quale (leggendo da sinistra a destra) dan-
no un numero divisibile per due, le prime
ire danno un numero divisibile per ire, le
prime quattro cifre un numero divisibile
per quattro e cosi via fino al numero inte-
ro che è divisibile per 9. Di che numero si
tratta? ASMOF si mostrò ammirato per
questo nuovo problema, ma sostenne che
non c'era abbastanza tempo per calcolare
la risposta. Tornato a casa, riuscii a trova-
re l'unica risposta ma me la terrò fino al
mese prossimo.
Quando venne il mio turno, chiesi il
permesso di formulare un problema che
richiedeva ire cavalli del gioco degli scac-
chi e una scacchiera di 3 x 4. Su un foglio
di carta disegnai la posizione iniziale che
si vede nella figura di questa pagina. Il
problema consiste nel sostituire i cavalli
bianchi con quelli neri e viceversa nel mi-
nor numero possibile di mosse, usando
naturalmente il movimento che ha il caval-
lo nel gioco. I cavalli possono essere mossi
seguendounordinea piacere, indipenden-
temente dal colore, ma non vi possono
essere due cavalli nella stessa casella.
Nel 1974, quando venne pubblicato
per la prima volta su! «Journal of Recrea -
lional Mathemalics», questo problema
venne giudicato banale e fu data una ri-
sposta con 26 mosse. Più tardi si trovò una
soluzione con 18 mosse. Io ho inserito il
problema nella prima edizione del mio
ultimo libro Alia! (il manuale che accom-
pagna una serie di filmati per la scuola
superiore chiamata The Alia.' Box) e ho
citato come la migliore la soluzione con
18 mosse. Tre lettori del libro, Gary
Goodman, Warren B. Porter e George
Schneller, uno indipendentemente dal-
l'altro hanno portato la soluzione a 16
mosse.
Dopo aver scrutalo il mio schizzo con il
suo terzo occhio, ASMOF forni la solu-
zione con 1 8 mosse e si mostrò dubbioso
quando dissi che ce n'era una più breve.
Dopo che gli ebbi data la soluzione più
breve, ASMOF si congratulò con chi l'a-
veva trovata per l'acume dimostralo nel-
l 'utilizzare una mossa apparentemente
inutile. I lettori sono capaci di trovare la
risposta con 16 mosse prima che io la
riveli il mese prossimo?
*
*
*
fi
fi
fi
ABC
ti problema dei cavalli.
120
125
Come piegare t'iperearta.
Dopo aver osservato per un'ora l'esibi-
zione dì ASMOF. mi convinsi che il mio
amico del MIT aveva ragione. Nessuno
dei calcoli era fatto da circuiti interni; il
robot era sicuramente sotto il controllo
di un'intelligenza umana nelle vicinanze.
Avevo saputo da una troupe della rete
televisiva ABC, presente per filmare l'e-
sibizione, che Rossum e Nelson alloggia-
vano in un albergo situalo sui terreni della
Chauiauqua Institution. Scivolai via dal
mio posto e lasciai la sala. Sembrava che
tutti fossero andati alla dimostrazione.
Nessuno mi vide quando appoggiai l'o-
recchio alla porta della camera di Ros-
sum. Dentro sentii il rumore attutito di
una conversazione.
L'albergo era vecchio e non ebbi diffi-
coltà a inserire una carta di credilo in
plastica nella fessura della porta e a far
scattare la serratura. La scena che vidi
nella stanza non era differente da quella
che mi aspettavo. Iva stava seduta dietro a
un grande tavolo con un'enorme cuffia
sulle orecchie. Su uno schermo televisivo
a colori si vedeva la persona che poneva le
domande seduta davanti ad ASMOF.
Seppi poi che la telecamera stava dietro
l'occhio sinistro del robot. Sul tavolo,
accanto a Iva, si trovavano gli stessi libri
di consultazione che gli addetti alia consu -
lenza telefonica tengono a portata di
mano per rispondere alle domande. The
World Aimanac, The New Columbia
Eneyctopedia, parecchi Who's Who, un
grosso dizionario, indici analitici della
Bibbia e di Shakespeare, dizionari di cita-
zioni e così via. Sempre a portata di mano
c'era il quadro di controllo di un grande
calcolatore programmabile e un telefono
in cui Iva poteva inserire dei cartoncini
che formavano il numero.
Iva parve spaventata quando entrai, si
tolse la cuffia e mise una mano sul micro-
fono che le stava davanti. «Se non esce
subito - disse rabbiosamente, con i neri
occhi che le scintillavano - urlo e chiamo
la polizia.»
«Credo proprio di no» dissi, toglien-
domi gli occhiali scuri e strappandomi via
i baffi.
«Ancora tu ! - disse Iva con un sorriso
forzato - Siediti e tieni chiusa quella boc-
caccia.»
Mi sedetti sulla sponda del letto e la
osservai in azione per il resto dell'ora. Un
marchingegno elettronico trasformava
completamente la piacevole voce di Iva.
dandole quel timbro freddo e senza into-
nazione tipico dei robot della televisione
e del cinema. Per le domande facili degli
animi semplici le era sufficiente la notevo-
le massa di informazioni presente nella
sua lesta. Per altre domande consultava
rapidamente uno dei tanti libri che aveva
sul tavolo e intanto guadagnava tempo
chiacchierando con chi aveva posto la
domanda. Per le domande che richiede-
vano calcoli numerici, come trovare la
radice tredicesima di 1 o elevare ir a ir . si
affidava al calcolatore. Quando le veniva
posta una domanda più difficile, inserii, a
un cartoncino nel telefono, Ripetendo la
domanda ad alta voce - con la scusa di
controllare d'aver capito bene - poneva la
stessa domanda alla persona che aveva
chiamato per telefono. Iva mi disse poi
che il Dr. Matrix aveva assoldalo più di
Ilio esperti, ciascuno specialista in un
determinato campo, e li pagava profuma-
tamenle perché rimanessero vicini al pro-
prio telefono durante le dimostrazioni.
Iva mi disse anche che il dr. Matrix
aveva cercato di «arruolare» Isaac Asi-
mov per non dover pagare così tanli
esperti. Questi, però, aveva gentilmente
declinalo l'offerta, anche perche doveva
completare 17 libri prima della fine del-
l'anno. Non seppi mai il nome dell'esper-
to in matematica; e neppure riuscii a sco-
prire quale grande maestro era stato as-
sunto per il gioco degli scacchi.
Quando ebbe fine l'esibizione di due
ore. Iva si tolse la cuffia, spense il micro-
fono e fece una risatina. Diede un'occhia-
ia all'orologio da polso, uno di quegli oro-
logi ultrapiatti cosi costosi e dal quadran-
te così piccolo che è quasi impossìbile leg-
gerlo senza una lente d'ingrandimento,
«Ora del cocktail» disse.
Fui lieto di sentire che il dr, Matrix era
via per l'intera giornata. Il vecchio avvol-
toio era in visita da un amico che lavorava
come falso medium in una vicina comuni-
tà spiritualista di Lily Dale. 1 ristoranti
che si trovano nell'area della Chauiauqua
institution non possono servire liquori
(un retaggio del passalo religioso dell 'isti-
tuzione), così Iva mi portò in un pittore-
sco ristorante di pesce a Westfield. sulle
sponde del lago E rie. fi "rovai divertente
un'asserzione del menù: «Serviamo ostri-
che in Gennario, Febbraio. Marzo, Apri-
le, Margio. Giurgno. Lurglio, Agorsto.
Settembre. Ottobre. Novembre, e Di-
cembre».) Ordinammo la cena e pas-
sammo insieme una deliziosa serata.
Un mese dopo, mentre ASMOF si esi-
biva in un teatro di Washington, due cro-
nisti di un giornale, aiutali dal mago Ran-
di, svelarono il trucco. Affittarono una
camera d'albergo vicina a quella in cui
stava Iva, fecero un buco nella parete e
presero delle fotografìe di Iva al microfo-
no. La storia venne fuori sul giornale della
mattina dopo, ma il dr. Matrix e Iva erano
già scomparsi. ASMOF fu abbandonato
nel furgone che avevano usato per tra-
sportarlo: la polizia di Washington lo ha
affidato alla Smithsonian Institution,
dove verrà esposto con un racconto regi-
stralo della storia della truffa.
Ta «ipercarta» da me proposta il mese
-*— ' scorso come pezzo di scultura mini-
male, si costruisce facilmente nel modo
seguente : si prenda un foglio di carta o un
cartoncino rettangolare e si facciano ire
tagli lungo le linee piene che si vedono
nella figura qui a fianco. Si pieghi ora
l'aletta X di 90 gradi lungo la linea trat-
teggiata ABC e si rovesci la pane inferio-
re V ripiegandola all'indìetro di 1 80 gradi
lungo la linea tratteggiata [il
Tn marzo dissi che Alan Cassel, uiiliz-
■*■ zando un test Montecarlo per i numeri
primi, aveva trovato che c'era una possibi-
lità su circa un trilione che il numero for-
mato da 1 23456789 ripetuto selle volte e
seguito da 1 234567 fosse un numero pri-
mo. Il fisico R. E. Crandall e l'esperta in
calcolatori Anna M. Penk, utilizzando un
programma messo a punio presso il cen-
tro di calcolo del Reed College a Por-
tland. Oregon, sono riusciti a dimostrare
che il numero è realmente primo.
Nel fascicolo di dicembre del I 978 ho
citato un racconto di fantascienza, di cui
non riuscivo a ricordare il titolo e l'autore,
in cui un uomo camminava dentro a un
anello prismatico girato in modo che il
suo interno avesse una sola faccia. Un
gran numero di lettori, troppi per essere
nominati, mi ha ricordato che il racconto
era Whai Dead Meri Teli, di Theodore
Sturgeon. apparso su « Astoundtng Scien-
ce Fiction» nel novembre 1949. Quel
numero era tuito uno scherzo eccentrico.
In una lettera pubblicala l'anno prece-
dente un lettore aveva «recensito» tale
numero di rivista. Il direttore, John
Campbell Jr.. persuase la maggior parte
degli scrittori nominati nella lettera a
scrivere dei racconti intitolati come indi-
cava la lettera; così, quando il numero
venne pubblicato, la lettera risultò una
predizione accurata. Il racconto di Stur-
geon venne ristampato nella raccolta
l 'magiitai ioti Unlimited curata da Everctl
Bleilere T. E. Dikty (Berklev Publishing
Company. 1959).
Nel mese dì febbraio ho indicalo il 1 976
quale data della scoperta dei cinque
sviluppi di 1 come somma di nove frazioni
egiz,ane con denominatori dispari. Sin
Hitotumatu, che traduce questa rubrica
per l'edizione giapponese dì «Scientific
American», mi ha inviato un articolo del
1 97 1 conicinquesvìluppi. Questi risultati,
precedenti quelli eitali da me. sono opera
di uno dei più acuii creatori giapponesi di
programmi di calcolo. S. Yamashita.
il rapporto ira la lunghezza della radice e
il volume del suolo esplorato tanto mag-
giore sarà l'assunzione degli ioni. È quin-
di indubbio che soprattutto nei terreni
poveri di elementi nutritizi specie se que-
sti ultimi sono poco mobili, la radice mi-
corrizata è assai avvantaggiata, poiché
può esplorare in modo più efficiente lo
spazio tra radice e radice, grazie sia al
mantello che aumenta sensibilmente il
diametro della radice, sia alle ife exirara-
dicali. Che il sistema sia più efficiente ri-
sulta chiaro dal confronlo di questi dati:
un cordone miceliarc di 30 millimetri di
lunghezza pesa 0,125 milligrammi, una
radice non infungata di 30 millimetri di
lunghezza pesa 1 ,2 milligrammi e ancora
I milligrammo di ife appartenenti a mi-
corrize vescicolo-arbuscolari con diame-
tro di 10 micrometri ha la stessa lunghez-
za di 1600 milligrammi di radice con 400
micrometri di diametro, È evidente quin-
di che il fungo da una parte determina un
notevolissimo risparmio energetico (da
10 a 1000 volle) e dall'altra, grazie alle
sue piccole dimensioni, esplora molto
meglio -il suolo, variando anche profon-
damente la struttura e l'aggregazione del-
le particelle.
Il fosforo all'interno dei funghi sim-
bionti subisce un diverso destino a secon-
da del tipo di micorriza. Nell'ectomicorri-
za. infatti, una piccola parte viene messa
in circolo, disponibile per la pianta, e una
parie più cospicua viene invece immagaz-
zinata nei vacuoli della micoelena in
modo tale da non creare alcun meccani-
smo di retroazione negativo, che impedi-
rebbe un'ulteriore assunzione. Al contra-
rio nell'endomicorriza il fosforo non si
accumula, ma una volta entrato nell'ifa
con un flusso assai sostenuto, valutato
secondo recenti calcoli di F. E. Sanderse
P. B. Tinker in 3.8 x l(>-« moli cm~' s" 1 ,
viene traslocato nelle ife intracellulari.
Quasi sicuramente tale trasporto è com-
piuto dalle correnti citoplasmatiche e il
fosforo viene traslocato sotto forma di
granuli di polifosfato, ben riconoscibili
al microscopio elettronico come granuli
densi agli elettroni di diametro variabile
da 0.1 a 0,5 micrometri. Dalle ife intracel-
lulari - attraverso la vasta area di scambio
rappresentala dall'arbuscoio - il fosforo
viene ceduto all'ospite.
Finora descrivendo il flusso degli zuc-
cheri dall'ospite al fungo e poi il flusso del
fosforo dal fungo all'ospite si è solo parla-
to in termini vaghi di un passaggio, senza
precisare assolutamente come esso potes-
se avvenire. In realtà, nel campo della
micorrizia. è mancato finora un approccio
più strettamente biofisico: sul meccani-
smo si possono solo fare delle ipolesi.
Secondo il fisiologo inglese H. W. Wool-
house nell'endomicorriza i processi fon-
damentali (scambi di zuccheri contro fo-
sforo) possono essere visti come un alter-
narsi di sistemi di trasporto assai comples-
si in parte attivi (e quindi con richiesta di
energia immagazzinala sol io forma di
adenosintrifosfato, ATP), in parie passivi
(per un semplice processo di diffusione in
un gradiente di concentrazione). Più pre-
cisamente l'assunzione di fosforo dal suo-
GLUCOSIO
FRUTTOSIO
FOSFOESOSOISOMERASI
glucosio -e-p
»
SIO -6-P
GLtCOLISI
« |
FOSFOGLUCOMUTASI
GLUC0SI0-1-P
MANNITOLO-1-P
I URlDtNDIFOSFOGLUCOSIO
I PtROFOSFORILASI
URIDINDIFOSFOGLUCOSIO
—
GLICOGENO-
1 SINTETASI
GLICOGENO
(FUNGO)
TREA-
LOSiO
(FUNGO)
SACCAROSIO
(FUNGO)
MANNITOLO
(FUNGO)
Nello schema è indicala la possibile via metabolica dell'uliiizzazionc tinnii zuccheri nelle radici
micorrizalc di faggio. Le ricerche che portarono alla forni illazione di questa ipolesi furono eseguite
da I . I,. Harlcv e collaboratori a Oxford, fissi som minisi raro no zuccheri in vilrou radici micorrizalc
osservando che evie assunte* ano gli zuccheri (re* olle [ti il velocvmvitlv delle radici non micorrizalv.
PLASMALEMMA
DELL'IFA ESTERNA
PLASMALEMMA
DELL'ARBUSCOLO
Pi
SUOLO
TRASLOCAZIONE
LUNGO LE IFE
Pi
FUNGO
Pi
FUNGO
TRASPORTO
ATTIVO
MEDIATO (1)
PLASMALEMMA
DELL'OSPITE
INTERFACCIA
Pi
TRASPORTO
PASSIVO
MEDIATO (21
PI
OSPITE
TRASPORTO
ATTIVO
MEDIATO (3)
ZUCCHERI
FUNGO
ZUCCHERI
GLUCOSIO
E ALTRI
ZUCCHERI
OSPITE
TRASPORTO ATTIVO
MEDIATO (5)
TRASPORTO PAS-
SIVO MEDIATO (4)
La simbiosi mieorrizìca può essere vista come uno scambio di zuccheri e fosfati Ira la pianta e il
fungo. Il trasporto da un compartimento all'altro dei due organismi può essere realizzalo da un
sistema di pompe che agiscono tramite proteine carrier (I ras pò ri al ori). H. W. W imi house ipo-
tizza che nell'endomicorriza vescicnln-arbuscolarc agiscano ben cinque pompe: la prima, attiva,
permette il flusso del fosforo inorganico (Pi) dall'esterno all'ita extraradicale. Il Pi viene trasfe-
rito lungo le ife all'interno della radice fino all'apice dell'arhuscolo. Qui la seconda pompa,
passiva, trasferisce il fosforo nello spazio compreso tra la parete del fungo e il ptasmalemma
dell'ospite. In quest'ultimo agisce la terza pompa che attiva mente trasferisce contro un gradiente
di concentrazione il Pi all'interno del citoplasma delta pianta. At contrario, gli zuccheri tra-
mite la quarta pompa defluiscono passivamente lungo un gradiente di concenl razione dal cito-
plasma ospite allo spazio compreso tra plasmai tnima ospite e parete dell 'arti u scolo. (Il flus-
so è bidirezionale, nel caso in cui la pianta utilizzi direttamente il materiale del fungo dege-
neralo.) L'ultima pompa trasferisce attivamente lo zucchero all'interno della cellula fungina.
126
121
GIOCHI MATEMATICI
di Martin Garciner
Si tratta di un robot super intelligente
o di una nuova trovata del Dr. Matrix?
«I calcolatori non pensano davvero. Siete
voi che pensate che pensino. (Noi pen-
siamo.)»
— Theodor H. Nelson
Dream Machines
Per anni gli studiosi di calcolatori,
esperti anche in linguistica, han-
no cercato il modo per consentire
ai calcolatoli di ricevere input e di produr-
re output in un linguaggio naturale parla-
to. I progressi su questa via sono stati
purtroppo molto lenti. Finora si è arrivati
solo a dialoghi estremamente banali e sti-
lizzati, di solito sotto forma di frasi stereo-
tipate e con un vocabolario limitatissimo.
Gli appassionati di fantascienza, inve-
ce, hanno avuto mododi incontrare calco-
latori parlanti da più di cinquant'anni.
Queste meravigliose macchine sono
comparse anche nella letteratura fantasti-
ca per bambini: già nel 1907 L. Frank
Baum introdusse (in Ozma of Oz) un
robot meccanico a molla chiamato Tik-
Tok, che secondo i suoi costruttori poteva
pensare, parlare, muoversi e fare «tutto
tranne che vivere». In anni recenti, film
come // pianeta proibito e Guerre stellari
hanno reso familiari al grande pubblico
robot parlanti e calcolatori parlanti come
HAL, che guidava la nave spaziale in
2001; Odissea nello spazio di Arthur C.
Clarke.
Sono molti i segni che indicano come
queste idee si vadano diffondendo. Si
pensi, per esempio, a un robot giocattolo
messo in vendita quest'anno: un bambino
risponde a delle domande a scelta multi-
pla premendo dei bottoni sul torso del
robot e il robot commenta (attraverso un
nastro preregistrato) la qualità delle ri-
sposte. Inoltre, aumentano rapidamente i
programmi di gioco con calcolatori. Per
meno di 300 dòllari ci si può comprare un
piccolo calcolatore che gioca a scacchi e
riesce a battere un principiante. I pro-
grammi più sofisticati per il gioco degli
scacchi stanno arrivando a un livello di
abilità pari a quello di un maestro; in ef-
fetti, quando il tempo limite per le mosse
è abbastanza ridotto possono facilmente
ridurre a malpartito perfino un grande
maestro.
Per queste e altre ragioni non ci furono
molte reazioni di scetticismo quando, nel
giugno del 1977, cominciarono a compa-
rire degli annunci di dimostrazioni pub-
bliche di ASMOF, il primo calcolatore
parlante del mondo. Il nome ASMOF era
un acronimo per American Superior
Mind Operating Foundation, l'organizza-
zione che sponsorizzava le dimostrazioni
del prototipo del robot per lanciare que-
st'ultimo sul mercato. Dai ritagli di gior-
nale inviatimi dai lettori arguii che il robot
era fornito di una nuova memoria a bolle
magnetiche. I suoi circuiti erano racchiusi
in una forma di alluminio alta 6 metri
progettata in modo da somigliare a un
robot quali quelli che si vedono al cinema.
Il mostro aveva due aperture al posto de-
gli occhi e un terzo occhio con una lente
colorata di rosso al centro dell'ampia
fronte. Il naso non c'era, mentre un alto-
parlante conico formava una specie di
bocca. Nelle dimostrazioni pubbliche il
robot stava seduto dietro un grande tavo-
lo e non si muoveva. Di tanto in tanto un
raggio di luce rossastra partiva dal terzo
occhio per scrutare il tavolo o chi vi si
sedeva.
ASMOF iniziò il suo giro per il paese
verso la fine di luglio, facendo delle appa-
rizioni di due ore in sale e teatri di grandi
città e luoghi di villeggiatura. Pagando 3
dollari, le persone presenti potevano se-
dersi al tavolo, davanti ad ASMOF, e fare
domande ragionevolmente brevi su qual-
siasi argomento. Il robot rispondeva con
una poderosa voce metallica, a volte dopo
aver scambiato qualche battuta con chi lo
interrogava. Non sapeva tutto: a volte
rispondeva con osservazioni tipo «II suo
problema richiederebbe un tempo di cal-
colo troppo lungo», oppure «Spiacente,
signore, ma quell'informazione non è
contenuta nella mia memoria».
In occasioni particolari, un'intera esibi-
zione era dedicata a una sfida con un
esperto locale in qualche intellettuale
gioco da tavolo. ASMOF si dimostrava un
eccezionale giocatore di scacchi, dama, go
e perfino di giochi con elementi casuali
come il backgammon, il bridge e il poker.
Ai primi di agosto, durante un'esibizione
di ASMOF in un teatro di Nyack, New
York, vennero offerti 1000 dollari a un
grande maestro di scacchi che viveva da
quelle parti nel caso fosse riuscito a batte-
re ASMOF. Il grande maestro perse in 18
mosse. ASMOF gli offrì allora la rivincita,
impegnandosi a giocare senza l'Alfiere di
Donna se questa volta il grande maestro
avesse puntato anche lui nel gioco 1000
dollari. L'offerta venne rifiutata.
L'umiliante sconfitta del grande mae-
stro fu un sensazionale colpo pubblicita-
rio. Ouando però telefonai a un mio vec-
chio amico che lavora in un laboratorio
del Massachusetts Institute of Technolo-
gy per lo studio delle intelligenze artificia-
li, egli mi assicurò che ASMOF era una
truffa. Non sapeva di preciso come veniva
controllato il robot, ma era sicuro che la
fondazione che gli stava dietro puzzava di
imbroglio. Secondo lui ci doveva essere
sotto lo zampino della mia vecchia cono-
scenza, il numerologo Joshua Matrix.
Andandomi a riguardare i miei ritagli
di giornale, non riuscii a trovare, nessuna
immagine del capo della fondazione
Frank Rossum né della sua assistente Jo-
sie Clarke Nelson. Conoscendo la mania
del Dr. Matrix per i giochi di parole, co-
minciai a riflettere sui due nomi. Frank
poteva essere un'abbreviazione per
Frankestein? Rossum fa venire in mente
la Rossum's Universa! Robots della
commedia R.U.R. di Karel Capek, del
1 920 (fu in quel lavoro teatrale che venne
introdotto per la prima volta nella lingua
inglese la parola «robot», dal ceco robota,
che significa lavoro o servizio obbligato-
rio). E Josie Clarke Nelson? Josie poteva
essere una forma femminile di Joe, il
famoso robot fantascientifico di Lewis
Padgott. Clarke, naturalmente, doveva
riferirsi ad Arthur C. Clarke e Nelson a
Theodor H. Nelson, il giovane studioso di
calcolatori che ha avuto un enorme suc-
cesso con il libro doppio Dream Machines
e Computer Lili, un'ampia introduzione
(un po' nel genere di Oz) al fantastico
nuovo mondo che i calcolatori stanno
creando. (II suo ultimo libro The Home
Computer Revolution contiene delle pre-
dizioni ancor più sorprendenti.)
Ma, un momento! C'era un'altra
straordinaria coincidenza. Era stato pro-
prio il Dr. Matrix a rivelare che il nome
hal è ottenuto spostando ogni lettera di
IBM indietro di un posto nell'ordine alfa-
betico. Ora, se si sposta ogni lettera di
IBM avanti di un posto, si ottiene JCN, le
iniziali dell'assistente di Rossum!
Dagli opuscoli pubblicitari forniti dalla
fondazione di Rossum seppi che la suc-
cessiva apparizione di ASMOF sarebbe
avvenuta nella sala ad anfiteatro della
venerabile Chautauqua Institution, sulle
rive del lago Chautauqua nel Nord dello
stato di New York. Da casa mia, a West-
chester. non mi ci volle più di un giorno di
macchina per arrivarvi e mi fermai in un
motel vicino all'entrata della Chautauqua
Institution. Il pomeriggio successivo mi
premurai di arrivare nella sala abbastanza
presto per assicurarmi un posto in prima
fila. Nel caso fossero apparsi sul palco il
Dr. Matrix o la sua incantevole figlia di
sangue giapponese. Iva, mi mascherai con
degli occhiali scuri e dei grandi baffi finti.
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co - Stroud: Una famiglia di proteasi - Perutz: La molecola dell'emoglobina - Philips: Struttura
tridimensionale della molecola di un enzima - Dickerson: Struttura e storia di un'antica
proteina - Brown: L'isolamento del gene - Kornberg: La sintesi del DNA - Britten e Kohne:
Segmenti ripetitivi di DNA - Temin: Sintesi di DNA diretta dall'RNA - Goodenough e Levine:
L'attività genetica dei mitocondn e dei cloroplasti - Ptashne e Gilbert: Repressori genetici -
Clowes: I fattori della resistenza ai farmaci - Miller: Osservando i geni in azione - Stein,
Swinehart e Kleinsmith: Proteine dei cromosomi e regolazione genetica - Cooper e Lawton:
Lo sviluppo del sistema immunitario - Edelman: Struttura e funzioni degli anticorpi - Mayer: Il
complemento - Raisfeld e Kahan: I marcatori dell'individualità biologica - Hillman eTytell: La
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della Terra - Siever: L'equilibrio geochimicodi crosta, atmosfera e oceani - Bell: L'ecosistema
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Schwartzlose: Animali attivi degli abissi - Newell: Circolazione globale dell'inquinamento
atmosferico - Brown: L'industria umana e la biosfera - Clark: L'inquinamento termico e la vita
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sincronia - Burgess: Ragni sociali - Topoff : Il comportamento sociale delle formiche legiona-
rie - Hòlldobler: Comunicazioni tra le formiche e ì loro ospiti - Wilson: La schiavitù tra le
formiche - Morse: Come le api difendono l'ambiente dell'alveare - Milne e Milne: Il compor-
tamento sociale dei necrofori'- Todd: Il linguaggio chimico dei pesci - Hailman: Come si
apprende un istinto - Hess: Apprendimento per «imprinting» in un laboratorio naturale -
Thorpe: I duetti canon degli uccelli - Nicolai: Il mimetismo tra gli uccelli parassiti - Pooley e
Gans: llcoccodnllodel Nilo- Loree Flanelly: Società di ratti- Bertram: L'ordinamento sociale
dei leoni - Eaton: L'ordine sociale nei macachi del Giappone - Smgh: Le scimmie di città -
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ZOOLOGIA 2
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Sommario: Ewert: Come vede il rospo - Denton: I riflettori dei pesci - Gamow e Harris: I
recettori all'infrarosso nei serpenti - Bentiey e Hoy: La neurobiologia del canto del grillo -
Greenwalt: Come cantano gli uccelli - Papi: La navigazione dei colombi viaggiatori - Pearson:
Il controllo della locomozione animale - Rothschild, Schlein. Parker, Neville e Stemberg: Il
salto della pulce - Camhi: Come volano le cavallette - Gans: Come si muovono i serpenti -
Tickell: I grandi albatros - Pennycuick: Il volo librato degli avvoltoi - Wehner: L'orientamento
degli insetti mediante luce polarizzata - Keeton: La prodigiosa capacità di rientro dei colombi
viaggiatori- Emlen: L'orientamento stellare di un uccello migratore- Palmer: Orologi biologici
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